IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

Un mondo globale e multipolare, lo sguardo di Lula

Il segno distintivo del governo Bolsonaro è stato l’anti-mondialismo. Al contrario, Lula coniuga principi liberali e principi realisti. Il rispetto del diritto internazionale ma anche l'idea di un protagonismo politico dell'America Latina, a partire della preservazione della foresta amazzonica.

Se consideriamo le teorie dominanti nel campo delle relazioni internazionali, possiamo dire che la visione globale sostenuta da Lula da Silva, così come dal suo governo e dalla maggioranza del suo partito (il Partito dei Lavoratori, di orientamento socialista e che include diverse correnti politiche al suo interno) è quella che combina principi liberali e principi realisti.

La guerra in Ucraina è un buon esempio per valutare tale combinazione. In linea con il rispetto delle istituzioni e del diritto internazionale di cui parla la visione liberale, la rappresentanza diplomatica del Brasile presso l’ONU ha condannato l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Sebbene questa sia stata una posizione distante da quella dei paesi del cosiddetto Sud globale, generalmente critici nei confronti delle prese di posizione degli Stati Uniti, ciò non ha impedito al presidente brasiliano, che ha affermato molte volte il principio dell’integrità territoriale e dell’autodeterminazione dei popoli, di esprimere una visione storico-realistica del conflitto. Questo approccio ha suscitato aspre critiche nei confronti di Lula da parte dei media brasiliani e internazionali.

Ciò è stato evidente nel suo recente viaggio in Cina, quando Lula ha insistito fermamente sulle responsabilità degli Stati Uniti, della NATO e dei paesi dell’Unione europea, ma anche della stessa ONU criticata per la sua incapacità di coinvolgere tutti i paesi in una soluzione di pace o almeno in un armistizio. Si tratta di un orientamento di politica estera che in realtà era già emerso chiaramente lo scorso gennaio, quando Lula ha rifiutato la richiesta del cancelliere tedesco Olaf Scholz di inviare alla NATO munizioni per i carri armati da destinare al paese di Zelensky.

Il principio del multilateralismo

Questa combinazione ibrida di principi che evoca la filosofia politica di Kant e Hegel risale agli anni del primo mandato presidenziale di Lula: dal Kant di una “grande lega dei popoli” come strumento per la “pace perpetua” all’Hegel che ci ricordava che anche  una costituzione di Stati “in famiglia” non è in grado di evitare la guerra.

Come notato dall’ambasciatore Samuel Pinheiro Guimarães, la ferma presa di posizione contro le disuguaglianze di potere, l’arbitrio e la violenza – particolarmente esacerbate dalla configurazione unipolare del mondo in ragione della vittoria americana nella Guerra Fredda – era accompagnata da azioni diplomatiche incentrate sul principio del multilateralismo. Ne sono una riprova la difesa del principio di soluzione pacifica delle controversie internazionali in occasione dell’invasione anglo-americana dell’Iraq, ma anche l’impegno per la democratizzazione del sistema internazionale rivolto a rendere più rappresentativo e legittimo il Consiglio di sicurezza.

In questo senso, quando si afferma, come ha fatto giustamente Reginaldo Nasser, che la diplomazia brasiliana durante i governi di Lula si adatta all’ordine multipolare che si sta delineando ora, ciò non significa in alcun modo aderire a una realpolitik: cioè a un mondo multipolare senza regole, dominato dalla guerra di tutti contro tutti, simile a quello scaturito delle rivalità inter-imperialiste che ha portato alla Prima Guerra Mondiale.

Il nuovo internazionalismo di Berlinguer

Se fosse possibile proporre un confronto storico, dovremmo riferirci al “nuovo internazionalismo” di cui parlava Enrico Berlinguer negli anni Settanta, ispirato direttamente dalla nozione di policentrismo che Togliatti elabora nel periodo in cui si organizzava il movimento dei paesi non allineati. Un internazionalismo che, superando la prospettiva dei blocchi che contraddistingueva il contesto internazionale durante la Guerra Fredda, puntava alla coesistenza pacifica e alla collaborazione tra i due blocchi e tra di essi e i paesi in via di sviluppo.

È in questa direzione che anche ai nostri giorni si sta muovendo la Cina, quando allude alla necessità di una riforma democratica del sistema internazionale affidata alla “convergenza degli interessi” e a un modello di vantaggi reciproci, c.d. “win-win”. Effettivamente, la Cina, promuovendo una sorta di “lega regionale dei paesi non allineati”, come ha affermato Wolfgang Streeck, emerge come un punto di riferimento centrale, attraverso i BRICS, nelle rinnovate iniziative che Lula ha proposto a livello internazionale. Queste iniziative sono espressione della radicata convinzione che nell’era della globalizzazione i cambiamenti nella politica interna – per la quale Lula è stato eletto dopo la degradazione economica, sociale e istituzionale promossa da Bolsonaro – dipendano dalla politica internazionale, come del resto si configurava già ai tempi del nuovo internazionalismo dei paesi non allineati.

La nuova Banca dei BRICS

L’indicazione di Dilma Rousseff come presidente della banca dei BRICS è una chiara dimostrazione di quanto detto, soprattutto se teniamo conto che già si annuncia l’allargamento geografico del blocco con l’ingresso dell’Argentina e forse dell’Iran. Infatti, questa neonata istituzione finanziaria è stata concepita per operare in forma alternativa ai prestiti che sottomettono i debitori attraverso il noto meccanismo delle esportazioni di capitali, un modello sostenuto dalla rete tra Stati Uniti e FMI. Questo progetto ha un significato particolare per l’ampliamento delle relazioni tra il Brasile e l’America Latina, relazioni fortemente scoraggiate durante il governo Bolsonaro. Basta ricordare i progetti del nuovo governo di Lula per la regione, come ha chiarito il nuovo Presidente durante il suo primo viaggio ufficiale all’estero – in Argentina – che includevano il ripristino dei finanziamenti del BNDES (Banco Nacional de Desenvolvimento Econômico e Social) per i paesi vicini, come era accaduto con la politica di convergenza continentale dei suoi governi precedenti (compreso quello guidato da Dilma Rousseff), con modelli di finanziamento simili a quelli della banca dei BRICS e potenzialmente in copartecipazione con essa. La partecipazione a forum regionali come l’UNASUR (União de Nações Sul-Americanas) e la CELAC (Comunidade dos Estados Latino Americanos e Caribenhos), osteggiati dal governo Bolsonaro, così come il rafforzamento del Mercosur completa il quadro di queste iniziative in grado di rilanciare l’orientamento Sud-Sud che alimentava la politica estera dei primi governi di Lula.

Come ha affermato lo storico Valter Pomar, si trattava di una politica che rappresentava un “differenziale importante” rispetto alle altre politiche di quei governi, poiché apertamente anti-neoliberale e con una presa di distanza dagli Stati Uniti. Quest’ultimi offrivano all’America Latina l’ALCA, un progetto egemonico volto ad integrare politicamente ed economicamente la regione secondo i loro esclusivi interessi.

L’integrazione del Brasile nel mondo

In nessun caso, il nuovo orientamento della diplomazia brasiliana equivale a una forma di rigetto dell’integrazione del Brasile nel mondo e nei confronti delle istituzioni liberali di regolazione, come pretende di far credere la prevalente narrazione dei grandi media filo-occidentali. L’anti-mondialismo era, al contrario, il segno distintivo del governo Bolsonaro, sensibile alla retorica della “ascesa e caduta delle grandi potenze”, particolarmente cara al Partito Repubblicano, al punto da seguire alla lettera la sua politica – in realtà una “antipolitica” – ambientale, preoccupata solo di negare il riscaldamento globale e le sue cause ultime legate all’accumulazione geograficamente diseguale del capitale.

Ecco un punto a partire dal quale la visione globale del nuovo governo di Lula può essere valutata più nitidamente. Riferendosi all’Amazzonia, il cui bioma si estende principalmente sul territorio brasiliano (61,8%) ed è ripartito con altri nove paesi sudamericani, Lula ha insistito che il Brasile ne è il proprietario sovrano, ma deve essere in grado di coinvolgere il mondo intero nella sua preservazione, studio e utilizzo responsabile. È importante notare che questo punto di vista non ignora il problema del greenwashing – ovvero lo sfruttamento capitalista dei progetti ambientali, vieppiù potenziato dal “mercato delle emissioni di carbonio” – ma rifiuta la semplice inazione, consapevole che nella fase in cui ci troviamo la scala geografica dei problemi ambientali ha una configurazione globale, come ha sottolineato da David Harvey.

Per una globalizzazione dal basso

È vero, riprendendo le parole di Gilberto Maringoni – incline a criticare la mancanza di innovazione del nuovo governo in questo settore – che tutti i principi di politica estera menzionati sono già presenti nell’articolo 4 della Costituzione brasiliana approvata nel 1988, dopo le lotte che hanno sconfitto la dittatura militare del 1964-85: i principi della “difesa della pace, dei diritti umani, dell’autodeterminazione dei popoli, del non intervento, della soluzione pacifica dei conflitti, del rifiuto del terrorismo e del razzismo e dell’integrazione dell’America Latina”.

Come acutamente sottolineato da Perry Anderson, in riferimento al primo ciclo dei governi del Partito dei Lavoratori, è stato in quel periodo che un paese con una cultura fortemente chiusa al proprio interno ha raggiunto una “rilevanza politica” che “oltrepassa i suoi confini”. Fungendo da “esempio e fonte di ispirazione potenziale per altre nazioni” e svolgendo un ruolo indipendente nella scena internazionale.

Un grande salto storico, nella misura in cui il Paese cerca di presentarsi al mondo non per obbedire passivamente alla “globalizzazione come perversità”, secondo le parole del geografo Milton Santos, ma per partecipare ad un’altra globalizzazione, costruita dl basso, a partire dal Sud del mondo e incorporante preoccupazioni di ordine sociale, culturale e morale. Si tratta di una prospettiva – riprendendo le formulazioni teoriche di Domenico Losurdo – che è aderente al paradigma hegeliano della “lotta per il riconoscimento”, in grado cioè di contribuire alla fine dell’era della “grande divergenza” tra popoli e nazioni iniziata durante il colonialismo e ancora non superata ai giorni nostri.

Bibliografia

 Anderson, P. Brasil à parte: 1964-2019, trad. Alexandre Barbosa de Souza. São Paulo: Boitempo: 2020.

Guimarães, S. P. Desafios brasileiros na era dos gigantes. Rio de Janeiro: Contraponto, 2005.

Liguori, G. Berlinguer rivoluzionario. Il pensiero politico di un comunista democratico. Carocci: Roma, 2014.

Losurdo, D. La lotta di classe. Una storia politica e filosofica. Roma-Bari: Laterza, 2013.

Harvey, D. 17 contradições e o fim do capitalismo, trad. Rogério Bettoni. São Paulo: Boitempo, 2016.

Maringoni, G. O mundo é outro, in: Carta Capital. 28 de dezembro de 2022.

Nasser, R. M. Mundo Multipolar, in: Carta Capital. 3 de maio de 2023.

Pomar, V. A metamorfose: programa e estratégia petista – 1980-2016. Curitiba: Kotter Editorial, 2022.

Ricupero, R. Multipolar ou multilateral? in: Folha de São Paulo, 23 de julho de 2014.

Santos, M. Por uma outra globalização: do pensamento único à consciência universal. 18a ed. São Paulo: Record, 2009.

Streeck, W. A europeização da guerra na Ucrânia, in: A Terra é redonda, 10 de maio de 2023.

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