L’essenza della globalizzazione economica è la globalizzazione del dollaro americano
Con questo grande obiettivo strategico in mente, per soddisfare i propri appetiti gli Stati Uniti dovevano a tutti i costi portare avanti i cambiamenti dell’economia globale. E la prima voce sulla lista era la realizzazione della grande divisione industriale del lavoro mondiale, anche nota come globalizzazione. (…)
Questo portò subito a rifiutare le idee di Keynes e optare invece per quella dell’economia del libero mercato di Milton Friedman come teoria pionieristica per una globalizzazione a guida americana. Per far sembrare ragionevole e del tutto in linea con la legge economica questa grande divisione industriale del lavoro, gli americani sfruttarono la teoria dei vantaggi comparati e divisero la terra in due parti: da una parte c’erano gli Stati Uniti, il cui vantaggio stava nel produrre dollari, e dall’altra il resto del mondo. Ma quali erano i vantaggi del resto del mondo? In Cina, per esempio, un vantaggio comparativo potrebbe stare nell’avere molta manodopera a basso costo. Basterebbe questo, è un argomento molto convincente. E con la teoria dei vantaggi comparati, gli Stati Uniti se ne stanno sempre in cima alla catena alimentare dell’economia globale, mentre paesi come la Cina, che hanno molta manodopera a basso costo, possono solo sviluppare industria ad alta intensità di lavoro, rimanendo così sempre in fondo.
Gli americani da una parte e il resto del mondo dall’altra. Era questa l’essenza della grande divisione globale dell’Industria guidata dagli americani, l’ondata di globalizzazione che da allora ha travolto il mondo. Gli americani producono dollari il resto del mondo produce merce che con i dollari verrà scambiata. (…)
L’America ha legato il pianeta al proprio sistema finanziario e la conseguenza di questo modello di commercio è una rapida concentrazione della ricchezza globale negli Stati Uniti, ragione per cui il loro PIL, che per 200 anni non ha mai superato il picco di 7000 miliardi, nei 20 anni successivi al 1990 è raddoppiato, arrivando fino a 18.000 miliardi. E per raggiungere queste cifre in che misura hanno contribuito i paesi emergenti specie il “Made in Cina “? Nessun economista statunitense si è mai soffermato, così come nessun funzionario di governo ne ha mai parlato. Si limitano incolpare la Cina di aver approfittato degli Stati Uniti per molti anni con la gestione del surplus commerciale. (…)