IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

Una nuova forma di civiltà?

Secondo Liang Qiao sbaglia chi pensa che la Cina debba imitare gli USA e superarli nel PIL, nella tecnologia, nella potenza militare. Con Internet sta emergendo una nuova civiltà e per esserne all’altezza i cinesi devono cambiare prima di tutto se stessi.

Con Bretton Woods, gli americani erano sicuri di aver instaurato l’egemonia del dollaro. Tuttavia, si resero presto conto che in realtà questo sistema presentava una falla cruciale: in quanto valuta principale, impiegata anche per il regolamento internazionale, il dollaro statunitense si trovò subito nella poco invidiabile posizione di dover servire due padroni. Come se non bastasse, poiché era responsabile di dover fornire valuta internazionale a tutti gli altri paesi del mondo, i bilanci degli Stati Uniti sarebbero sempre stati inevitabilmente in deficit. E chi poteva fidarsi della valuta di un paese la cui economia era in deficit da così tanto tempo? Questa teoria economica costituisce il famoso “dilemma di Griffin”, che ha afflitto il popolo americano per più di mezzo secolo . Ma il vero motivo per cui sistema di Breton Woods divenne così insostenibile, fu che gli americani combatterono, una dopo l’altra , due guerre che non avrebbero dovuto combattere . (…)

Mentre la guerra imperversava, e le riserve d’oro si prosciugavano e non c’era la possibilità di stampare altri dollari, gli americani pensarono bene che l’unica cosa da fare era infrangere la fiducia del resto del mondo. Il 15 agosto 1971, l’allora presidente americano Richard Nixon annunciò che il dollaro non sarebbe più stato ancorato all’oro (…) Ora gli Stati Uniti erano liberi di produrre tutta la quantità che volevano, cioè, almeno in teoria, di stampare dollari a volontà! In questo modo l’umanità entrava a tutti gli effetti nell’era della pura cartamoneta, ovvero del denaro a credito. È ironico pensare che l’era del denaro a credito sia iniziata proprio insieme alla perdita di fiducia nei confronti di chi emetteva la moneta. Ma gli americani non furono così sciocchi da credere che il solo stampare denaro avrebbe risolto il problema. Di sicuro comprendevano che, stampando troppe banconote, si sarebbero scavati la fossa da soli. (…)

Ma con grande sorpresa di tutti, il mondo accettò e abbracciò questa pratica del governo americano! Invece di colpirla, lo sganciarsi del dollaro dall’oro aveva mantenuto e rafforzato l’egemonia finanziaria statunitense. Perché? Per via della forza economica, tecnologica e militare degli Stati Uniti. Sono questi i tre pilastri che si trovano alla base della credibilità del governo americano e del dollaro. (…)

Non è esagerato dire che questo disegno, questa grande strategia finanziaria americana, è il più grande e più profondo e più pesante segreto nazionale degli Stati Uniti. Perché, seppellita sotto una grande quantità di manuali di testo di economia, questa politica non si trova scritta in nessun libro. Può essere solo percepita e immaginata. E ogni volta  che c’è un cambio di potere, nel momento in cui il presidente americano in carica consegna la valigetta con dentro il detonatore della bomba nucleare al suo successore, deve anche spiegargli come funziona la politica finanziaria dello Stato: gli Stati Uniti devono solo produrre dollari, mentre il resto del mondo deve produrre merce che con i dollari può essere acquistata; deve spiegargli cosa sono davvero la grande divisione internazionale del lavoro e la globalizzazione! E tutto è iniziato nel 1971 con Nixon, il più malvagio di tutti i presidenti degli Stati Uniti. (…)

È stato con il potere nelle sue mani che il dollaro è stato sganciato dall’oro e ancorato al petrolio. Nixon e gli alti funzionari della Federal Reserve (la Banca Centrale degli Stati Uniti) capirono che non potevano affidarsi solo alla potenza economica del dollaro in sé. La maniera migliore per assicurargli una posizione solida era quello di legarlo alla merce più importante del mondo, in modo da fargli trovare subito un altro appiglio nel momento in cui l’ancora dell’oro fosse stata ritirata. Il 6 ottobre 1973 scoppiò la guerra dello Yom Kippur.  All’inizio egiziani e siriani colsero Israele di sorpresa, attaccando su due fronti. Ma presto la situazione si ribaltò, Israele prese il sopravvento. Una guerra che era già stata vinta si risolse in una tregua forzata, con grande sgomento del mondo arabo. I paesi ricchi di petrolio del Medio Oriente allora rimasero uniti nella decisione di riprendersi con i pozzi di petrolio ciò che non erano riusciti a ottenere sul campo di battaglia. Così usarono il petrolio come arma contro l’Occidente, servendosi dell’Opec, su cui avevano il controllo per far aumentare il prezzo del petrolio. (…)

A questo punto, l’allora segretario al tesoro William Edward Simon, venne incaricato di volare a Riyad in gran segreto per incontrarsi con il ministro del petrolio saudita, il primo segretario generale dell’Opec, e dirgli: “Non ci interessa quanto volete alzare il prezzo del petrolio. Ma se volete evitare che gli americani si rivoltino contro di voi, dovete accettare la condizione che tutte le transazioni globali di petrolio siano regolate in dollari USA”. (…)

Si stavano cominciando a delineare i contorni del nuovo impero che gli americani avevano ideato. Un impero coloniale finanziario, diverso da qualsiasi altro nella storia degli imperi. Gli Stati Uniti avevano capito che, invece di fare una follia come quella dei tedeschi e imporsi con la forza su altri paesi, era molto più saggio fare in modo che il mondo fosse appena consapevole del problema di “scambiare ricchezza materiale per un pezzetto di carta verde “. Dopotutto era una transazione di cui gli uomini si servivano da migliaia di anni (denaro in una mano e merce nell’altra), era un “saccheggio civile” e non avrebbe suscitato odio come invece succedeva con il “saccheggio dei potenti”. Era il modo migliore per raggiungere il loro obiettivo di colonizzazione finanziaria: portare il mondo nel sistema finanziario statunitense e lasciare che la ricchezza materiale si riversasse nel loro botti come acqua corrente. È così che nell’ultimo mezzo secolo circa, gli Stati Uniti si sono trasformati da potenza manifatturiera a potenza finanziaria e hanno del tutto modificato il loro modo di vivere e di esistere. (…)

L’Occidente è convinto che l’attuale stile di vita della Cina sia quello di fungere da impianto di trasformazione del mondo. Per essere un impianto di trasformazione globale bisogna ottenere risorse, energia e poi produrre merce. La strategia nazionale deve ruotare intorno a tutto questo. Gli americani, invece possono sopravvivere solo stampando denaro, perché il dollaro è diventato una “merce speciale”, che solo loro possono produrre e di cui tutto il mondo ha bisogno. Perché il mondo ha bisogno di petrolio, e per avere il petrolio servono prima i dollari. Questa è di gran lunga la strategia imperiale meglio riuscita di tutta la storia. E non si tratta affatto di una conseguenza diretta dello sviluppo economico globale o della cosiddetta “globalizzazione”. I fatti parlano chiaro, il dollaro era legato al petrolio prima che avvenisse. In altre parole, la “globalizzazione dell’economia ” è il risultato, e non la causa, della “globalizzazione del dollaro”. Per questo gli Stati Uniti, negli ultimi quaranta anni, hanno a poco a poco sviluppato un proprio sistema di sopravvivenza costruito intorno al dollaro, quello che potremmo chiamare un sistema finanziario strategico.

L’essenza della globalizzazione economica è la globalizzazione del dollaro americano

Con questo grande obiettivo strategico in mente, per soddisfare i propri appetiti gli Stati Uniti dovevano a tutti i costi portare avanti i cambiamenti dell’economia globale. E la prima voce sulla lista era la realizzazione della grande divisione industriale del lavoro mondiale, anche nota come globalizzazione. (…)

Questo portò subito a rifiutare le idee di Keynes e optare invece per quella dell’economia del libero mercato di Milton Friedman come teoria pionieristica per una globalizzazione a guida americana. Per far sembrare ragionevole e del tutto in linea con la legge economica questa grande divisione industriale del lavoro, gli americani sfruttarono la teoria dei vantaggi comparati e divisero la terra in due parti: da una parte c’erano gli Stati Uniti, il cui vantaggio stava nel produrre dollari, e dall’altra il resto del mondo. Ma quali erano i vantaggi del resto del mondo? In Cina, per esempio, un vantaggio comparativo potrebbe stare nell’avere molta manodopera a basso costo. Basterebbe questo, è un argomento molto convincente. E con la teoria dei vantaggi comparati, gli Stati Uniti se ne stanno sempre in cima alla catena alimentare dell’economia globale, mentre paesi come la Cina, che hanno molta manodopera a basso costo, possono solo sviluppare industria ad alta intensità di lavoro, rimanendo così sempre in fondo.

Gli americani da una parte e il resto del mondo dall’altra. Era questa l’essenza della grande divisione globale dell’Industria guidata dagli americani, l’ondata di globalizzazione che da allora ha travolto il mondo. Gli americani producono dollari il resto del mondo produce merce che con i dollari verrà scambiata. (…)

L’America ha legato il pianeta al proprio sistema finanziario e la conseguenza di questo modello di commercio è una rapida concentrazione della ricchezza globale negli Stati Uniti, ragione per cui il loro PIL, che per 200 anni non ha mai superato il picco di 7000 miliardi, nei 20 anni successivi al 1990 è raddoppiato, arrivando fino a 18.000 miliardi. E per raggiungere queste cifre in che misura hanno contribuito i paesi emergenti specie il “Made in Cina “? Nessun economista statunitense si è mai soffermato, così come nessun funzionario di governo ne ha mai parlato. Si limitano incolpare la Cina di aver approfittato degli Stati Uniti per molti anni con la gestione del surplus commerciale. (…)

Alcuni intellettuali cinesi in buona fede hanno difeso gli Stati Uniti dipingendoli come una nazione giusta e democratica sulla base del fatto che non hanno mai occupato nemmeno un centimetro di territorio di un altro paese; a prima vista potrebbe anche sembrare che sia vero. Ma non è anche vero che l’occupazione di un altro paese tramite il dollaro è decisamente meno costosa? E così a buon mercato da non costare quasi nulla al governo. Finché in un paese il dollaro è in circolazione, finché c’è bisogno di riserve in valuta estera, l’America lo può occupare con la propria moneta. Non necessariamente ne saccheggerà le risorse, ma si prenderà denaro e ricchezze materiali a costo zero, tramite un pezzetto di carta verde. In cosa questa operazione è diversa dal saccheggio degli altri imperi della storia? Gli Stati Uniti non hanno costretto i cinesi ai lavori forzati come facevano i vecchi colonialisti, ma hanno lasciato alla “Foxconn” di Terry Gou (multinazionale di componenti elettroni di Taiwan) il compito di organizzare la manodopera per svolgere i lavori più redditizi a salari davvero bassissimi. (…)

Dietro la cortina di fumo Perché l’America fa la guerra?

Tra qualche anno quando qualcuno domanderà perché gli americani hanno combattuto la guerra in Iraq, la risposta standard sarà: per il petrolio. Ma cosa rispondere, quando sarà chiesto anche perché hanno occupato l’Iraq senza prendere nemmeno un barile gratis? E perché si sono messi allo stesso piano del resto del mondo, soffrendo per i prezzi troppo alti del petrolio? La risposta a questa domanda, invisibile ai più, è che il commercio mondiale del petrolio è legato al dollaro Americano. Quando gli Stati Uniti hanno invaso l’Iraq, la prima conseguenza è stata l’alzarsi del prezzo globale del petrolio. E che cosa era successo, quando il prezzo del petrolio era salito e le transazioni erano regolate in dollari? Che questa impennata di prezzi aveva fatto salire la domanda globale di dollari, e che quindi gli americani erano riusciti a crearla attraverso la guerra. Prima della situazione in Iraq, un barile di petrolio costava 38 dollari, dopo il conflitto quasi 150. Ciò significava che una guerra aveva aumentato la domanda di dollari di più del triplo. Nel momento in cui il mondo aveva bisogno di più dollari per comprare petrolio, era il governo degli Stati Uniti, oltre a quello dei paesi produttori di petrolio, il più felice di tutti. Il governo americano non è certo un filantropo che vi darà dollari gratis, dovrete sempre scambiare i vostri prodotti, entrando ancora una volta nel loro circolo di “merci e materiale per pezzetti di carta verde “. Così il governo degli Stati Uniti può giustificare la stampa di denaro e non usare l’alleggerimento quantitativo per emettere più dollari visto che c’è poca domanda, come succede oggi con la crisi finanziaria. In questo modo, arrivano più dollari anche ad altri paesi, quelli produttori di petrolio e quelli che hanno bisogno di acquistarne. Ma cosa se ne fanno poi, con tutti questi dollari? Oltre ad essere un felice simbolo di ricchezza, in realtà la prospettiva che diventi semplice carta è preoccupante, visto che il dollaro si sta svalutando a un ritmo sempre maggiore. In pratica perde valore ogni giorno, e l’unica opzione disponibile è quella che gli americani hanno preparato: comprare titoli del tesoro USA. L’acquisto di queste obbligazioni ha portato al ritorno di enormi quantità di dollari negli Stati Uniti, rendendoli il paese più indebitato del mondo. Ma allora, perché L’America ha bisogno di lasciare che i dollari, che stanno facendo il giro di tutto il mondo, rientrino sotto forma di titoli del tesoro? Perché gli Stati Uniti non sono preoccupati per un deficit permanente delle partite correnti, ma sono molto preoccupati per un deficit a breve termine del conto capitale? Per dirlo in parole povere, con un tasso di risparmio quasi nullo gli Stati Uniti devono sempre mantenere un surplus del conto capitale, che era di circa 700 miliardi di dollari all’anno intorno al 2001, e cioè un flusso giornaliero netto e due miliardi di dollari. Pertanto gli Stati Uniti hanno bisogno di una grande quantità di capitale mondiale da fare affluire nelle proprie casse al fine di mantenere la liquidità della loro vita economica normale, altrimenti la maggior parte degli americani non sarebbe più in grado di continuare la bella vita con il conto scoperto sulla carta di credito. Quindi gli Stati Uniti non hanno paura del deficit delle partite correnti, ma temono il deficit del conto capitale. E per mantenere un’eccedenza del conto capitale, non esiteranno certo a usare i mezzi della guerra per danneggiare l’ambiente e l’investimento di altri Paesi, facendo un po’ come quando si radunano le pecore, per riportare dollari in America. Dunque anche se entrambe le guerre in Iraq sono state combattute in apparenza per il petrolio, in realtà il motivo era dollaro. Perché ogni volta che c’è una guerra in una regione produttrice di petrolio il prezzo aumenta, e così la domanda di dollari. Così gli americani possono iniziare a stampare più denaro e ottenere più ricchezza materiale dal mondo, è semplice.

Un altro segreto di cui pochi sono al corrente è che dopo il lancio dell’Euro, nel novembre del 2000, Saddam annunciò che le esportazioni di petrolio iracheno sarebbero state regolate con la nuova moneta. Questa mossa in pratica metteva in discussione il dollaro come valuta di regolamento del petrolio, con il risultato che il presidente Bush Jr. mandò Saddam alla forca in una guerra asimmetrica. E il primo decreto emesso dal governo dell’Iraq democraticamente eletto, istituito sotto il fuoco degli Stati Uniti, fu di tornare al dollaro Usa per il commercio di petrolio iracheno. (…)

Rinascita o declino

La crisi finanziaria del 2008 ha colpito piuttosto duramente gli Stati Uniti. Dopo diversi anni di insicurezze e instabilità, alla fine hanno deciso di intraprendere una grande cambiamento di Focus strategico. Obama si è proclamato “il primo presidente americano del Pacifico”. Il segretario di stato Hillary Clinton ha anche pubblicato un articolo intitolato “Il secolo del Pacifico americano”, in cui dichiarava che la missione più importante della diplomazia statunitense nel decennio a venire sarebbe stata quella di aumentare in maniera significativa i suoi impegni diplomatici, economici, strategici e di altro genere nella regione Asia-Pacifico. (…)

Questo “ritorno in Asia” di alto profilo da parte degli Stati Uniti porta con sé una serie di obiettivi strategici: il primo, è quello di occupare la posizione di leader in Asia e nel Pacifico, dominare il secolo del Pacifico” e assicurarsi che questo continui ad essere la “macchina sputa soldi” americana, rimanendo disponibile a fare da base per la competizione con le zone dell’Euro; il secondo è quello di contenere lo slancio della Cina e non permettere a nessun paese di sfidare la loro egemonia. Secondo l’FMI nel 2016 il PIL totale della Cina potrebbero raggiungere quello di Stati Uniti, superandolo notevolmente entro il 2030 (…)

Anche se è solo una congettura, la prospettiva è abbastanza preoccupante da far sudare freddo gli americani. Per ritardare questa previsione, o addirittura impedire che diventi una spaventosa realtà, l’amministrazione di Obama, anche se ancora un po’ a disagio per la possibilità di un’Europa unita integrata dalla Germania, ha deciso di spostare il suo Focus strategico e di circondare la Cina con una serie di azioni repressive su due fronti, quello geopolitico e quello monetario, nel tentativo di frenare lo slancio sul nascere. (…)

Una volta, discutendone con alcuni accademici americani, ho detto loro: “voi pensate che la Cina sia il rivale più forte degli Stati Uniti, ma vi sbagliate. La vera minaccia al vostro futuro, soprattutto alla posizione globale. Sono gli Stati Uniti stessi “. È per colpa di questa innovazione che l’America si è messa sulla via del declino. Gli americani sono sempre stati orgogliosi di affermare che gli Stati Uniti sono gli “innovatori numero uno al mondo “. E, in effetti, hanno portato il mondo progredire nella scienza e nella tecnologia; guidando così anche la vita economica dell’umanità. Ma chi avrebbe mai pensato che sarebbe stata l’ultima di queste innovazioni a portare a un’inevitabile rovina? Di tutte le innovazioni di cui gli Stati Uniti sono orgogliosi la più importante è Internet. Fin dai suoi esordi Internet ha agito come un moltiplicatore di efficienza per la produzione industriale, la vita economica e la trasformazione militare. Ma quando Internet è diventato globale, ha cambiato tutto in modo irreversibile, poiché ha rivelato la sua caratteristica essenziale più importante: la decentralizzazione.

Perché la “decentralizzazione” porterà al declino degli Stati Uniti? Perché sarà lei a ricostruire il potere. Quando Internet sarà diffuso, la tendenza alla “decentralizzazione” e al “policentrismo” emergerà, anche senza che nessuno lo voglia. Allora darà origine alla multipolarità ricercata oggi da tutti i paesi del mondo, tranne gli Stati Uniti, e quindi alla fine decostruirà l’egemonia americana.

Ma è chiaro che gli Stati Uniti, oggi, ancora non se ne sono resi conto, anche se già temono il proprio possibile declino. Invece di pensare con mente lucida a come rispondere alla tendenza portata da Internet, facendo i dovuti aggiustamenti, gli Stati Uniti sono intenti a ripetere gli stessi errori che hanno caratterizzato il declino di tutti gli imperi nel corso della storia: pensano che, sopprimendo i cosiddetti sfidanti, saranno in grado di mantenere la loro egemonia e che il XXI secolo rimarrà il “secolo americano” . Come risultato di questo grave errore strategico, un certo numero di politici statunitensi alla fine ha deciso di prendere di mira la Cina. (…)

Questo non è certamente una buona cosa per la Cina, ma non è nemmeno del tutto un male. I cinesi amano dire che “senza pressioni, le persone sono troppo leggere e svolazzanti”, perciò quando la pressione americana viene esercitata, c’è il potenziale per un forte contraccolpo cinese. (…)

Ecco perché mi sento di affermare che il vero nemico degli Stati Uniti non è la Cina ma i nuovi modelli industriali e di scambio che stanno per nascere. Entrambi cambieranno il gioco del capitale a cui gli americani si sono abituati e persino un po’ assuefatti. Sarà un processo molto doloroso per gli Stati Uniti, ma quasi impercettibile per la Cina, che non ha mai provato il brivido di un’egemonia monetaria nel mondo e non ha ancora completato il suo aggiornamento da economia reale a una finanziaria. Se vogliamo andare ancora oltre e fare delle ipotesi, quando l’economia di Internet diventerà pienamente popolare e i pagamenti elettronici, gli acquisti con carta di credito e le transazioni online diventeranno un modello di business di base dell’umanità, il dollaro americano si ritirerà dal campo dello scambio e dal pagamento, e diventerà solo una misura di valore, un’unità di misura, un simbolo, un concetto. Ciò significa che gli americani dovranno rinunciare alla loro egemonia basata sul dollaro, sia attivamente che passivamente. Gli Stati Uniti possono continuare ad essere un impero che si affaccia al mondo senza la loro egemonia del dollaro? E da questa prospettiva, e in questo senso, che dico: gli Stati Uniti declineranno.
(…)

La sfida per la Cina

Al momento siamo ancora ciechi, pensiamo ancora che il sogno di ringiovanimento della Cina possa essere realizzato solo superando gli Stati Uniti in tutte le sue forze esistenti: il PIL, la tecnologia, la potenza militare, il soft power. E questa è solo ipocrisia priva di immaginazione. Perché, se anche arrivassimo a fare ciò, non sarebbe altro che una replica senza vita dell’America di oggi non la nascita di una nuova civiltà. (…)

La Cina deve scegliere una nuova linea che rifiuti sia i vecchi percorsi sia quelli degli Stati Uniti, entrambi ormai non più praticabili. In altre parole, deve lasciarsi alle spalle il modello materiale che l’ha portata al successo negli ultimi trenta anni circa: il dividendo del lavoro a basso costo, l’efficienza generata dal potere di ricerca di rendita dei funzionari governativi e lo spettacolare effetto ricchezza scatenato dal moderno sistema finanziario e dalla creazione di enormi quantità di credito. Questi tre motori, che una volta funzionavano insieme ad alta velocità, ora stanno rallentando o hanno perso potenza, segnalando quindi che è arrivato il momento di cambiare rotta. Ciò vuol dire che sta emergendo una nuova forma di società che nessun essere umano ha mai sperimentato prima, una nuova opportunità per il mondo e per la Cina. (…)

Poiché le carte della storia sono state girate, ciò che la Cina deve fare non è impegnarsi in una lotta di potere contro gli Stati Uniti e permettere a se stessa di imbarcarsi, senza volerlo, in un viaggio imperiale di non ritorno imitando i suoi rivali. Non dovrebbe essere questo, il destino della Cina, merita un risultato migliore. E dovrebbe lasciare che il mondo lo condivida con lei. Ma questo richiede che i cinesi cambino prima se stessi. Su questa base, poi, potranno sviluppare un rapporto e un sistema di credito che i cinesi stessi potranno rispettare e che il mondo riconoscerà, creando così una metateoria e dei metavalori che potranno trascinare tutto il popolo cinese e anche tutta l’umanità in una nuova civiltà. Questo sì che è un modo sincero di aderire e abbracciare la tendenza storica della società umana portata da Internet. Naturalmente, la Cina non sarà l’unica a muoversi verso questa tendenza, ma il vincitore finale dovrà essere colui che otterrà il punteggio più alto nelle sfide di cui parlavamo qui sopra. E la mia preghiera è che gli dei del destino favoriscono la Cina.

[Liang Qiao, L’ arco dell’impero. Con la Cina e gli Stati Uniti alle estremità, Leg edizioni 2021]

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