IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

La de-dollarizzazione dell’economia globale

L'uso del dollaro come arma contro la Russia ha indotto molti paesi a concepire un’alternativa all’egemonia statunitense. Il ridimensionamento della moneta USA rappresenta un colpo decisivo allo status imperiale degli Stati Uniti?

Il vascello atlantico procedeva da tempo con una navigazione più o meno tranquilla in un quadro di sostanziale stagnazione dell’economia, di produzione globalizzata, di finanziarizzazione, di redistribuzione dei redditi e delle ricchezze verso l’alto della piramide, di rivoluzione digitale (Rikap, 2023), quando esso è incappato nello scoglio cinese.

La competizione strategica USA-CINA

La lotta degli Stati Uniti contro la Cina per evitare che essa eguagli o superi l’America sui fronti commerciale, economico, tecnologico, militare, finanziario, o almeno per rallentare in qualche modo la sua marcia, sta toccando livelli parossistici.

Gli Usa non sopportano che la Cina sia da diversi anni il primo paese del mondo per scambi commerciali; che lo sia anche in relazione al PIL, se consideriamo il criterio della parità dei poteri di acquisto. Mentre secondo alcuni studi (forse un poco ottimistici) la Cina sopravanza ormai gli Stati Uniti in 37 settori tecnologici sui 44. Il dominio degli Stati Uniti sulla Cina e sul mondo riposa comunque tuttora su due settori economici chiave, i chip e il dollaro.

Sul primo fronte, Biden ha di recente scatenato un’offensiva generale, dopo quella nel settore del 5G, contro la crescita del paese asiatico nel campo dei semiconduttori (ora si sta indirizzando anche al cloud computing e all’intelligenza artificiale), coinvolgendo nella sua crociata tutti i paesi alleati. Si può dubitare che tale strategia abbia alla fine successo, ma nel breve termine essa procurerà qualche problema al “nemico” asiatico. Eppure, la chiave di volta per definire l’egemonia mondiale si gioca soprattutto sul fronte delle valute.

La persistente egemonia del dollaro

Il dollaro, nonostante che il peso dell’economia Usa sul totale mondiale, considerando il criterio della parità dei poteri di acquisto, si aggiri ormai intorno al 15% e  che la sua quota nel commercio si collochi intorno al 17%,  resta ancora la valuta dominante; essa regola il  43% degli scambi commerciali mondiali, rappresenta il 59% delle riserve delle banche centrali e il 65% dei prestiti mondiali. Inoltre, gli Stati Uniti controllano il circuito Swift, che serve a regolare le transazioni bancarie internazionali ed anche le istituzioni commerciali e finanziarie internazionali (IMF, WB, WTO). Il paese americano, insomma, gode ancora di un “esorbitante privilegio”, secondo la celebre espressione di Valery Giscard d’Estaing.

È chiaro che la dollarizzazione del mondo permette agli Usa di consumare più di quello che produce e di proiettare il suo soft power sul globo; può stampare tranquillamente dollari, quando ne abbia necessità, senza sottostare ai vincoli cui sono condizionati gli altri paesi e vivere tranquillamente con un grande deficit di bilancio ed un enorme debito nazionale.

Negli ultimi decenni, gli Stati Uniti hanno utilizzato l’arma dell’embargo e del dollaro come strumento primario della loro politica estera; così è stato ad esempio, per i casi più noti, per Cuba, l’Iran, la Corea del Nord e il Venezuela, con il blocco del circuito Swift, il sequestro delle loro riserve valutarie e così via. Siamo arrivati al punto che circa il 30% dei paesi del mondo sono oggi sotto sanzioni da parte degli Usa, dell’Unione Europea, del Giappone e della Gran Bretagna (Sharma, 2023).

Le sanzioni hanno effetti negativi sui livelli di povertà nei paesi toccati, nonché sulle diseguaglianze economiche e sociali e sulle condizioni di salute delle popolazioni; la dimensione dei danni è drammatica, afferma uno studioso (Rodriguez, 2023). Ma in Occidente chi se ne cura?

Con la guerra in Ucraina le sanzioni punitive hanno acquisito una dimensione inedita e i governi occidentali (si narra che l’idea sia partita da Mario Draghi) hanno bloccato circa 300 miliardi di dollari delle riserve valutarie russe ed espulso la stessa Russia dal circuito Swift, arrivando poi a impedire in molti modi l’esportazione e l’importazione di beni e servizi. Più di cento paesi non hanno accettato di imporre queste sanzioni e altri Stati hanno solo fatto finta di farlo (Newman, 2023).

La dedollarizzazione come reazione alle sanzioni occidentali

Ma la “weaponizzazione” del dollaro non ha spaventato solo la Russia. Molti altri paesi hanno cominciato a pensare che l’Occidente prima o poi avrebbe potuto imporre simili misure anche a loro. Così le sanzioni contro la Russia rischiano di ritorcersi contro chi le ha adottate, dopo che del resto le pesanti regole poste a carico del paese non sembrano avere funzionato molto bene. La fuga dal dollaro sembra assumere al momento la forma di una valanga. L’eventuale ridimensionamento della moneta Usa a favore dello yuan o di una pluralità di valute porterebbe un colpo decisivo allo status e all’egemonia degli Stati Uniti, mentre ne uscirebbero notevolmente ridimensionati anche gli altri paesi occidentali.

Un effetto sarebbe quello di una diminuzione di attrattività dei titoli del debito pubblico Usa, con maggiori rendimenti e maggiori oneri per la restituzione del debito, cosa che con il tempo spingerebbe ad una riduzione della spesa pubblica del paese e poi a maggiori tasse e/o maggiore inflazione (Earle, 2023). Peraltro, il processo in atto dovrebbe essere presumibilmente lento e graduale e dagli esiti complessivi tuttora abbastanza poco chiari.

La valuta alternativa dei Brics

I Brics stanno lavorando per creare una nuova valuta alternativa al dollaro e ne dovrebbero discutere durante il loro prossimo vertice in agosto. Essa sarebbe sostenuta dall’oro e da altri beni. Intanto all’incirca venti paesi hanno espresso interesse a entrare nell’organizzazione, sebbene ci siano difficoltà legate alla non omogeneità dei paesi del Brics, in particolare ai contrasti tra Cina ed India. Procede anche la SCO, organizzazione creata da Russia, Cina e quattro repubbliche dell’Asia Centrale (Mandraud, Théron, 2023), cui hanno poi aderito l’India e il Pakistan, mentre alla fine sono coinvolti in qualche modo altri 22 paesi. Anche in questo caso si discute di dedollarizzazione.

Nel mese di febbraio 2023 lo yuan ha superato per la prima volta il dollaro nel volume degli scambi mensili tra la Cina e la Russia. Intanto le imprese russe hanno cominciato ad emettere obbligazioni in renmimbi. Nelle transazioni cinesi con il resto del mondo nelle ultime settimane sembra che l’impiego dello yuan abbia superato quello del dollaro.

Gli accordi della Cina con i paesi del Golfo potrebbero portare all’avvento del petro-yuan al posto del petro-dollaro per quanto riguarda, ma non solo, gli scambi dei prodotti energetici. La Malaysia ha proposto alla Cina la creazione di un fondo monetario asiatico.

La Cina ed il Brasile hanno raggiunto un accordo per regolare le loro transazioni commerciali nelle loro rispettive valute. Sempre la Cina ha sottoscritto accordi di clearing con il Pakistan, il Kazakhistan, il Laos ed altri (i paesi dell’Asean). Anche l’Iraq e il Vietnam prefigurano la possibilità di regolare i loro scambi con la Cina in yuan, che intanto sta intanto portando avanti il suo progetto di moneta digitale. Esso ha già oggi circa 300 milioni di utenti e il suo sviluppo potrebbe consentire alla Cina di avere la sua rete di pagamenti globali in yuan mantenendo il controllo sui movimenti di capitale. A marzo 2023 la francese Total ha effettuato il suo primo pagamento in yuan ad una compagnia petrolifera cinese per un carico di gas liquefatto. In gennaio è stato raggiunto un accordo tra Iran e Russia per sostituire il sistema Swift. Anche Russia e Cina stanno lavorando a connettere i loro sistemi di comunicazione bancaria.

Intanto l’India sta cercando di seguire la stessa strategia della Cina con la volontà di arrivare a regolare il suo commercio estero in rupie (Asia Financial, 2023). Diciotto paesi si sono dichiarati d’accordo in tale senso. Anche la Russia e l’India dovrebbero regolare il loro commercio reciproco in rubli ed in rupie. C’è un accordo tra l’India e la UAE per usare la rupia e il dirham.

Anche la banca centrale turca ha dichiarato di voler insistere sullo sforzo di dedollarizzazione. Il Brasile e l’Argentina hanno deciso di lavorare alla creazione di una valuta comune. Singapore e la Tailandia hanno connesso i loro sistemi di pagamenti in tempo reale. Anche la banca malese e quella tailandese permettono ormai dei regolamenti diretti nelle loro monete, mentre cinque banche dell’Asia del sud-est hanno firmato un accordo di interconnessione dei loro sistemi di pagamento.

Il prezzo dell’oro è aumentato del 20% negli ultimi sei mesi (Sharma, 2023), mentre si distinguono nella corsa all’acquisto del metallo Cina, Russia, Iran e molte altre banche centrali dei paesi in via di sviluppo, mentre assistiamo alla riduzione dei titoli di Stato Usa detenuti dai vari paesi. Così in Cina si è passati dai 1200 miliardi di dollari di metà 2017 agli 859 del 31 gennaio del 2023; in Arabia Saudita dai 185 miliardi dei primi mesi del 2020 ai 111; in Brasile dai 320 miliardi di metà 2018 ai 214.

La crisi delle istituzioni internazionali tradizionali

Le organizzazioni che hanno a lungo servito gli interessi Usa per governare il mondo sono ormai in crisi sistemica. Il WTO è da anni bloccato dagli Stati Uniti a cui evidentemente il libero commercio non serve più. La Banca Mondiale sembra volgersi verso l’irrilevanza, con poche risorse, poche idee sulla strategia e con la concorrenza delle finanziarie cinesi. Anche il FMI appare molto incerto sul suo futuro (The Economist, 2023).

Oggi un rilevante numero di paesi emergenti è in gravi difficoltà finanziarie e non riesce a ripagare capitale ed interessi sui prestiti a suo tempo ricevuti. Una volta questioni di questo tipo erano risolte nell’ambito del club di Parigi, che riuniva i paesi occidentali. Ma ora la Cina è diventato il primo paese per quanto riguarda i prestiti bilaterali ed essa si rifiuta di accettare le strategie decise dal FMI, tanto più che le ristrutturazioni prevedono che i creditori rinuncino ad una parte del loro credito, mentre lo stesso FMI no. La Cina a questo punto dichiara che non taglierà i suoi crediti se anche lo stesso FMI non accetterà di fare altrettanto; essa pone comunque l’alternativa di assumere un peso maggiore all’interno dell’organizzazione, cosa che gli occidentali rifiutano. Il FMI è bloccato.

Per una nuova Bretton Woods

Le sanzioni inflitte dai paesi occidentali dopo lo scoppio della guerra in Ucraina stanno avendo conseguenze impreviste. E’ in atto un grande sforzo, da parte di moltissimi paesi emergenti, di ridurre il peso del dollaro nei loro affari; non è chiaro quanto questa ondata sarà realmente forte, quanto sarà veloce e sino a dove essa porterà. Per esplorare due opposte previsioni sul futuro del dollaro si vedano ad esempio Roubini, 2023 (molto negativo in proposito) e Krugman, 2023 (più ottimista).

I problemi del sistema monetario internazionale potrebbero essere risolti con la messa in opera di una nuova Bretton Woods, che in ogni caso lasci un posto adeguato ai paesi emergenti, arrivando a determinare un nuovo sistema monetario pluralista, mentre riformi profondamente IMF, WB, WTO. Ma gli Stati Uniti non hanno nessuna volontà di andare in quella direzione.

Alla Cina non sembra interessare tanto di sostituire il dollaro come moneta di riserva mondiale con lo yuan, ma di mettere insieme un blocco di paesi per creare un sistema valutario alternativo o anche di ridurre comunque il peso del dollaro, annullando così comunque il potere di ricatto degli Usa.

Può darsi che lo stesso dollaro rimanga ancora a lungo la moneta più importante, ma sarà per lo meno affiancata da altre valute, in primo luogo, ma non necessariamente solo, da quella cinese; un’ipotesi possibile è che sia la moneta dei Brics a prendere la scena.

Le difficoltà del cambio di passo sono comunque numerose. Intanto lo yuan è una moneta “gestita”, il cui livello viene nella sostanza deciso da Pechino sulla base dei suoi interessi. Il rifiuto delle autorità del paese di arrivare ad una piena convertibilità della moneta è legata alla volontà di mantenere il controllo su di essa e di non lasciarlo invece al mercato (cioè nella sostanza agli Stati Uniti), anche se nel corso del tempo sono stati prese progressivamente delle misure per allentare la presa. Ora lo sviluppo della moneta digitale potrebbe comunque cambiare almeno in parte le cose. Intanto non mancano altre difficoltà; la Russia ha qualche problema tecnico ad accettare che l’India paghi le sue esportazioni in rupie se non in parte.

Per altro verso, ci sono ostacoli storici, tecnologici, finanziari e di costume all’abbandono del dollaro, che è la moneta di fatto di alcuni paesi, mentre 22 banche centrali hanno legato la loro moneta allo stesso dollaro (Earle, 2023). La valuta Usa continua ad avere tre grandi vantaggi (Krugman, 2023): il primo è la sua incombenza, e diffusione, in quanto, poiché tutti usano già i dollari, ci vorrebbero circostanze eccezionali per spingere alcuni a paesi a cambiare valuta; il secondo vantaggio è che i mercati finanziari USA sono deregolamentati e estremamente liquidi, poiché non ci sono controlli sui movimenti di denaro in entrata ed in uscita; il terzo, infine, è l’esistenza del governo della legge (rule of law) negli Stati Uniti.

La decisione di ridimensionare il dollaro è per molti paesi non tanto frutto di un calcolo economico, ma piuttosto politico, legato alla possibilità di sopravvivenza autonoma.  Quindi il processo andrà avanti e decine di paesi ormai fanno a gara per entrare nella corsa alla dedollarizzazione. Per quanto riguarda ancora le argomentazioni di Krugman, sembra proprio che le circostanze eccezionali necessarie per cambiare ci siano tutte; quanto al governo della legge, il caso russo con la “weaponizzazione” del dollaro, l’ultimo di una lunga lista, mostra che le norme cambiano facilmente secondo gli interessi USA del momento. Chissà, alla fine dei giochi potremmo anche assistere a dei mutamenti molto grandi, oggi persino impensati.

Testi citati nell’articolo

-Asia Financial, India push to settle global trade in rupees “not without risks”, www.asiafinancial.com, 9 marzo 2023.

-Earle P. C., De-dollarization has begun, www.aier.org, 4 aprile 2023.

-Krugman P., Wonking out: international money madness strikes again, www.nytimes.com, 14 aprile 2023.

-Mandraud I., Théron I., Le sommet de Samarcande constitue le berceau d’une alliance capable de défier l’occident, Le Monde, 19 aprile 2023.

-Newman J., Why the US dollar has become an at-risk currency, www.nypost.com, 11marzo 2023.

-Rikap C., Capitalism as usual ?, New Left Review, gennaio-febbraio 2023

-Rodriguez F., The arm that sanctions do to the vulnerable, www.ft.com, 4 maggio 2023.

-Roubini N., A bipolar currency regime will replace the dollar’s exorbitant privilege, www.ft.com, 5 febbraio 2023.

-Sharma R., What strong gold says about the weak dollar, www.ft.com, 23 aprile 2023.

The Economist, The IMF, nightmare on 19th street, 8 aprile 2023.

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