Se il diritto costituzionale fosse veramente una scienza, oggi i costituzionalisti sosterrebbero all’unisono l’incostituzionalità del disegno di legge costituzionale Meloni-Casellati che introduce l’elezione diretta del Presidente del Consiglio dei ministri. E invece così non è, e il dibattito suscitato dall’esercizio (illegittimo) di potere costituente – nel quale consiste la proposta presentata – ci ha in gran parte intrattenuti intorno a miti distinguo rispetto a specifici profili assunti come questioni tecniche eventualmente da perfezionare per il raggiungimento dell’obiettivo. Il dibattito è il sintomo, forse definitivo, dell’incapacità del diritto costituzionale di dimostrarsi efficace rispetto alla portata pervasiva del decisionismo politico, della irrefrenabile spontaneità dello scontro politico, del ripiegamento irrazionalistico verso la ricerca del massimo profitto politico immediato…insomma di quanto più distante si possa concepire dal modello di società e di Stato delineato dalla Costituzione del 1947.
La convinzione che il costituzionalismo sia divenuto mero sentimentalismo deriva dal fatto che dopo decenni di predicazioni intorno al «costituzionalismo per valori» e alle concezioni sostanzialistiche della costituzione, alla teoria dei principi supremi e dei limiti assoluti alla revisione costituzionale, l’unico concetto che si sta dimostrando veramente “scientifico” è quello di «forza della legge costituzionale»: legge costituzionale che, con pochissime macchie d’inchiostro su un pezzo di carta, avrebbe la pretesa di travolgere un modello politico storicamente radicato sin dall’Unità d’Italia. Una bella rivincita del positivismo duro e puro, direi, contro tutte le prediche e i catechismi dei sacerdoti (neo)costituzionalisti.
Legge ordinaria, legge di revisione, atto costituente: tra le prime due categorie vi è una differenza formale, che attiene al rispettivo procedimento di formazione; tra le ultime due vi è una differenza materiale, che attiene alla violazione, da parte dell’atto costituente, di un limite di contenuto oltre il quale la legge di revisione (legalmente prodotta) non può più essere considerata come atto di esercizio di un potere costituito. Si tratta di categorie predicate da decenni e confermate dalla giurisprudenza costituzionale che ha ritenuto sottoponibili al giudizio d’illegittimità costituzionale anche le leggi costituzionali alla luce dei «principi supremi» quali parametri della loro validità. Al fondo stava l’idea che non si potesse risolvere la Costituzione nelle leggi costituzionali, e cioè che una Costituzione non potesse qualificarsi solo per i suoi contrassegni formali.
Questo ci era stato insegnato. Come è possibile adesso che nel dibattito non si ragioni in questi termini, con queste categorie, e che si dia per scontato che qualora il ddl Meloni venisse approvato ed entrasse in vigore si applicherebbe pianamente il criterio cronologico tra disposizioni costituzionali formalmente legittime che si susseguono nel tempo?
Certo, potrebbe sorgere la domanda, siamo sicuri che il parlamentarismo – il principio che il Governo nasca e muoia in Parlamento – sia inderogabile fondamento per l’esercizio della sovranità popolare come presupposto dalla Costituzione, e che rientri dunque tra i limiti taciti alla revisione costituzionale, in quanto conseguenza di un’interpretazione complessiva della Costituzione? Se il nucleo essenziale della Costituzione è la sua natura armistiziale, in quanto “casa di tutti” – natura che conseguentemente non può non trasferirsi sulla modalità di organizzazione del processo di determinazione della politica nazionale – allora la risposta non può che essere positiva: questa proposta travolge la natura convenzionale della Costituzione e del modello di società presupposto.
E invece oggi si dibatte sulle modalità tecniche per raggiungere l’obiettivo nel modo più “corretto”: e l’obiettivo è l’introduzione di un modello che prevede l’acclamazione istantanea della “femme du peuple” e il successivo annullamento dell’esercizio della politica nel suo impegnativo significato che richiede saggezza e disponibilità a tenere in considerazione le ragioni dell’Altro/a. Strano destino del femminile, che era sempre stato associato all’idea della ricerca della mediazione, della costruzione di legami, della pratica della cura come responsabilità collettiva, e dunque profondamente politica.
Su questo, come costituzionalisti, siamo chiamati ad interrogarci