IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

Siamo ancora umani?

C’era una volta la curiosità. Oggi tutto l’umano diventa estraneo. Nel tempo dell’IPhone stiamo diventando oggetti senza potere di decisione. Il capitalismo ha “dimenticato” che l’uomo è la forza produttiva decisiva. Come ricordarglielo?

La domanda che vuole indagare la perdita dell’umanesimo occidentale canonizzato nell’età dei lumi va vista in un quadro ampio. La natura umana non è mai data. É un progetto aperto. Siamo umanoidi in una evoluzione sempre più veloce e sempre più autoprodotta dagli stessi esseri umani. La novità di questo processo sta nella sua velocità e nel peso assunto dall’attività umana. Non solo la terra, gli animali e le piante, anche il genere umano muta quasi a vista d’occhio sotto la spinta di una incredibile quantità (e qualità) raggiunta dalla produzione di merci. Sotto la sua spinta la stessa storia della natura, lenta e inesorabile, pare abbia perso il suo ritmo. Il mondo si fa sempre più artificiale. E noi ce ne accorgiamo sorpresi e preoccupati. «Tutto l’umano/ diventa estraneo» ha scritto Heiner Müller nel 1993.

C’era una volta la curiosità

La lunga storia di costruzione dell’uomo moderno è stata accompagnata dalla curiosità degli uomini di esplorare la propria natura. Conoscere l’umanità, i suoi istinti, le sue passioni prodotte dalla natura e dalla cultura è stato l’obiettivo ultimo delle arti (ancora prima della scienza), in particolare del teatro e della letteratura. I miti antichi e le grandi opere di Dante, Shakespeare, Goethe ci guidano fino ad oggi nei nostri modi di conoscere e di giudicare la natura umana. Nelle loro figure riconosciamo ancora senza difficoltà i vari Putin, Netanyahu, la Meloni, papa Francesco, tutti i benefattori dell’umanità e i suoi grandi criminali. Tuttavia alcune scoperte scientifiche del primo ‘800 hanno cambiato profondamente il nostro modo di vedere la natura umana.  Faccio solo due nomi, Darwin e Marx. É molto affascinante leggere il pensiero dei due scienziati come ricerche parallele: Darwin con le sue considerazioni sull’evoluzione delle specie ha dato alla nostra domanda un impulso rivoluzionario. Marx lo ricorda con gratitudine occupandosi di un altro lato della storia naturale e culturale dell’umanità. L’essere umano, incapace di sopravvivere da solo, è costretto ad associarsi.  Possibilità e limiti dello sviluppo della specie umana dipendono infatti dalle forme sociali di associazione e di cooperazione. Gli individui fanno le loro scelte all’interno di queste forme sociali. Ma possono anche opporsi, ribellarsi. Nelle sue cosmicomiche Italo Calvino descrive una figura, “lo zio acquatico”, ritenuto da tutti antiquato, perché rifiuta la vita sulla terra e vuole ostinatamente continuare la sua vita nell’acqua. Una nipote affascinata da questa superata forma di vita la sceglie e si innamora infine anche dello zio solitario. L’uomo moderno invece pare sia incapace di fare scelte di questa portata. Il progresso tecnico lo spinge in modo irresistibile verso mondi sempre nuovi.

Lo sviluppo tecnologico era subordinato ai bisogni

Siamo dunque costretti a seguire nell’evoluzione della nostra natura le forze cieche del progresso tecnico, del mercato e dei vincoli sociali ritenuti “naturali”? Penso che si possa leggere tutto il Marx come ricerca di una via d’uscita da queste gabbie costruendo forme di associazione e di cooperazione che concedano spazio alla capacità e libera volontà dell’uomo di decidere il proprio destino. Il concetto marxiano di abbondanza si oppone e nega la soddisfazione drogata procurata da merci, il suo concetto di sviluppo tecnologico è subordinato a bisogni umani: in prima linea ad uno sviluppo di tutti i sensi fisici e spirituali. Questo progetto delineato negli scritti giovanili fu accantonato come ricerca. Penso, non per disinteresse alla questione. Marx riteneva più urgente l’analisi della merce e dei misteri della sua produzione.

L’arte faceva da ponte tra logica scientifica ed esperienza quotidiana

Il mercato e la sua «obsoleta coscienza» (Polanyi) hanno vinto. Ma la questione non può non proporsi di nuovo magari in altri termini e l’uomo continuerà la sua strada intrapresa più di duecento mila anni fa. Pochi, se pensiamo alla storia della terra. Cinquanta anni fa Pasolini avvertiva i primi sintomi della mutazione antropologica attuale. Prime avvisaglie. Calvino sosteneva: più la scienza avanza, più lavoro c’è per la letteratura. Lei fa il ponte tra la logica scientifica e l’esperienza quotidiana. Vuol dire: più la scienza fornisce protesi ai nostri sensi, più importante e più arduo sarà il compito delle arti. L’arte, in quanto testimone e costruttore dei nostri sensi diventa un campo politico strategico, un laboratorio per creare l’immagine di una umanità che desideriamo. Un impegno per non lasciare a apparati (tecnici, sociali) la formazione di una nuova umanità. E se parlo di “apparati” penso sia a quelli tecnici che a quelli burocratici.

Da soggetti a oggetti senza potere di decisione

Ormai siamo tutti coinvolti in questi processi di mutazione antropologica. Ma per di più come oggetti senza potere di decisione. É in atto un enorme processo di educazione e di trasformazione dell’umanità ad opera degli strumenti tecnici. Basta pensare agli iPhone. Per noi anziani in particolare si tratta di una educazione brutale. Ma sentiamo che non possiamo sfuggire all’uso di questo prolungamento del rapporto mano-cervello, diventato – pare – la parte più indispensabile del nostro corpo. C’è stato sempre questo rapporto con gli oggetti che ci educa. Pasolini fa l’esempio della tazza di tè che educa la mano, l’occhio, il palato. Marx ricorda negli scritti giovanili non solo l’importanza dell’attività lavorativa, ma anche il potere dei prodotti del lavoro umano nell’educazione dei cinque sensi, «un’opera di tutta la storia del mondo». E sottolinea il rischio inerente alla produzione di merci: «La svalorizzazione del mondo umano cresce in rapporto diretto con la valorizzazione del mondo delle cose».

Che fare nel tempo dell’IPhone

Che fare? L’esempio del cellulare mostra come Enti pubblici e ditte private impongono questi strumenti agenti della mutazione antropologica in modo del tutto autoritario. Comanda un’autorità senza voce umana (o con voci solo registrate). Penso che potremo difendere il nostro cervello e il suo sviluppo solo usandolo noi stessi. Il fatto che da questi processi siamo travolti tutti, offre la possibilità di azioni comuni. Data la povertà della “grande politica” penso si debba iniziare con piccole questioni di dettaglio a portata di ogni amministrazione comunale, di ogni Ente sociale. Ad esempio sarebbe un grande progresso istituire punti o uffici di “assistenza tecnologica per anziani” dove i giovani spiegano le procedure aiutando gli anziani. E se questi uffici producessero anche discussioni potrebbe accadere che nascano nuovi elementi per delineare meglio l’immagine dell’uomo che vogliamo e di quello che non vogliamo. Iniziative di questo tipo vanno collegate ovviamente con le scuole, dove ormai si svolge sulla questione un dibattito talvolta perfino drammatico tra insegnanti, genitori e gli stessi giovani.

Il capitalismo ha svolto la sua funzione storica facendo esplodere le forze produttive, ignorando però che l’uomo stesso è la forza produttiva decisiva. Solo mettendo al centro del nostro pensiero la produzione dell’uomo stesso si chiude il cerchio del grande progetto umano iniziato con l’esplorazione della natura dell’uomo, dei suoi bisogni, del suo lavoro e del vero fine di questo lavoro: lo sviluppo dei sensi e dello spirito umani.

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