IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

L’Unione, una Babele di voci

Un’Europa assente, senza una politica autonoma rispetto alla retorica delle democrazie sotto attacco. C’è solo una alternativa alla via “breve” dello scontro di civiltà: la comprensione delle ragioni dell’Altro, ma per questo serve la paziente costruzione di identità collettive europee.

L’Europa assente è al contempo un’affermazione descrittiva, un giudizio polemico, un concetto costituzionale essenziale. Un’affermazione descrittiva.  Di fronte alle attuali sfide epocali di dimensioni planetarie l’Europa non è un soggetto politico che si esprime e che agisce unitariamente. La cronaca che si limita a registrare gli atteggiamenti ufficiali assunti dalle istituzioni europee e dagli Stati membri dell’Unione europea rispetto alle drammatiche vicende del conflitto israelo-palestinese ne costituisce solo l’ultimo sintomo.

Una babele di voci

La stessa «Risoluzione del Parlamento europeo del 19 ottobre 2023 sugli spregevoli attacchi terroristici di Hamas contro Israele, il diritto di Israele di difendersi in linea con il diritto umanitario e internazionale e la situazione umanitaria a Gaza» [2023/2899(RSP)] è stata approvata nella consapevolezza che «la Commissione non si è espressa con una sola voce su questo conflitto, dal momento che il commissario per il Vicinato e l’allargamento e il commissario per la Gestione delle crisi hanno rilasciato dichiarazioni contraddittorie; che il vicepresidente della Commissione/alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e la Presidente della Commissione hanno rilasciato ulteriori indicazioni» (Considerando F della Risoluzione) e che le «dichiarazioni e azioni non coordinate da parte di vari rappresentanti dell’UE hanno portato a un approccio incoerente nei confronti del conflitto» e «che la Commissione e il Consiglio devono affrontare la situazione in modo coordinato e parlare con una sola voce per consentire all’UE di essere all’altezza delle sue ambizioni geopolitiche» (Punto 16 della Risoluzione).

È noto infatti che il Commissario per il vicinato e l’allargamento, l’ungherese Olivér Várhelyi, aveva postato il 9 ottobre 2023, sul social network X, una dichiarazione nella quale aveva annunciato che la Commissione europea stava mettendo sotto esame l’ammontare complessivo delle risorse destinate agli aiuti delle popolazioni palestinesi, per un valore totale di 691 milioni di euro. Dopo poche ore il Commissario per la gestione delle crisi, lo sloveno Janez Lenarčič, aveva smentito la precedente dichiarazione e aveva annunciato che gli aiuti umanitari europei ai Palestinesi sarebbero proseguiti «as long as needed». A tali dichiarazioni avevano poi fatto seguito, oltre a plurime prese di posizione in ordine sparso da parte dei singoli Stati membri, le affermazioni dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza Josep Borrell e del Presidente del Consiglio europeo Charles Michel, favorevoli ad assicurare gli aiuti necessari alla popolazione palestinese e a riconoscere nel diritto internazionale, e nel diritto internazionale umanitario in particolare, i limiti al diritto all’autodifesa di Israele, e, ancora, le dichiarazioni della Presidente della Commissione Ursula von der Leyen che, in occasione del suo viaggio a Washington il 20 ottobre 2023, aveva manifestato pieno e incondizionato sostegno a Israele con un discorso totalmente adesivo nei confronti della più spinta retorica atlantista di opposizione tra il bene e il male, tra l’Occidente democratico e i regimi autocratici. La posizione della Presidente della Commissione manifestata all’Hudson Institute, in particolare, è stata fortemente criticata anche da parte di alcuni funzionari UE che hanno raccolto centinaia di firme in calce a una lettera aperta costringendo la portavoce della Commissione a ribadire, tra l’altro, la necessità che il diritto di Israele di difendersi sia esercitato nel pieno rispetto del diritto internazionale umanitario.

Tra interessi economici e scontro di civiltà

Ma è un dato di fatto che l’Europa è assente anche nei più alti consessi internazionali: ne è sintomo il diverso atteggiamento degli Stati membri in sede di Assemblea delle Nazioni Unite manifestato attraverso il voto espresso sulla risoluzione del 27 ottobre 2023 che esplicitamente invoca «an immediate, durable and sustained humanitarian truce leading to a cessation of hostilities». Tra i 27 Stati membri dell’Unione, 15 si sono astenuti, comprese l’Italia e la Germania; Austria, Croazia, Repubblica Ceca e Ungheria hanno espresso voto contrario (con Stati Uniti e Israele); Francia, Spagna, Portogallo, Irlanda, Malta, Lussemburgo, Belgio e Slovenia hanno votato a favore. Posizioni in ordine sparso, dunque, dopo le feroci polemiche contro le parole espresse dal Segretario generale dell’ONU Guterres durante la riunione speciale del Consiglio di Sicurezza sulla crisi in Medio Oriente del 24 ottobre 2023, con le quali si ricordava che «gli attacchi di Hamas non vengono dal nulla» e che «il popolo palestinese è stato sottoposto a 56 anni di soffocante occupazione».

E soprattutto l’Europa è assente nelle Conclusioni del Consiglio europeo tenutosi a Bruxelles il 26/27 ottobre 2023, dove la babele di voci viene celata sotto la lievissima evocazione di un auspicio a favore di «pause» nel conflitto per «esigenze umanitarie»: evocazione davvero troppo poco politicamente impegnativa per essere sentita nel frastuono dei bombardamenti.

L’Europa assente si fa, allora, anche giudizio polemico: è la presa d’atto di ciò che dovrebbe essere, ma non è, di ciò che si vorrebbe che fosse, e che invece non è. Sul piano internazionale già la vicenda della guerra in Ucraina aveva dimostrato che l’Europa è assente perché non è in grado di sostenere una posizione politica autonoma nelle relazioni internazionali rispetto a un esasperato atlantismo che continua a ruotare intorno alla retorica delle democrazie sotto attacco da parte di regimi ostili alla libertà e alla democrazia: Ucraina e Israele sono ora accomunate contro Putin e Hamas. Le parole di Ursula von der Leyen ripercorrono a più riprese e pedissequamente la stessa retorica del discorso tenuto dal Presidente degli Stati Uniti la sera del 19 ottobre 2023 dalla sala ovale (da cui emerge però che i drammatici conflitti in corso rappresentano per gli Stati Uniti un’opportunità di ripresa economica in un momento di grande difficoltà).

Nel discorso pronunciato alla Nazione il Presidente Biden, dopo avere sottolineato che «we’re facing an inflection point in history – one of those moments where the decisions we make today are going to determine the future for decades to come», ha esplicitamente accomunato Putin e Hamas quali soggetti che «share this in common: they both want to completely annihilate a neighbouring democracy – completely annihilate it». Le conclusioni non possono che evocare lo scontro di civiltà: «…let me share with you why making sure Israel and Ukraine succeed is vital…You know, history has taught us that when terrorists don’t pay a price for their terror, when dictators don’t pay a price for their aggression, they cause more chaos and death and more destruction. They keep going, and the cost and the threats to America and to the world keep rising». E in questo scontro l’Occidente, guidato dagli Stati Uniti, ha la responsabilità di far vincere i buoni contro i cattivi: «…if we don’t stop Putin’s appetite for power and control in Ukraine, he won’t limit himself just to Ukraine (…). And if we walk away and let Putin erase Ukraine’s independence, would-be aggressors around the world would be emboldened to try the same. The risk of conflict and chaos could spread in other parts of the world – in the Indo-Pacific, in the Middle-East – especially in the Middle East (…). The United States and our partners across the region are working to build a better future for the Middle East, one where the Middle East is more stable, better connected to its neighbours, and – through innovative projects like the India-Middle East-Europe rail corridor that I announced this year at the summit of the world’s biggest economies. More predictable markets, more employment, less rage, less grievances, less war when connected. It benefits the people – it would benefit the people of the Middle East, and it would benefit us. American leadership is what holds the world together». La Presidente della Commissione ha dimostrato di condividere in pieno questa analisi, mortificando così ogni sforzo nella direzione di individuare un modello propriamente europeo, una visione politica propriamente europea, delle relazioni internazionali per il futuro.

La faticosissima via della comprensione delle ragioni dell’Altro

Le ultime vicende descritte avrebbero dunque squarciato il velo dell’ipocrisia che ha coperto sinora il processo d’integrazione europea. Delle due opposte narrazioni che hanno accompagnato sin dall’inizio tale processo – la prima elevandolo a mito, la seconda degradandolo a complotto – è quest’ultima a essere uscita infine allo scoperto. Se la storiografia è unanime nell’identificare i primi passi del processo d’integrazione europea in alcuni avvenimenti politici verificatisi alla fine del secondo conflitto mondiale, essa è tuttavia divisa rispetto all’interpretazione di quegli stessi avvenimenti. Infatti i primi passi che hanno condotto agli sviluppi successivi dell’integrazione europea devono essere imputati, secondo una prima narrazione, all’implementazione, al termine del secondo conflitto mondiale, delle diverse ideologie europeiste che, spesso meditate nel clima culturale della resistenza antifascista, nelle carceri e nei confini, si proponevano finanche l’eliminazione degli Stati nazionali, considerati responsabili di aver trascinato i popoli nel disastro dei totalitarismi prima, e della guerra poi, al fine di realizzare una vera e propria Federazione degli Europei, immaginata come una nuova convivenza sociale fondata su nuovi valori comuni. Ma secondo l’opposta narrazione, quei medesimi primi passi devono essere invece imputati ai calcoli strategici degli stessi Stati nazionali, in quel particolare frangente storico in cui gli obiettivi principali erano rivolti a trarre i maggiori vantaggi nella ricostruzione delle economie nazionali, a scongiurare il risorgere della potenza tedesca, a gestire l’occupazione dell’URSS vittoriosa in Europa e in Asia dopo la rottura dell’alleanza anti-hitleriana, a ricompattare il fronte della Guerra fredda e, in ultima analisi, a costituire una terza potenza mondiale durante gli anni di quella guerra. Queste opposte narrazioni hanno poi accompagnato sistematicamente la descrizione di tutte le tappe fondamentali del successivo processo d’integrazione europea, anche di quelle che hanno segnato gli ultimi decenni.

E tuttavia lo spazio vuoto dell’assenza che il velo squarciato ha mostrato in tutta la sua drammaticità chiama in causa un concetto costituzionale essenziale: per rendere presente l’Europa, per costituirla in corpo politico, serve un Rappresentante politico, poiché, secondo l’insegnamento hobbesiano, è l’unità del Rappresentante, e non l’unità del rappresentato, che fa “uno” il corpo politico. Rappresentare politicamente una pluralità non vuol dire però rispecchiare quella realtà come un qualcosa che c’è già: vuol dire, appunto, fare esistere qualcosa che non c’è ancora, ma che in questo suo farsi, rivolto a un modello futuro indicato dal Rappresentante stesso, diventa una realtà dinamica e attuale: che c’è. Ma affinché si metta in moto un circuito politico-rappresentativo virtuoso è indispensabile la presenza di identità collettive europee che “portino” visioni del mondo e programmi politici. Per anni ci si è domandati se l’Europa potesse avere una costituzione: non è forse azzardato sostenere che, in futuro, paradossalmente, potrebbero essere proprio le tragedie a livello planetario (povertà, guerre di aggressione, terrorismo, devastazione dell’ambiente) a mettere in moto un possibile circolo virtuoso che promuova quel conflitto che impone di essere concluso con un accordo intorno a principi fondamentali, tra soggetti collettivi europei, accordo nel quale solo può consistere una costituzione democratica. In quest’ottica, la ricerca, da parte dell’Europa, di risposte unitarie, nello scenario geopolitico, alle grandi emergenze sociali e politiche che l’umanità ha di fronte, potrà porre i presupposti per il formarsi di una costituzione europea.

L’assenza è dunque una condizione tanto drammatica quanto indispensabile: è l’assenza che esige di essere superata. E anche rispetto alle due più pressanti questioni internazionali a fronte delle quali l’Europa è chiamata oggi a essere presente, non si può non partire dall’organizzazione e dalla unificazione in “visioni del mondo” dei diversi atteggiamenti che possono essere assunti: in sintesi, la via breve dello scontro di civiltà o la faticosissima via della comprensione delle ragioni dell’Altro da parte di tutte le parti in causa, nella consapevolezza dell’attuale disordine internazionale e delle sue cause e responsabilità. Ma servono identità collettive europee organizzate in grado di “portare” queste visioni.

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