Vecchi sipari e nuove attrattive
Rispetto al mugugno continuo con cui dal lato russo l’allargamento della Nato sarà accompagnato, poche voci si leveranno in Occidente a suonare l’allarme per la pace e la stabilità future. George Kennan, padre putativo del contenimento e del mondo bipolare – sia pure in aperta critica delle loro accentuazioni militaristiche – parlerà di «errore fatale»: nella sua visione, l’allargamento appariva come detonatore per future pericolose fiammate del nazionalismo russo anti-occidentale. L’occasione per il suo allarmato editoriale sul «New York Times» del 5 febbraio 1997 saranno le prime notizie sulle candidature di Repubblica Ceca, Ungheria e Polonia. Anni dopo, allo scoppio della crisi in Crimea, sarà un altro grande della diplomazia a «stelle e strisce», Kissinger, a sollevare il problema in un editoriale sul «Washington Post» e nel suo fondamentale World Order: evitare rotture irreparabili, l’Ucraina magari aderisca all’UE ma non alla Nato e si provi a risolvere il problema della Crimea consensualmente.
A dar voce, invece, al mainstream atlantico ha provveduto per anni Zbigniew Brzezinski. Fin dal 1993, nel suo Out of Control, passando per The Grand Chessboard (1998), fino a The Choice del 2004 egli ha insistito a senso unico sulla centralità dell’Ucraina negli equilibri geopolitici complessivi: «l’Ucraina è un cardine geopolitico, nel senso che la sua stessa esistenza come Stato indipendente contribuisce alla trasformazione della Russia. Senza l’Ucraina la Russia cesserebbe di essere un impero euroasiatico». Al contrario, «se la Russia conquisterà il controllo dell’Ucraina», con le sue risorse e il controllo del Mar Nero, ritornerà automaticamente un «potente Stato imperiale, tale da abbracciare Europa ed Asia, con ripercussioni immediate sull’Europa centrale, con la Polonia trasformata nella zona cardine del confine orientale di una Europa unita». Di qui la sua insistenza e la sua collaborazione nel rafforzamento del generale accordo sulla formazione della Confederazione degli Stati Indipendenti, CSI, ad opera nel 1991 di Federazione Russa, Bielorussia e Ucraina, conseguito con il Memorandum di Budapest del 5 dicembre 1994. Una pagina poco nota e commentata, ma di fondamentale importanza per gli avvenimenti successivi. Con quell’accordo storico l’Ucraina deciso di smaltire l’enorme scorta di armi nucleari ereditata con la dissoluzione dell’URSS, aderendo al trattato di non proliferazione delle armi nucleari. Le migliaia di testate nucleari sarebbero poi state inviate in Russia per lo smantellamento nei successivi due anni con l’aiuto finanziario anche degli USA. In contropartita Russia, Stati Uniti e Regno Unito – seguiti poi da Cina e Francia – assicuravano all’Ucraina sicurezza, indipendenza ed integrità territoriale nei confini riconosciuti al momento della formazione della CSI. In questo modo, senza mortificare la voglia di indipendenza della stragrande maggioranza degli ucraini – celebrata dal referendum generale del 1° dicembre 1991, con oltre l’84% di partecipazione popolare, il 90% di sì e persino il 54% di favorevoli nella russofona Crimea – si provava ad offrire alla Russia una garanzia inoppugnabile sulla perpetua volontà di amicizia e buon vicinato. Più tardi allo scoppio della crisi in Crimea Brzezsinki avrebbe indicato la via d’uscita in una ‘finlandizzazione’ concordata dell’Ucraina.