IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

A che punto è l’orologio della guerra

L’Orologio della Pace continua ancora, surreale e indisturbato, a suonare nel parco di Hiroshima ogni giorno alle 8:15, orario esatto in cui l’umanità ricevette il battesimo della bomba atomica. Nel frattempo l’orologio della guerra ucraina non smette di suonare un solo istante da quel giorno di fine febbraio 2022 in cui Vladimir Putin diede inizio alla sua “operazione militare speciale”.

Guerra dichiarata in nome della sicurezza e della pace. Come ripete simmetricamente da mesi anche l’odiato occidente quando ossessivamente postula che oggi serve la guerra per costruire la pace. E, invece, la marcia su Mosca del capo della Wagner ci ha ricordato un’altra verità. Che le guerre tra imperi e stati possono aprire la strada a conflitti persino più dolorosi e laceranti per i popoli. Guerre civili.

Guerre civili alimentate oggi dai quei processi di ibridazione e privatizzazione della sicurezza nazionale acutamente esaminati nello studio di Vincent Ligorio e Mario Ligorio pubblicati anche su fuoricollana.it. D’altra parte, l’improvvisa interruzione della marcia della Wagner su Mosca certifica che la Federazione Russa è entrata in una crisi dei suoi assetti di potere i cui esiti sono imprevedibili. E sarebbe irresponsabile sottovalutare i pericoli che deriverebbero dalla definitiva destabilizzazione o addirittura dalla guerra civile in un paese come quello. Non sono bastate le lezioni irakene e libiche?

Siccu chiama siccu, recita un antico detto siciliano. Secco chiama secco è scritto nel Bollettino del Ministero di agricoltura, industria e commercio dell’“anno di grazia” 1915 nel quale si riporta l’opinione di un contadino interrogato a proposito del deperimento progressivo delle piante infette. Quel contadino “pur attribuendo la malattia ad altre cause” avvertiva che, comunque, essa “si estende continuamente ai rami sempre più grossi”.

Le cause della guerra ucraina, il grande rimosso. Ho sempre sostenuto dall’inizio che la guerra in Ucraina è il frutto – più di altre – di una sorta di rovesciata hitchcockiana congiura dei colpevoli. Putin ha certamente acceso la miccia, ma non è stato l’unico. E continuo a pensare che è per questa stessa ragione che l’orologio della guerra non smette di suonare.

L’ideologia della guerra – per riprendere il titolo di un recente e bel saggio di Michele Prospero (“Teoria politica” nuova serie, annali XII, 2022, pp 47-72) e dell’altrettanto perspicua lettura che ne dà in questo numero di fuoricollana.it Donato Caporalini – accomuna oggi le classi dirigenti della Russia, degli Stati Uniti e dell’Unione europea. Sino a quando non riusciremo a dare una spiegazione convincente delle radici di questo scellerato patto tra i “grandi” del mondo, ogni iniziativa per una tregua credibile è destinata ad arenarsi.

Non c’è partito della pace ma partito unico della guerra sino a quando i contendenti percepiscono la pace come una irreversibile capitolazione, sino a quando qualcuno non comincia a indicare l’orizzonte di un possibile nuovo ordine internazionale. Non dico un nuovo ordine internazionale conveniente per tutti ma almeno agibile da tutti e in cui ci sia già in un futuro immediato e nel medio periodo spazio di movimento per tutti.

Il saggio di Michele Prospero mette a fuoco le radici remote e prossime dell’”ideologia democratica della guerra”, di quella ideologia occidentale che mette al centro della sua narrazione la lotta per i diritti umani e per la libertà e che può di conseguenza legittimare e giustificare la sua pretesa di “dominio del mondo” sulla base di presunte, superiori, ragioni di carattere etico-spirituale. Portare alla luce questa “cattiva coscienza” è doveroso: Ma è tutt’altro che sufficiente, come ho provato a dire già a partire dal sottotitolo – Chi ha spento le luci della pace – del mio L’orologio della guerra.

Gli ultimi sviluppi – tanto sul campo di battaglia in senso stretto quanto fuori da esso – mi pare confermino questa convinzione. Escalation delle operazioni militari ed impasse geopolitica procedono di pari passi e si alimentano reciprocamente e tragicamente. A dispetto della retorica e della propaganda dei contendenti che scommette tutto sull’improbabile forza deterrente del mostrare tutti i muscoli dei quali si dispone.

La guerra fredda della seconda metà del novecento è stata anche una sostanziale epoca di pace calda perché i contendenti mostravano anche tutto il cervello del quale disponevano. Fuor di metafora, competevano a 360 gradi una battaglia per l’egemonia con il nemico. Il campo occidentale competeva, ad esempio, con il campo socialista sul piano delle politiche redistributive (‘apprendeva’ dallo Stato socialista edificando un proprio Stato sociale). Il campo socialista competeva con il campo occidentale con una presenza attiva e generosa a favore dei paesi impegnati nelle lotte anticolonialiste di liberazione nazionale (internazionalismo socialista versus internazionalismo liberale).

Oggi avremmo bisogno di ancora più cervello, di più generosità, di più capacità egemonica. ‘Merci’ di cui le attuali classi dirigenti sembrano non disporre al momento. Dovremmo anche domandarci perché? E ancora: perché, paradossalmente, l’assenza di un’alternativa alla razionalità della tecnostruttura del capitalismo finanziario globale accentua i conflitti interstatali? Nel frattempo da parte nostra (da parte di chi è per la pace senza se e senza ma) il primo atto di intelligenza è riconoscere che anche noi abbiamo sin qui eluso almeno due dei fondamentali corni che sono all’origine di questa guerra. La questione russa, la questione ucraina, due grandi rimossi di questo anno e mezzo di conflitto.

Abbagliati dall’etica da risiko dalla geopolitica e dall’etica degli interessi materiali della geoeconomia, ci siamo dimenticati della storia, della cultura, dei miti e dei simboli di fondazione dei quali i popoli hanno bisogno per vivere. E, quindi, del ruolo cruciale della politica nel mettere in forma anche le divergenze valoriali e identitarie più acute e apparentemente inconciliabili.

A fronte della possibile comune rovina dell’umanità nessun Dio suonerà, al nostro posto, l’orologio della pace. La pace – oggi e domani come ieri – è sempre frutto di costruzione, di riconoscimento dell’altro, non di imposizione unilaterale e unidirezionale. Anche nell’odierna civiltà planetaria l’universo è – deve essere – un pluriverso.

Ciò che oggi è di ostacolo alla pace non è la mancanza di un’unica leaderhip globale ma, al contrario, l’assenza di una condivisione globale della leadership. Un compito il cui adempimento non può essere affidato a nessun Tribunale internazionale, a nessun velleitario messianismo, a nessuna morale senza politica che va restituita alla comunità internazionale nel suo insieme.

Una strada ad un certo momento indicata, ma lasciata inopinatamente cadere dall’Italia, dal suo Presidente della Repubblica, quando ha sollecitato ad individuare «una sede internazionale che rinnovi radici alla pace, che restituisca dignità a un quadro di sicurezza e di cooperazione, sull’esempio della Conferenza di Helsinki che portò, nel 1975, a un Atto finale foriero di sviluppi positivi».

Non è data alcuna fine della guerra senza accordo tra le parti, senza un’iniziativa politica che chiami ad uno stesso tavolo Europa, Stati Uniti, Russia, Cina, India, Africa, con all’ordine del giorno il tema delle ragioni e delle cause remote dell’ingiustizia tra le nazioni e tra i popoli. E nel frattempo, come suggerisce la saggezza contadina, senza dimenticare quelle prossime. Siccu chiama siccu.

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