IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

Cesarismi e État-Providence

Tra evoluzioni e involuzioni, sino all’incoronazione di un leaderismo, liberista e tecnocratico, corrosivo d'ogni sistema di protezione welfarista. Un immane rancore sociale tramuta in distopia la realtà quotidiana. La Francia ora ne è vittima. L'intera Europa rischia di affacciarsi su questi baratri.

Il cesarismo, rivisitato nel secondo dopoguerra nella sua reincarnazione gollista, ha saputo nella sua culla d’origine far buon uso innanzitutto dell’État-Providence come leva e forma essenziale di governo. Quest’ultimo, nato nel 1945 con il Sistema di Sicurezza Sociale – la Sécu, vantata e invocata da ogni francese come amata cintura di sicurezza – è passato nei decenni per straordinarie e complesse rivisitazioni, senza perdere mai l’impronta paternalistica impressa al sistema, prima ancora che nel nome, dalla sua regolazione centralistica. Oggi entrambi questi due straordinari architravi della République appaiono seriamente lesionati.

La Francia del “Generalissimo”

Per iniziare ad avventurarsi per capitoli divenuti oggi così roventi, bisogna risalire alla Francia del Generalissimo. È Charles De Gaulle, con la sua mano, ad avviare la Repubblica per una mutazione a fortissima caratura presidenziale, mentre liquida definitivamente l’impero coloniale. Inizia allora, nel transoceanico, tumultuoso scardinamento dell’Union Française ereditata dalla Costituzione del 1946, a farsi intensissimo quel rimescolamento di colori e razze, lingue e religioni che muta viscere e volto delle villes transalpine e soprattutto della capitale. È sempre del Generale la mano che provvidenzialmente assicura alla Francia un palcoscenico sovranazionale adeguato ad una Grandeur in netto ridimensionamento nel mondo. Con decisione sarà imboccata la strada dell’integrazione comunitaria europea a guida franco-tedesca e tenacemente serrata rispetto alle avances d’Oltre Manica. Il tutto corazzato dai tratti ambigui impressi alla singolare partecipazione all’Alleanza Atlantica e dalla ferma volontà di rimarcare il ruolo internazionale del paese anche con il conseguimento dello status di potenza nucleare. Accanto a questi galloni distintivi di Grandeur, De Gaulle saprà molto sagacemente collocare al cuore del processo di integrazione comunitaria una risoluta e sostanziosa scelta per l’agricoltura, destinataria con la PAC, Politica Agricola Comunitaria, fino agli anni 70 di quasi il 70% delle risorse europee. La Francia saprà approfittarne, godendo così di una leva privilegiata per garantire pace sociale in gran parte del paese ma al contempo anche la robusta e duratura ristrutturazione di un mondo e un settore sottoposto alle acutissime tensioni di una modernizzazione epocale. Il risultato saranno campagne prese a modello nel mondo intero per l’amplissimo spettro di opportunità offerte alla Francia tutta e alla sua attrattività globale. Altre traiettorie saranno disegnate nelle città e soprattutto nella capitale da giovani generazioni figlie del dopoguerra e con negli occhi l’affaccio epocale sul mondo di fine-secolo: si arriva così al maggio francese e agli scioperi e successivi accordi di Grenelle, chiusi poi dal plebiscito delle elezioni del giugno 1968 a favore del Generale.

Cambio di rotta

Quell’età aurea, non a caso ribattezzata Les Trente Glorieuses, si infrange per l’Occidente tutto con la triplice crisi – petrolio, dollaro, Club di Roma e crisi dello sviluppo – dei primi anni 70: vero e proprio spartiacque dell’epoca contemporanea. In Francia tutto si complica con la fine del gollismo: nel 1974 un esausto Pompidou muore, ponendo fine ad una discussa e movimentata eredità.

Cesarismo e État-Providence iniziano ad avventurarsi allora per inedite strade. Nel maggio 1974 è eletto Presidente della Repubblica Francese Valéry Giscard d’Estaing. Batte di misura François Mitterrand promotore e leader del Programme Commun de Gouvernement tra il Partito Socialista, il PCF e i radicali di sinistra di Robert Fabre. Giscard promuove una netta fuoruscita dal conservatorismo gollista nel campo dei diritti e delle libertà civili: revisione al ribasso della maggiore età, facilitazioni nel divorzio, depenalizzazione di una serie di reati e legalizzazione dell’aborto. unificazione degli studi medi, rafforzamento dei poteri di intervento del Parlamento ecc. Prova, senza successo, ad abolire la pena di morte. Assieme al cancelliere tedesco Helmut Schmidt è protagonista di un vivacissimo rilancio dell’avventura europea: si pensi all’elezione diretta del Parlamento europeo o alla creazione della moneta unica ECU. L’impronta del duo franco-tedesco è fortissima anche sulla scena internazionale: nasce su loro iniziativa a Rambouillet – a fronte delle straordinarie vicissitudini USA all’indomani della sconfitta in Vietnam e della rovinosa caduta di Nixon – il Summit del G7 nel tentativo di affermare una gestione condominiale dell’egemonia occidentale. Più tormentato il capitolo economico del suo settennato, turbato dalla rottura con il post-gollista Jacques Chirac, uomo chiave del suo successo presidenziale, e soprattutto dal susseguirsi delle crisi petrolifere. Coadiuvato da Raymond Barre, primo ministro, sceglierà una linea di rigore neoliberale volta a stabilizzare il franco, ma poi trasposta anche a livello europeo nella rigida regolazione monetaria ispiratrice del Sistema Monetario Europeo – SME.

I “due” Mitterand

Il promesso «changement dans la continuité» che gli era valso l’elezione si impantana nelle strette del rigore economico e soprattutto di una serie di scandali per frequentazioni innominabili e misteriosi omicidi e attentati. A impiombare il suo passo provvede però soprattutto la rottura con Chirac. Arriverà così svantaggiato alla sfida presidenziale con un Mitterrand ora rafforzato dalla primazia conquistata nel fronte di sinistra dal suo Partito socialista con le sue 110 Propositions pour la France, un vasto programma di riforme.

È svolta, profondissima: la pena di morte abolita, liberalizzazione di radio locali e legalizzazione massiva di immigrati irregolari, decentramento amministrativo, estensione dei diritti dei lavoratori nelle imprese, incremento di salario minimo e assegni familiari, introduzione dell’imposta patrimoniale, nazionalizzazione di imprese e banche primarie, settimana lavorativa di 39 ore, quinta settimana di ferie pagate, pensione a 60 anni ecc. Fortissima l’insistenza neo-keynesiana sull’intervento pubblico come leva e stimolo dello sviluppo.

Il tutto però in contrasto con la politica deflattiva perseguita dalla Banca di Francia e con la cornice europea disegnata dallo SME. Il sogno di un’altra Francia si materializza concretamente ma dura poco. Sepolto dai venti contrari che spirano in tutt’Occidente. Alla guida della Federal Reserve americana c’è un granitico Paul Volker: suo lo choc impresso al dollaro e alle politiche economiche generali con il generale passaggio, intanto nei paesi OECD, degli obiettivi di politica economica generale dal perseguimento della piena occupazione alla lotta all’inflazione. In Germania nell’ottobre 1982 anche Schmidt, superstite del duo leaderistico franco-tedesco, è stato destituito a favore del democristiano Helmut Kohl: il tutto a rafforzare il rigorismo di Bundesbank e SME. Preannunciato nel giugno 1982 dalla avvertenza di una «pausa» nel perseguimento del programma di riforme, Mitterrand si produce il 21 marzo del 1983 nell’ennesima svolta cesaristica della storia francese. Adesso siamo al «tournant de la rigueur»: riduzione della spesa pubblica e di quella sociale, abbattimento del deficit delle imprese pubbliche, riduzione dei finanziamenti agli enti locali, introduzione di nuove imposte e ticket sanitari, rialzo di buona parte delle aliquote fiscali ecc. Altre scelte riguarderanno la privatizzazione di buona parte delle imprese pubbliche, deregulation dei mercati finanziari, disinvestimenti nel settore dell’edilizia pubblica.

Il governo presieduto da Pierre Mauroy si è tormentato a lungo con nette divisioni finali. Sotto l’urto di massicce fughe di capitali, di un deficit crescente nella bilancia commerciale e in quella valutaria, oltre che di continue svalutazioni del franco, l’alternativa all’allineamento neoliberale è la rottura con la CEE, con abbandono dello SME e una netta virata protezionistica. Alla fine Mitterand ha deciso per il «tournant», per quanto – rispetto a tutte le altre economie sviluppate – la Francia si sia sforzata di conservare per i due settennati di Mitterrand un orientamento espansionista in politica economica.

Dal primo governo di “cohabitation” alla Presidenza Chirac

Le conseguenze della svolta non si faranno però attendere. Le prime forti perdite elettorali comprometteranno già immediatamente le elezioni amministrative del 1983 e le successive europee del 1984. Sul primo ministro – concepito nella piramide istituzionale della V Repubblica, come un vero e proprio salvavita del presidente della Repubblica – ricadrà tutto il peso della sconfitta. E così a Pierre Mauroy succederà Laurent Fabius, alla testa ora di un governo di chiaro orientamento deflattivo e privo di ministri eletti nelle liste del PCF, ora nettamente emarginato.

Le ricadute sociali del riorientamento saranno durature e profonde. Nell’immediato però non limiteranno le straordinarie capacità manovriere del presidente che riuscirà ad assorbire anche la terribile disfatta del fronte progressista alle elezioni legislative del marzo 1986: il tutto attutito dall’introduzione dello scrutinio proporzionale in sostituzione del vigente criterio maggioritario. Nasce così, sotto l’urto della vittoria elettorale della coalizione RPR-UDF, guidata da Jacques Chirac, il primo governo di «cohabitation». Punteggiata da trovate para-costituzionali e da mille punzecchiature, quell’esperienza durerà grazie soprattutto al fatto che i due dirimpettai vorranno entrambi utilizzare quel pezzo di sella – sia pure in coabitazione – come trampolino per il successivo appuntamento presidenziale. Infine Mitterrand la spunterà riuscendo a far cadere sulle spalle di Chirac soprattutto il peso della politica economica deflattiva e delle privatizzazioni.

A proprio vanto potrà esibire invece tutta una serie di realizzazioni che di fatto muteranno il volto della Francia e di Parigi: Eurotunnel sotto la Manica, Géode alla Villette, Musée d’Orsay, Institute du Monde Arabe, Piramide al Louvre, Citè des Sciences a Parigi ecc., senza calcolare la continuità vantata sul terreno europeo ed internazionale, magari anche con le esplosioni atomiche a Mururoa stoppate solo successivamente. Riuscirà così l’8 maggio 1988 a farsi rieleggere per un secondo mandato contro l’eterno rivale, Chirac. Tra alterne vicende e sia pure minato fin dal 1982 da un cancro tenuto nascosto riesce a portare a termine il suo mandato, inanellando vari governi, anche di «coabitazione».

Republique e Europa “sovrana”, élites et peuple

Colto di sorpresa dalla caduta del Muro, dapprima esita di fronte alla prospettiva immediatamente colta di una Germania unita. Decide poi di cavalcarla. Si fa così promotore assieme ad Helmuth Kohl di una nuova stagione dell’integrazione comunitaria, guidando il processo che a Maastricht porterà alla nascita dell’euro e dell’Unione europea. Ma la via intrapresa si rivelerà irta di ostacoli. Il no dei Danesi il 2 giugno 1992 al referendum per la ratifica del Trattato di Maastricht suonerà un campanello di allarme per tutto il continente: non è più scontato il consenso degli Europei all’integrazione comunitaria. Soprattutto per i passaggi decisivi ora richiesti dal nuovo soggetto – l’Unione europea – con tutte le sue nuove prerogative e assunzioni di sovranità. Ne nasce la crisi dello SME, con la fuoruscita di lira e sterlina. La Francia celebra intanto un secondo referendum sull’adesione all’UE, voluto fortemente da Mitterrand. Il risultato consegnerà un paese nettamente spaccato. A far passare il trattato di Maastricht provvederanno poco più di 500 mila francesi, appena l’1% dei votanti. La Republique si rivela alla prova europea un paese con profonde e inedite spaccature: tra città e campagna e nei grandi agglomerati urbani, con periferie – banlieues – marchiate da malanni profondissimi, di natura sociale, religiosa, culturale.

La divisione evidenziata dal voto referendario non è nuova. È quasi un decennio che gli osservatori più accorti denunziano l’allargamento della forbice sociale tra élites et peuple, tra i ceti abbienti e gli strati sociali più deboli, spesso etichettati come «neo-plebe». Su di esso settori del PS mitterrandiano, quali quelli capeggiati da Chevènement, hanno appuntato l’attenzione con una posizione anti-Maastricht assai diversa da quella mitterrandiana. Analisti assai attenti, quali Emmanuel Todd o Marcel Gauchet, ne hanno fatto oggetto delle loro analisi, volte ad evidenziare la crisi evidente del sistema politico francese, sottoposto ormai ad un ribaltamento di ruoli, con una destra o un centro spesso intenti alla denuncia sociale.

La “macchina della Francia” non funziona più Jacques Chirac, fino ad allora thatcheriano dichiarato come sindaco di Parigi, proverà a divenire il più recettivo di questo nuovo clima, attingendo a queste problematiche – su ispirazione del gollista anti-europeo Philippe Séguin – per impostare la campagna per le elezioni presidenziali del 1995. E così il tema della «fracture sociale», variamente trattato e dichiarato, diverrà il leit-motiv della sua battaglia elettorale. Per lui la Francia di un tempo – «modello di mobilità sociale» – è ormai vestigia di un passato glorioso. E così nel discorso di presentazione del 17 febbraio 1995 si produce in una disarmante ricostruzione: «Sicuramente non eravamo perfetti. Ma conoscevamo un movimento ininterrotto che andava nella giusta direzione. Oggi ormai sicurezza economica e certezza del domani sono privilegi. I giovani francesi esprimono il loro sgomento. Si allarga un divario sociale di cui l’intera Nazione si fa carico. La “macchina della Francia” non funziona più. Non funziona più per tutti i francesi». Il panorama sociale complessivo è oggi altro, da quello glorioso del passato. La scena sociale ha assunto ormai i colori delle banlieues: «Nelle periferie disagiate regna un terrore morbido. Quando troppi giovani vedono solo disoccupazione o lavoretti al termine di studi incerti, finiscono per ribellarsi. Per il momento lo Stato cerca di mantenere l’ordine e l’assegno sociale di disoccupazione evita il peggio. Ma fino a quando?».Dopo un primo turno caratterizzato soprattutto dalla divisione interna al suo stesso partito, per la discesa in campo dell’allora premier Balladur, Chirac riesce a prevalere e ad affermarsi al secondo turno contro il socialista Jospin. Diventa così nel maggio 1995, al suo terzo tentativo, Presidente della Repubblica. Si produce immediatamente in atti clamorosi: abolizione del servizio militare obbligatorio e ripresa – sia pure per poco tempo – degli esperimenti atomici a Muroroa sospesi da Mitterrand nel 1992. Più eclatante, a distanza di pochi mesi dalla scalata all’Eliseo, però, giunge l’ennesimo atto cesaristico di svolta. È il 26 ottobre 1995 e dagli schermi di «France 2» Chirac annuncia un capovolgimento nei principi ispiratori di politica economica. Prioritaria, rispetto all’espansione della spesa sociale fino ad allora preconizzata, diviene adesso la riduzione del deficit di bilancio: sarebbe questa ora la chiave per promuovere il calo dei tassi di interesse e la ripresa della crescita, con connessa promozione dell’occupazione. Netto il distanziamento ora dalle teorizzazioni di «un’altra politica» perseguita da Philippe Séguin, con connesso riavvicinamento alle posizioni sostenute dall’ex primo ministro Edouard Balladur e soprattutto dall’altro membro della diarchia europea, Helmut Kohl. Non a caso l’annuncio è stato preceduto il giorno prima da un incontro con il cancelliere tedesco: confronto concluso dall’impegno comune al rispetto dei principi ispiratori dell’UE in campo economico-monetario, ovvero rigorosa adesione ai criteri su debito pubblico e deficit. La riforma del sistema pensionistico, è rivolta popolare L’annuncio non è indolore. In realtà, è solo il preambolo di un passaggio estremamente più puntuto sul piano sociale: la riforma del sistema pensionistico. I punti fondamentali della proposta avanzata dal governo Juppé: allungamento dell’età contributiva da 37,5 a 40 anni con equiparazione tra lavoratori pubblici e privati e slittamento dell’età pensionabile da 60 anni a 62 anni.È rivolta popolare sostenuta con uno sciopero generale nei servizi pubblici di tre settimane e 6 manifestazioni oceaniche: Érik Izraelewicz saluta su «Le Monde» del 7 dicembre quel sollevamento come «la première révolte contre la mondialisation», degno prologo dell’alter-mondialismo di Seattle, Genova e Porto Alegre. Alla vigilia del Natale 1995 il governo annuncia il sostanziale ritiro della riforma. Per Chirac i contraccolpi sono durissimi. Ne esce dimidiato, profondamente delegittimato, a riprova degli effetti devastanti di atti decisionistici azzardati. Poco dopo, pressato da scadenze elettorali regionali e da incombenze europee, si acconcia a sciogliere anticipatamente il Parlamento. Andrà male. È trionfo della coalizione di sinistra capitanata da Lionel Jospin. Nasce così una nuova cohabitation che lo accompagnerà fino alla fine del primo mandato. Saranno mesi di grandi incertezze, punteggiati anche dalle prime inchieste giudiziarie su finanziamenti occulti del RPR e su atti amministrativi della sua gestione come Sindaco di Parigi. Lo scudo costituzionale steso però a riparare la figura del presidente della Repubblica eviterà a Chirac di rispondere dei suoi atti, se non al termine della sua avventura presidenziale. La “sorpresa” Le Pen Intanto il malessere sociale si è fatto sempre più acuto, soprattutto nelle periferie. Lentamente ma con costanza è qui soprattutto che si rafforza sempre più la destra del Front National capeggiata da Jean-Marie Le Pen. E sarà lui a sorpresa ad emergere al primo turno delle elezioni presidenziali del 2002 superando Jospin e piazzandosi al secondo posto come sfidante del presidente in carica. Risuonerà la diana dell’emergenza repubblicana. Saranno molti, soprattutto a sinistra, a sentire come dovere la necessità di accantonare malumori e giudizi estremamente negativi per far convergere le proprie indicazioni di voto su Chirac, che sentirà quasi come obbligo negare a Le Pen il confronto televisivo finale. Alla fine sarà lui a trionfare con oltre l’82% dei voti. La sua stella però non torna a brillare, anzi appare decisamente spenta. Così come è spento il governo che segue presieduto da Jean-Pierre Raffarin. Spunta invece la stella di Nicolas Paul Stéphane Sárközy de Nagy-Bócsa, più conosciuto come Nicolas Sarkozy, finalmente approdato – sia pure con la aperta contrarietà di Chirac – allo scranno di ministro degli interni su indicazione del nuovo primo ministro. Di lì a poco inizierà a rubare la scena, grazie anche alle continue apparizioni televisive, profuse a piene mani, e al ricorso continuo alla forza pubblica ad ogni stormir di foglie, soprattutto nelle banlieues o ai loro confini. E saranno proprio queste comparsate televisive a divenire casus belli di lì a qualche anno. La bocciatura de «le Traité établissant une Constitution pour l’Europe» E che la situazione sociale e le spaccature si stiano aggravando enormemente lo prova il referendum sul progetto di Costituzione europea partorito dalla Convenzione presieduta proprio da un francese, da Valéry Giscard d’Estaing: referendum strenuamente voluto da Chirac nel tentativo di evitare, questa volta, la responsabilità di un ennesimo atto cesaristico di ratifica presidenziale. E invece andrà proprio male. Il 29 maggio 2005, con la partecipazione di oltre il 70% di francesi e in un clima incandescente, il 54% e passa degli elettori boccia «le Traité établissant une Constitution pour l’Europe». Di lì a poco segue in Olanda il no di un altro Referendum. È un colpo tremendo per il cammino dell’UE (mai assorbito del tutto). In Francia intanto la campana suona a morto per il governo Raffarin e indirettamente per lo stesso Chirac.Subentra un nuovo governo guidato dall’eminenza grigia del presidente, ispiratore di tanti dei suoi passi, anche quelli fino ad allora disastrosi: Dominique Marie François René Galouzeau de Villepin, in breve Dominique de Villepin. Come ministro degli Interni viene riproposto l’ormai irrefrenabile Nicolas Sarkozy. Il malessere sociale testimoniato dal voto referendario soprattutto nelle periferie monta sempre più: le divisioni sociali si accrescono. Comportamenti della polizia, tensioni etniche e religiose, concentrazione di povertà ed emarginazione fanno il resto.  Sarkozy accende la miccia e diventa Presidente Tocca proprio a Sarkozy accendere la miccia. Il 20 giugno 2005 un ragazzo è colpito da una pallottola vagante durante una sparatoria fra due gang rivali nella «Cité des 4.000», a La Courneuve. Nicolas Sarkozy accorre e dichiara di voler «nettoyer la cité au Kärcher», insomma ripulire il quartiere con la pompa idropulitrice ad alta pressione utilizzata dagli spazzini per i marciapiedi. Infausto, volgarissimo paragone replicato e peggiorato, se possibile, il 25 ottobre, ad Argenteuil, quando, con riferimento agli abitanti delle banlieues, usa la parola, «racaille», feccia. Naturalmente, attorniato da TV e media: «Non ne avete abbastanza di questa ‘feccia’? On va vous en débarrasser, adesso ve ne sbarazziamo». Due giorni dopo, due adolescenti, Zyed Benna et Bouna Traoré, a Clichy-Sous-Bois rimangono folgorati da una scarica di 20mila volt in una cabina della rete elettrica dove si sono rifugiati per sfuggire alla polizia che li stava inseguendo. È rivolta. A partire da   Clichy-Sous-Bois la ‘feccia’ insorge. Il moto si estende accanto a Montfermeil e ad altri centri del dipartimento Senna-Saint-Denis per poi dilagare in altre città: Rennes, Évreux, Rouen, Lilla, Valenciennes, Amiens, Digione, Tolosa, Pau, Marsiglia e Nizza. Durerà tre settimane circa: più di 10 mila le auto incendiate, 300 circa gli arresti. Emerge Une Autre France: ancor più divisa di quella effigiata dal voto referendario di qualche mese prima. Gran parte dei residenti di Clichy-sous-Bois e dintorni sono di prima o seconda generazione degli immigrati provenienti dalle vecchie colonie francesi. La metà circa degli abitanti ha meno di 25 anni. Qui risiede la più alta concentrazione di stranieri in tutta la Francia, circa il 30%: con il più alto tasso di disoccupazione, 30%; percentuale che sale al 50% tra i giovani. Di fatto queste periferie sono divenute ghetti pericolosi con tensioni religiose e etniche rispetto agli altri quartieri o alle altre cittadine. Sotto accusa i comportamenti delle forze dell’ordine sia nelle banlieues sia ai margini, magari in occasione dei controlli che provano ad arginare le ondate di giovani che nel fine settimana si riversano al centro della capitale o delle varie aree metropolitane.Il muro che a lungo ha nascosto la realtà delle aree suburbane francesi è rotto per sempre. E Sarkozy è assunto come sommo emblema della chiusura delle istituzioni a istanze e bisogni di quest’altra Francia. Impersonifica ormai la rottura tra le due France e con il suo operato rende ancora più amaro l’abbandono di uno Chirac malato e assediato ormai dal sistema giudiziario. Con la sua rinuncia a concorrere alla possibilità di un terzo mandato, Monsieur Le President spiana però la strada proprio a lui, incoronato paradossalmente con una sorta di plebiscito dall’assemblea del partito neo-gollista UMP (Union pour le Mouvement Populaire), nato dalla fusione di RPR e UDF. Il 6 maggio 2007 Sarkozy diviene Presidente battendo la candidata socialista Ségolen Royal.

Attivissimo si produce in una serie di atti presidenziali che terremotano assetto ed equilibri tradizionali: promozione di donne e di esponenti socialisti al rango ministeriale o dirigenziale nel primo gabinetto Fillon, ricucitura strategica con gli USA dopo gli anni di distanza e freddezza di Chirac, proposte di riforma costituzionale, tentativo di rivedere tempi e parametri monetari imposti dai trattati di Maastricht ecc.

La sconfitta di “Supersarko” e la “stella” Hollande

Soprannominato «Supersarko» da amici e detrattori, prova anche a ritornare sull’eterna questione della riforma delle pensioni e della Sécu. Un primo tentativo del 2007 – teso ad allungare l’età pensionabile e a rivedere alcuni regimi speciali, soprattutto nei servizi pubblici – fallisce. Ne nasce uno sciopero clamoroso pari solo a quello del 1995 che aveva bloccato la riforma Chirac-Juppé: il tutto complicato dalla sopravvenienza della crisi finanziaria mondiale. Sarkozy ci riprova sulla revisione dell’età pensionabile e il passaggio dai 65 ai 67 anni per il conseguimento del trattamento pensionistico pieno, senza decurtazioni. È il 2010, con acque finanziarie meno agitate, e questa volta, con molta fatica, ha la meglio dopo uno sciopero generale defatigante e straordinari tumulti.

La sua figura ne esce però intaccata. Agli occhi di milioni di francesi, soprattutto nelle periferie o ai margini, impersonifica – e sullo scranno più alto – una Francia estranea, a volte nemica, armata di manganello e pronta ad impugnare la lancia del Kärcher. Si avvia così indebolito alla conclusione del suo primo mandato presidenziale. Nel 2012, al primo turno delle elezioni presidenziali – primo caso nella storia francese per un presidente uscente – esce sconfitto dal suo sfidante, il socialista François Hollande, dietro il quale arriva anche al secondo turno con il 48% circa dei voti rispetto al 51,6% raccolto dall’antagonista.   

S’apre un quinquennato molto meno sfolgorante, rispetto alle premesse e alle promesse di Sarkozy, ma non meno tumultuoso e problematico. La preoccupazione fondamentale di Hollande è quella di garantire ripresa economica ed occupazione, attraverso un’ampia riforma innanzitutto tesa a spostare il peso del prelievo fiscale sui redditi più alti, le grandi imprese e le grandi fortune. Altri capitoli una revisione di respiro ambientalista della politica energetica poggiata sul nucleare, un’ampia riforma del sistema dell’istruzione pubblica, un grande piano di lavori pubblici e di edilizia sociale. Rispetto al mondo del lavoro egli prova a riformare il mercato del lavoro, rivedendo profondamente in senso permissivo le norme su assunzioni e licenziamenti. Anch’egli si incaglia in una contestata riforma pensionistica tesa ad ammorbidire il deficit che minaccia il sistema previdenziale. La revisione però alla fine va in porto, sia pure tra varie vicissitudini, rivedendo le norme introdotte da Sarkozy in maniera più soft. Importanti i decisivi passi avanti compiuti nel campo dei diritti civili, con le scelte delle adozioni gay e con il cosiddetto «matrimonio per tutti». Materie tutte contestate dagli ambienti più conservatori.

Col passare del tempo, però, varie scelte si riveleranno caduche, prive di ricadute concrete o magari annullate da sentenze del Conseil constitutionnel, come ad esempio nel caso della tassa straordinaria del 75% sui redditi più alti. Complice anche la crisi epocale in cui si contorce il sistema politico francese, particolarmente acuta a sinistra e nel campo del PS, cresce l’impopolarità sull’onda anche di campagne di stampa sull’incompetenza della nuova classe di governo. Ripetuti scandali di natura personale e coniugale, moltiplicati nei loro effetti dall’atroce stagione degli attentati terroristici del 2015-2016, lo conducono nel dicembre 2016 all’annuncio anticipato della rinuncia a presentarsi candidato alla scadenza elettorale del 2017.

Emmanuel Macron. La “République En Marche”, ma verso dove?

Con Emmanuel Macron sale all’Eliseo – contro la candidata del Front National Marine Le Pen – l’ennesimo ‘enarca’: forse l’ultimo, visti i suoi propositi, annunciati nell’aprile 2021, di riformare l’ENA (École Normale d’Administration), fucina di quadri soprattutto della V Repubblica, magari per provare ad ammorbidire i tratti decisamente elitisti, quando non castali, attribuiti alla classe dirigente francese. Netto il cambio di passo rispetto al passato. Già socialista, fondatore successivamente, nella crisi ormai aperta del sistema politico transalpino, del movimento neoliberale La République En Marche, Macron sceglie nettamente la «via europea» come unica possibilità aperta alla Francia innanzitutto per un ritorno alla «Grandeur» di un tempo e per la riconquista di nuovi equilibri sociali. Rispetto ai suoi predecessori netta è la sua percezione dell’irreversibilità del processo di integrazione europea, a patto naturalmente di disincagliarlo decisamente dalle secche in cui è precipitato e di conquistare per la Francia un ruolo nettissimo di guida. E qui i problemi però diventano giganteschi. L’Europa non è più quella gollista a sei. E la PAC non può più esser volta a beneficio quasi esclusivo degli agricoltori francesi. L’ingresso dei paesi ad Est con le loro agricolture e le loro economie paradiso di delocalizzazioni ha creato nuovi equilibri: regioni svantaggiate, un tempo protette in paesi come Francia, Italia o Spagna, adesso si trovano sopra le medie comunitarie per tanti capitoli sociali, quali PAC o Fondo Sociale Europeo, e perciò deprivate ormai degli ombrelli protettivi di un tempo. La Brexit poi non ha facilitato le cose.

Cahiers de doléances di gloriosa memoria, jacqueries postmoderne

Può così accadere che i margini si rivelino alla fine straordinariamente stretti. Di qui lo scontro epocale sulla revisione prezzi dei prodotti petroliferi con la susseguente nascita dei movimenti dei gilet-jaunes, di stampo neo-populista, con tanto di cahiers de doléances di gloriosa memoria e nouvelles jacqueries. O il doppio tentativo di riforma del sistema pensionistico: il primo nel 2019, poi bloccato dal Covid e il secondo andato in porto di recente, con uno strappo parlamentare e sull’onda di una dichiarazione di insostenibilità per un sistema che ha visto il rapporto tra lavoratori e pensionati passare dal 2,1 del 2000 all’1,7 del 2020.

La République macroniana, lungi dall’acquetarsi in un ritrovato cammino comunitario, si rivela scossa come non mai da un terremoto sociale permanente, con una Unione europea assediata dalla guerra in Ucraina e alle prese con una epocale rideterminazione dei rapporti col mondo. Per la Francia naturalmente acuiti dagli scossoni provenienti da Territori d’Oltre Mare o dai paesi rimasti sotto la propria sfera di influenza, politica o monetaria. Assurdo rivolgersi indietro ai Trente Glorieuses per rimpiangere quell’epoca e fantasticarne il ritorno. Da tempo siamo precipitati in un’altra età: quella dei Trente Piteuses analizzati anzitempo, già nel 1998, da Nicolas Baverez: la «Francia è oggi l’uomo malato di un’Europa decadente», in cui «la crisi economica si trasforma in crisi sociale e diviene infine crisi istituzionale».

L’ennesimo ammazzamento di adolescente ha infine scatenato ancora una volta le banlieues e la connessa repressione poliziesca su larghissima scala.  Ad essa Macron, nonostante i tanti proclami, non ha saputo sottrarsi. Due France inconciliabili si guardano in cagnesco, proprio come eternato 30 anni fa da Mathieu Kassovitz nella Haine. In tanti aguzzano la vista su queste jacqueries post-moderne, provando a penetrare oltre la coltre stesa dalle facili etichettature sulla «neoplebe».

È il caso invece di interrogarsi su ciò che in Francia appare estremizzato da una congiuntura particolarissima ma che è cronaca quotidiana in tutta Europa. Il neoliberismo tecnocratico che da tempo spadroneggia è divenuto, complice la crisi fiscale universale e la dissoluzione dei sistemi politici fondati sulla partecipazione di massa, incoronazione di un leaderismo corrosivo d’ogni sistema di protezione sociale. Una società sempre più ignuda si dibatte, sotto l’assedio di un immane rancore sociale, tramutando in distopia la realtà quotidiana di masse sempre più estese.

La Francia, affetta inguaribilmente da cesarismo congenito, ora ne è vittima. L’intera Europa, se persiste nel suo immobilismo, rischia di affacciarsi su questi baratri.

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