IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

Colto e Mangiato

“Genni”, come lo chiama affettuosamente il Presidente del Senato, Ignazio La Russa, è indubbiamente un uomo colto. D’altronde non abbiamo motivo per dubitare del ritratto ufficiale di Gennaro Sangiuliano fornito dal Ministero della Cultura: “direttore del Tg2 dal novembre 2018 all’ottobre 2022, autore di numerosi saggi storici e scientifici tra cui (…) le biografie di Ronald Reagan, Vladimir Putin, Hillary Clinton, Donald Trump, Xi Jinping”. Leggeremo con interesse.

Certo “Genni”, da Ministro della Cultura, ha già accumulato in meno di un anno un discreto numero di infortuni (virale la sua “sincera” esternazione in occasione del Premio Strega). Ma le gaffe ci stanno nella vita di un uomo in carriera. E “Genni”, che ama presentarsi anche come un uomo prudente, starà certamente molto più attento in futuro. Ne siamo (quasi) certi.

Le gaffe sono, tuttavia, il problema minore del Ministro. Il problema maggiore è un altro. È l’idea vecchia, qualunquista e ruffiana che coltiva da tempo della Nazione, del suo presente, del suo futuro, come è pubblicamente e clamorosamente emerso lo scorso 4 agosto al parco archeologico di Pompei.

Dopo mesi di gestazione “Genni” ha svelato – insieme all’ineffabile Ministro dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida – il logo ufficiale che sosterrà la candidatura della Cucina Italiana a Patrimonio Immateriale dell’Unesco. Nel logo ministeriale di colto questa volta non c’è niente, c’è solo il mangiato. La cultura e la cucina c’entrano poco, anzi nulla.

Il logo raffigura la mano di un cuoco intento a spadellare un fritto misto all’italiana con elementi di cucina nostrana alternati a personaggi storici e culturali, monumenti e simboli del territorio. Rigatoni, funghetti, limoni, aranci, pomodori, Moli Antonelliane, Colossei, Rita Levi Montalcini, Leonardo Da Vinci, Dante Alighieri, Giuseppe Verdi e Torri di Pisa. Tutto mantecato quattro salti in padella, come ha scritto Giulia Giaume su Artribune. Senza alcuna punta di esagerazione.

D’altronde, la scritta “Io Amo”, nella parte bassa del logo, non lascia adito ad alcun dubbio. La scritta, vera e propria ciliegina sulla torta (per stare in tema) contiene due cuoricini tricolori al posto delle lettere ‘o’ in modo che la si possa leggere anche come “I am la cucina italiana”. Pensieri lunghi.

Il commento enfatico di “Genni” pronunciato di fronte all’orripilante logo ha tinto di colori surreali l’evento: “Questa sera – ha detto il Ministro – mettiamo un ulteriore mattone in un processo che vuole portare la cucina italiana, che è una eccellenza globale, ad avere il riconoscimento internazionale… la nozione di bellezza riferita all’Italia non lo è soltanto per il patrimonio culturale, artistico e archeologico che possiamo vantare ma è riferito a tutte le nostre realtà e attività, di cui la filiera enogastronomica è parte rilevante nonché universalmente riconosciuta, anch’essa occasione per il nostro sviluppo socio economico”.

 Un’Italia capace di guardare solo indietro e alla sua pancia. La cucina è certamente cultura. Ma la “cultura” che flirta con quegli stereotipi, tanto diffusi all’estero, che dipingono gli italiani come “spaghetti e maccheroni”, “pizza e mandolino”, non è affatto un buon servizio alla Nazione.

Non è giuridicamente “alto tradimento” e “attentato alla Costituzione”, ma lo è politicamente. E non possiamo nemmeno dire: “cosa abbiamo fatto di male per meritarci Genni”? In tanti, in troppi, hanno aperto in questi anni, con il loro silenzio e con la loro complicità, vere e proprie autostrade al tipo antropologico del “colto e mangiato”.

Restiamo in attesa di una improbabile autocritica collettiva, anche tardiva. Un po’ di sobria e lungimirante declinazione dell’interesse nazionale da parte di tutti servirebbe anche alla legittima causa della candidatura della Cucina Italiana a Patrimonio Immateriale dell’Unesco

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