IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

Critica alle magnifiche e progressive sorti dell’IA

Si discute dell'utilità dell’intelligenza artificiale, per non parlare del vero tema: il suo utilizzo perverso, predittivo e previsionale. Per non parlare di un mondo governato da un tecno-capitalismo che lo desidera inchiodato ad un eterno presente. Senza imprevisti, senza politica, senza più gli uomini.

Ogni ordine sociale e politico che si rispetti, anche il più malconcio quale quello attuale di matrice neoliberista, necessita per non tirare definitivamente le cuoia di un racconto collettivo autocelebrativo, che ne esalti le magnifiche sorti e progressive o, più realisticamente, lo faccia apparire come il meno peggio tra quelli esistenti. Il compito risulta alquanto arduo per un tecno-capitalismo occidentale che pare scontare da tempo un deficit strutturale di autolegittimazione ideologica e costretto ad appellarsi in misura crescente a risorse esterne per costruire un quadro di normatività volto ad assicurare obbedienza individuale e collettiva (L. Boltanski-E. Chiapello, Il nuovo spirito del capitalismo, 2014).

Apocalittici e integrati?

Più in particolare, l’occidente collettivo da qualche decennio a corto di buoni argomenti, per effetto delle cattive prestazioni del mercato deregolamentato e capace solo di scagliare anatemi in basso, per aver vissuto al disopra delle proprie possibilità, da ultimo sta battendo il chiodo in modo quasi compulsivo sulle mirabolanti imprese della cosiddetta “intelligenza artificiale”. Tanto da far sospettare, per l’intensità e la reiterazione del tema, che si stia allestendo l’ennesima cattiva teologia di completamento, a fronte di un paradigma socioeconomico che fa acqua da tutte le parti. Una spia di questa deriva fideistica a cui stiamo assistendo è data dalla costituzione della ricorrente dialettica tra gli “apocalittici” e gli “integrati”, per applicare le categorie oramai classiche di Umberto Eco. Dunque, ancora una volta non una sana discussione basata su argomentazioni razionali piuttosto la contrapposizione priva di mediazione possibile fra tecnofili ortodossi, da una parte, ed epigoni del luddismo dall’altra.

È un effetto collaterale che il sistema mette in conto e forse addirittura propizia. Perché il bello di queste due posizioni apparentemente antitetiche è la comune condivisione, sia pure con una tonalità emotiva opposta, della irresistibilità del processo. Si tratta di un caso da manuale di come un ordine discorsivo dominante riesca a veicolare come presupposto indiscutibile quello che a tutti gli effetti è un posto, da precisi interessi di accrescimento di potere politico ed economico da parte di una ristretta aristocrazia finanziaria ben decisa a comandare

Lo storytelling del Giano bifronte

Basterebbe ricordare ad entrambe le fazioni in lotta che la tecnica è consustanziale all’umano a partire dalla scena originaria del primo antropoide che ha utilizzato un bastone per prendere un frutto dall’albero. E che forse il tema vero, come per l’economia del resto, sta nel governo politico della tecnica secondo finalità emancipativi e non di oppressione e sfruttamento. Ma come accennato è però nel manico il difetto. In un tipo di narrazione orchestrata sapientemente dal mainstream dove l’intelligenza artificiale viene presentata come un Giano bifronte, capace di strabiliare da un lato ed intimorire dall’altro, con toni messianici alternati ad altri decisamente più cupi e millenaristici. Come ogni canone teologico che si rispetti. E per imbrogliare ulteriormente le carte agli occhi di quella pletora di creduloni in cui buona parte di noi si è trasformata, si annunciano prototipi di robot sempre più simili all’uomo, nelle movenze e nell’aspetto esteriore (M. Zuckerberg). Quasi ad orologeria, poi, si fanno uscire notizie di prime aggressioni di ingegneri umani della Tesla ad opera dei propri corrispettivi artificiali, solo giganteschi in quanto a dimensioni. E poi il Fondo Monetario Internazionale, non proprio l’ultima fra le istituzioni di questo «mondo grande e terribile» che stima in una percentuale di circa il 60% la perdita di posti di lavoro per effetto della messa a terra dell’intelligenza artificiale. A chiudere il cerchio l’ubiquitario Elon Musk che dichiara una flotta di navicelle spaziali pronte a salpare per colonizzare Marte, se tutto dovesse andare storto come pure un certo storytelling pare avvalorare.Tradotto tutto questo in termini di “struttura”, il neoliberismo è in crisi irreversibile ovunque, da tempo, e l’homo oeconomicus che gli sta sopravvivendo non pare attrezzato per sostenere la nuova fase. Una fase in cui un paradigma socioeconomico, nelle due varianti ordoliberista e neoliberista, non è più in grado di sostenere lavoro e benessere diffuso ed ha la disperata urgenza di sostituire l’egemonia perduta con forme di potere più verticali e pervasive che, nella continuità granitica dell’accumulazione, assicurino in pari tempo, tramite i dispositivi automatici, forme di obbedienza e disciplinamento personalizzate. L’AI è il corrispettivo sul piano interno di quello che la guerra rappresenta sul versante esterno: l’estrema risorsa ideologica da parte di una nomenclatura allo sbando, intenta perlopiù a guadagnare tempo (W. Streeck, Tempo guadagnato, 2013).

Niente di umano

Per fortuna ci viene in soccorso il vecchio Marx, che da buon dialettico ci avverte che ogni epoca produce solamente quei problemi che è in grado di risolvere in linea di principio. E pertanto in questo procedere di pari passo di pensiero é cosa diventa decisivo l’utilizzo del pensiero critico, che è sempre un risalire dal semplice ed astratto, della propaganda, alla complessità e concretezza del reale come risultato, merce quasi introvabile nel nostro concitato presente. Al riguardo, ci spiega il fisico e matematica Stefano Isola nel suo ultimo saggio sull’argomento (A fin di bene: il nuovo potere della ragione artificiale, 2023) che l’AI di ultima generazione è solo un sofisticato sistema di calcolo statistico sia pure di una potenza mai vista prima. Pertanto non ha niente di umano e non ha nulla a che spartire col sogno prometeico di replicare il cervello umano e magari sopravanzarlo accarezzato negli anni Cinquanta/Sessanta del secolo scorso e ben presto accantonato. Dunque, le centinaia di esemplari di intelligenza artificiale che vengono esposti, quasi come in un circo, nelle mostre e fiere di mezzo mondo o si mettono in funzione nella forma impalpabile degli algoritmi sono in realtà un concentrato di potere statistico e poco altro. A cui sempre più spesso, è qui sta l’inghippo, si attribuiscono compiti predittivi e previsionali fuori portata. È in questo interessato riorientamento nei modi di utilizzo, allo scopo di controllo/obbedienza e profitto, non certo nella intelligenza artificiale in quanto tale che si annidano i principali rischi e le incognite per l’umanità.

Un automatico farsi uguale delle cose e degli uomini.

Il tema non è l’utilità dell’AI, che è fuori questione, piuttosto del suo utilizzo perverso: predittivo e previsionale. Si tratta infatti di un esclusivo formidabile strumento statistico che può accompagnare proficuamente e sgravare i compiti e gli obiettivi del genere umano, ma non è in grado di rimpiazzarlo nelle decisioni ed intenzioni, che si ridurrebbero in questa maniera a medietà statistica; perché strutturalmente incapace, l’algoritmo, di una razionalità libera nel fine, essendo bloccato «nella ripetizione conformistica di ragionamenti che traggono dal passato, che proiettano linearmente nel futuro ipotecando, nel frattempo, il presente»(C. Galli, Democrazia, ultimo atto? 2023). E invece assistiamo ad un utilizzo improprio crescente, come normatività predittiva personalizzata, pur non avendone le caratteristiche ontologiche per farlo. In proiezione futura ne risulterebbe un mondo umano inchiodato ad una dimensione di eterno presente riprodotto su basi statistiche senza imprevisti, un automatico farsi uguale delle cose e degli uomini. Senza possibilità alcuna di salti politici e cambiamenti di paradigma. Senza più l’uomo.

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