IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

Energia pulita, finanza torbida

La falsa pulizia della finanza verde. L’International Energy Agency non nasconde le nuvole nere all’orizzonte, ma sottolinea che si va sviluppando una nuova, importante, economia dell’energia pulita. I lati oscuri della medaglia: diseguaglianze, bombe al carbonio, finanza torbida.

Le previsioni sull’espansione della produzione di energia rinnovabile nei prossimi cinque anni sono più forti di qualche anno fa. Si sottolinea come gli investimenti   nel settore siano cresciuti del 40% nel 2022 rispetto al 2020. Lo studio prevede che più di 500 gigawatt di capacità di energia rinnovabile dovrebbero essere aggiunte nel 2023, un record. Entro il 2027 si dovrebbe aggiungere tanta capacità di produzione della stessa quanto negli ultimi venti anni. Anche la capacità produttiva dei sistemi di energia pulita si sta espandendo velocemente. L’ente sottolinea che gli investimenti nel settore petrolifero erano pari nel mondo a 679 miliardi di dollari nel 2015 ed erano scesi a 493 miliardi nel 2022; quelli nel gas naturale sono passati nello stesso periodo da 433 miliardi a 329, andando nello stesso senso; nel campo dell’energia a bassa emissione gli investimenti sono invece cresciuti da 362 miliardi a ben 660; quelli nell’efficienza energetica da 343 miliardi a 453; quelli nelle reti elettriche e nell’immagazzinamento dell’energia da 326 miliardi a 352. Secondo altra fonte (Rystad Energy) gli investimenti nelle energie rinnovabili supereranno quelli nelle fossili nel 2025.

Il lato oscuro della medaglia

Ma sono in molti ancora a registrare il lato oscuro della medaglia. Così, ad esempio, George Monbiot, un noto giornalista inglese (Monbiot, 2023). Nell’Antartico lo scioglimento dei ghiacci è accelerato drasticamente nell’estate di questo anno, mentre il suo livello precedente non si è ricostituito durante l’inverno locale. Intanto, nuove ricerche sull’Amazonia hanno trovato quello che gli scienziati chiamano i segnali precursori dell’avvicinarsi di una transazione critica; una combinazione di deforestazione e di rotture climatiche che potrebbero interrompere presto la circolazione delle piogge nel bacino, scatenando un rapido passaggio dell’area dalla foresta pluviale alla savana e ad una rilevante perdita di specie animali. Mettendo insieme le analisi della Iea e quelle di Monbiot, si deduce che le minacce all’ambiente sono ancora tutte lì; anche se si manifesta una maggiore attenzione al fenomeno che si traduce in una forte crescita degli investimenti nel settore delle energie rinnovabili.

Come è scritto nella copertina di un recente numero di “The Economist”, «Qualche progresso è in atto, ma bisogna provare più decisamente». L’obiettivo che era stato fissato con gli accordi di Parigi del non superamento dell’aumento di 1,5 gradi nella temperatura media sarà difficilmente raggiungibile (Carrington, 2023). D’altra parte, il presidente della Cop28, Sultan Al Jaber, che risiede in un paese (Dubai) che rigurgita di petrolio e gas ed è presidente della compagnia petrolifera nazionale degli Emirati, si mostra ottimista. E pare che la Cina, il più importante inquinatore del mondo almeno in valori assoluti, raggiungerà il picco delle emissioni di CO2 già quest’anno, invece che nel 2030 (Rystad Energy). Più di quanto promesso.

Una triplice disuguaglianza

Certamente non tutti i paesi e non tutte le società sono egualmente responsabili del disastro ambientale in atto, né le sue conseguenze ricadono su tutti egualmente.

Così in un articolo recente (Tooze, 2023), si mette in rilievo come al cuore della crisi ci sia quella che l’autore chiama una «tripla disuguaglianza». Si tratta, in primo luogo, di una disparità di responsabilità nell’originare il problema, con il 50% della popolazione del mondo più povera (4 miliardi di persone) responsabile soltanto del 12% delle emissioni totali e il 10% più ricco all’origine della gran parte delle stesse; l’1% più ricco della popolazione del pianeta emette più CO2 del 66% più povero. Si tratta di una disparità poi nella possibilità di sopportare l’impatto della crisi che graverà di più sui paesi più poveri (è l’Africa sub-sahariana a soffrire di più del riscaldamento globale) e di disparità nella disponibilità di risorse per una mitigazione del problema, con di nuovo i paesi poveri disperatamente carenti delle risorse necessarie per farlo.

Sottolineiamo, incidentalmente, come i programmi di riduzione dei livelli di emissione si debbano scontrare non solo con l’ostilità di molti governi, partiti politici e grandi gruppi in particolare dell’energia, ma anche, più sorprendentemente, con l’ostilità di una parte consistente dell’opinione pubblica di diversi paesi, che, tra l’altro, in molti casi si sente toccata nei suoi interessi e nel suo portafoglio.

Le bombe al carbonio e le banche

E veniamo ora ai temi più strettamente finanziari. Il fatto che non tutto vada per il meglio è testimoniato, tra l’altro, dal fatto che sono stati individuati di recente nel mondo ben 425 progetti (Niranjian, 2023; Aubert, 2023) nel settore delle energie fossili, ognuno dei quali potrebbe emettere, se portato avanti, più di un miliardo di tonnellate di biossido di carbonio nell’atmosfera (“Carbon Bombs”). Essi, messi insieme, potrebbero distruggere l’ultima possibilità di impedire che il riscaldamento del pianeta raggiunga livelli molto pericolosi.

Ora, nel periodo che va dal 2016 al 2022, le grandi banche, in particolare quelle europee, statunitensi e cinesi, hanno fornito finanziamenti a tali progetti per 1800 miliardi di dollari e nel solo 2022 per circa 150 miliardi. Tali banche finanziano direttamente i progetti o supportano massicciamente le imprese che li sfruttano. Le grandi banche dell’area dell’euro che pubblicizzano di più le loro politiche ambientali sono proprio quelle che prestano di più alle imprese con alte emissioni di carbonio. Tale disconnessione tra il dire ed in fare sull’ambiente è stata messa in rilievo in una ricerca recente (Bufacchi, 2023), ove si sottolinea che uno dei presupposti per accelerare il passaggio ad un’economia verde appare quello di spingere gli istituti bancari e assimilati a cambiare radicalmente il loro atteggiamento.

La finanza cosiddetta verde

Secondo i dati ufficiali, stiamo comunque assistendo comunque ad una forte crescita della finanza verde; al finanziamento, da parte delle istituzioni preposte, di attività che rispettino i criteri cosiddetti ESG (Environmental, Social, Governance), che facciano cioè riferimento agli aspetti ambientali, sociali e di c.d. buona governance. Già nel 2019 si parlava di un totale di 35.000 miliardi di dollari, il 36% di tutti i fondi gestiti professionalmente, dedicati al settore, una apparente valanga. Ma mentre tali titoli “verdi” crescevano esponenzialmente, altrettanto crescevano le emissioni inquinanti. Per i dati ottimistici appena citati si è parlato così, con un’efficace espressione, di greenwashing (di falsa pulizia, cioè, dello sporco).

Ci sono molte possibili spiegazioni a tale apparente contraddizione. Ci limiteremo a qualche semplice annotazione. Se si guarda in dettaglio alle cifre, nella UE quasi la metà di tali fondi “puliti” sono utilizzati dalle compagnie petrolifere e minerarie, tra i massimi inquinatori del pianeta. Certo esse dichiarano di utilizzare tali fondi per progetti verdi, ma chissà cosa succede veramente. Così la francese Total ha promesso di emettere in futuro soltanto titoli verdi, il che significa che tali titoli serviranno ovviamente a finanziare anche le attività di esplorazione petrolifera.

Un problema di fondo è quello che mancano definizioni comunemente accettate di investimenti ESG e non esistono strumenti di controllo efficaci. E poi, come mettere nello stesso paniere il verde, il sociale e la governance? Così, ad esempio, delle imprese pessime sul fronte dell’E possono ottenere una notazione virtuosa perché positive su S e G, confondendo gli investitori bene intenzionati.

Uno studioso francese, Laurence Shalom (Shalom, 2023) mette in dubbio che la finanza virtuosa sia veramente virtuosa. Sulla definizione di tale termine ci sono, ricorda, due visioni opposte. Per l’investitore preoccupato seriamente della conservazione del pianeta quello che importa è l’impatto delle imprese sull’ambiente; quindi egli cercherà di investire in delle imprese attente a non degradare l’ecosistema. Ma gli uomini di finanza e la gran parte delle imprese si preoccupano invece principalmente delle conseguenze finanziarie di questo degrado sui loro conti e sul loro valore di Borsa. Queste due concezioni molto diverse sono fonte di confusione, confusione propizia al greenwashing. Ora non esistono delle norme che chiarifichino questo punto essenziale, ricorda Shalom. L’approccio sviluppato, ad esempio dall’International Sustainability Standard Board, ente apparentemente autorevole nel campo, propende ahimè, come gli stessi Stati Uniti, per l’ipotesi più favorevole alle aziende.

Per far emergere una finanza veramente sostenibile si dovrebbe, secondo Shalom, passare attraverso un’azione pubblica forte, riarmare i poteri pubblici di fronte alla finanza, in modo da costringerla a partecipare allo sforzo collettivo. Obiettivo molto impegnativo. Peraltro bisogna ricordare che di recente il mercato finanziario sta riducendo la domanda di fondi specializzati nell’ESG in relazione anche alla bassa redditività ottenuta di recente dagli stessi.

Le grandi imprese dell’energia e i loro investimenti

Secondo una stima recente (Carrington, 2022), negli ultimi cinquanta anni l’industria del petrolio e del gas ha ottenuto nel mondo 2,8 miliardi di dollari di profitti al giorno, una cifra sbalorditiva. Ancora nel 2022 la Exxon ha dichiarato utili netti per 56 miliardi di dollari, la Shell per 39,9, la Chevron per 36,5, la Bp per 27,7 e la Total per 21,0. Nel suo piccolo anche l’Eni ha compiuto il miracolo guadagnando nell’anno 13,3 miliardi di euro; mentre la saudita Aramco, dal canto suo, ha registrato da sola 161 miliardi di dollari di utili. Complessivamente, i profitti nel settore sono nel 2022 praticamente raddoppiati rispetto all’anno precedente.

Con tali enormi somme tali gruppi hanno sempre avuto e continuano ad avere la forza finanziaria per comprare tutti i politici del mondo e bloccare o almeno ritardare il più possibile l’azione degli Stati e degli organismi pubblici nazionali contro la crisi climatica.

Così le società dell’energia continuano ancora oggi a investire la gran parte delle loro enormi risorse nel settore delle energie fossili, lasciando solo una quota in generale ridotta a quelli nelle rinnovabili Le giustificazioni ufficiali a tale comportamento fanno tra l’altro riferimento alla minore redditività del settore delle rinnovabili rispetto a quella del comparto fossile e al fatto che il mercato avrà bisogno ancora per molto tempo di petrolio e gas.

Ora alla COP 28 50 tra le più importanti imprese energetiche del pianeta (tra di loro, la Exxon Mobil, la Total, la BP, la Shell) hanno promesso di eliminare le emissioni derivanti dalle loro operazioni sul terreno entro il 2050; ma tale promessa alla fine prende in considerazione nella sostanza solo il 15% delle emissioni di gas serra di cui è responsabile il settore. Intanto le stesse società stanno aumentando la produzione di petrolio e gas. È come se, ha commentato qualcuno, una impresa operante nel settore delle sigarette provasse a risolvere il problema del cancro ai polmoni organizzando la produzione delle stesse sigarette in modo più efficiente (Bryan, 2023).

Il caso della BP inglese e quello italiano

La British Petroleum è una società energetica britannica tra le più grandi del mondo. Il suo AD, Bernard Looney, aveva messo a punto qualche tempo fa un nuovo slogan per il gruppo, “Al di là del petrolio” ed aveva costituito una nuova società, la Helios, il cui nome rimandava facilmente alle energie rinnovabili. Egli si era dato coerentemente come obiettivo quello di ridurre del 40% il livello delle emissioni inquinanti del gruppo entro il 2030 e di arrivare ad una situazione di zero emissioni entro il 2050. Ma all’inizio di questo anno è stato costretto a tornare indietro sui suoi passi e, infine, anche costretto alle dimissioni (Watts, 2023).

In Italia abbiamo, come è noto, due grandi gruppi energetici, l’Eni e l’Enel. Mentre la prima impresa continua a dare priorità al settore fossile, il responsabile dell’Enel aveva avviato un grande programma di investimento nel settore delle energie rinnovabili, azione che aveva portato l’azienda ad essere citata internazionalmente come un modello virtuoso. Ma anche il responsabile dell’Enel è stato rapidamente licenziato. Il nuovo amministratore delegato, il camaleontico Carlo Cattaneo, si è subito precipitato a tagliare gli investimenti nelle energie rinnovabili per i prossimi anni e più in generale a demolire quanto era stato fatto sino ad allora. Si stanno così anche revocando le attività avviate da poco dalla stessa Enel nella produzione di pannelli solari in particolare in Sicilia e poi negli Stati Uniti. Una vergogna.

Le due storie indicano che è molto pericoloso al momento, nei grandi gruppi energetici, anche in Europa, farsi paladini dell’ecologia; vi si oppongono sia gli azionisti privati che i poteri pubblici.

Il finanziamento delle energie rinnovabili e dintorni

È bene ricordare che tra il 2013 e il 2020 sono stati impiegati dai pubblici poteri di tutto il mondo circa 2.900 miliardi di dollari in sussidi alle energie fossili (Irena, 2023). Bisogna partire da lì, dirottando l’allocazione di tali fondi verso le energie rinnovabili.

Per quanto riguarda in generale le risorse necessarie alla transizione energetica, si fa l’ipotesi di un fabbisogno netto supplementare di investimenti di 2500 miliardi di dollari annui a livello mondiale; per quanto riguarda la gestione dell’acqua si pensa a 350 miliardi di dollari, mentre per la gestione della biodiversità si valutano le necessità ulteriori in 800 miliardi di dollari (Artus, 2023).

Si pone ovviamente il problema di come coprire tali fabbisogni. In questa sede si ricordano soltanto alcune piste possibili.

Intanto, bisognerebbe spingere le grandi imprese dell’energia ad investire molto di più in tale settore. Più in generale, si dovrebbe puntare ad un mutamento nei comportamenti delle imprese, di fronte al fatto che le pratiche di distribuzione di dividendi e di riacquisto di azioni proprie non cessano di aumentare (Artus, 2023). Le società dovranno in futuro ridurre la remunerazione degli azionisti sotto le varie forme utilizzate in modo da disporre di un volume maggiore di risorse per realizzare la transizione energetica nelle loro imprese.

Bisognerebbe poi persuadere, accanto alle istituzioni bancarie private, le grandi istituzioni finanziarie per lo sviluppo internazionale, dalla Banca Mondiale al Fondo Monetario, dalle banche regionali di sviluppo tradizionali a quelle sorte per iniziativa cinese, dalla AIIB alla banca dei Brics a quella dello Sco, ad andare molto di più nella stessa direzione. Il totale delle attività possedute dalle più di 520 banche pubbliche di sviluppo e istituzioni finanziarie per lo sviluppo presenti nel mondo ammontano oggi a 22,5 trilioni di dollari (Mazzuccato, 2023).

Ci sarebbero poi i fondi mobilitabili dagli Stati nazionali (ricordiamo tra l’altro i programmi in proposito di Usa, Cina e UE) e poi in particolare quelli relativi al possibile accordo tra i paesi ricchi e quelli emergenti per la creazione di una istituzione essenziale, quella di un fondo per aiutare i pasi particolarmente vulnerabili che soffrono degli effetti devastanti del riscaldamento globale (si tratta del tanto discusso “Loss and damage fund”). Ma tale novità va avanti con fatica, anche se è stata messa a punto, nei primi giorni di novembre, una bozza di accordo, peraltro non entusiasmante, tra i vari paesi, bozza subito approvata con grande enfasi dalla Cop28. Il responsabile di una NGO ha commentato la cosa affermando che «questo è un giorno triste per la giustizia climatica, dal momento che i paesi ricchi voltano le spalle alle comunità vulnerabili» (Harvey, 2023). Tra l’altro, i paesi emergenti affermano che i paesi donatori avranno un’influenza preponderante sulla gestione del fondo e tenderanno a richiedere tariffe esorbitanti ai paesi riceventi (Mazzuccato, 2023). Per altro verso è troppo poco e troppo tardi. E, in effetti, la gestione del fondo viene affidata alla Banca Mondiale, istituzione che si è sempre distinta per una sostanziale indifferenza ai problemi del clima e che finanzia ancora  oggi abbondantemente l’industria del petrolio e del gas (Attanasio, 2023).

Ma c’è un ulteriore problema. Cosa hanno in comune, si chiede Jézabel Couppey-Soubeyran (Couppey-Soubeyran, 2023) la de-desertificazione dei suoli, la depurazione delle acque, la raccolta dei rifiuti oceanici, la creazione di riserve di biodiversità, gli aiuti necessari perché tutte le famiglie possano avere accesso attivo alla transizione ecologica, ecc.? Tutte queste azioni e altre qui non citate sono delle spese necessarie per una transizione ecologica giusta ma che sono sprovviste di ritorni economici. Spese di questo tipo esigono la copertura da parte del settore pubblico.

È stato stimato che nella sola Europa sarebbero necessari per risolvere il problema circa 500 miliardi di euro di investimenti all’anno per sette anni. Come e dove reperire tali ingenti somme, di fronte anche al già elevato livello di indebitamento degli stessi Stati europei? Anche l’aumento delle imposte appare difficilmente sostenibile. Bisogna quindi ricorrere soprattutto ad una nuova forma di creazione di moneta senza indebitamento. Tecnicamente, afferma l’autrice, niente impedirebbe alla banca centrale di emettere della moneta legale senza acquisto di titoli o forme analoghe, iscrivendola semplicemente sul conto di una società finanziaria pubblica. Quest’ultima distribuirebbe sotto forma di sovvenzioni dei soldi alle imprese e ai progetti che perseguissero l’obiettivo di sviluppo durevole e che mancassero di redditività finanziaria. Le soluzioni, insomma, esistono, ma manca la volontà politica di attuarle.

Riassumendo…

Mentre assistiamo a delle manifestazioni evidenti del rapido avvicinarsi di una rilevante crisi climatica, si manifesta qualche segnale di crescita degli investimenti nelle energie pulite. Cruciale in tale quadro appare il comportamento della comunità finanziaria, che dovrebbe essere spinta a decisioni maggiormente consapevoli della drammaticità dell’ora anche da una forte pressione dei poteri pubblici. Purtroppo le ambigue conclusioni a cui è pervenuta la Cop28 sono lontane dall’indicare un cambio di passo.

Testi citati

Artus P., Quatre options pour financer la transition, Le Monde, 5-6 novembre 2023.

Attanasio L., Il fondo Loss and Damage, un anno di dubbi irrisolti, Domani, 29 novembre 2023.

Aubert R., Ces “bombes carbone” qui menacent le climat, Le Monde, 1-2 novembre 2023.

Bryan K. ed altri, Fossil fuel companies sign up to emission reduction pact at COP28, www.ft.com, 2 dicembre 2023.

Bufacchi I., Allarme dal blog della Bce: banche verdi solo a parole, Il Sole 24 Ore, 7 dicembre 2023.

Carrington D., Climate crisis: carbon emission budget is now tiny, scientists say, www.theguardian.com, 30 ottobre 2023.

Carrington D., Revealed: oil sector’s “staggering” $3bn-a-day profits for last fifty years, www.theguardian.com, 21 luglio 2022.

Comito V., La «finanza verde»: molta finanza e poco verde, www.sbilanciamoci.info, 15 novembre 2021.

Couppey-Soubeyran J., Pour une création monétaire sans dette, Le Monde, 29-30 ottobre 2023.

International Energy Association, World Energy Outlook 2023, ottobre 2023.

Irena (International Renewables Energy Agency), Global landscape of renewable energy finance 2023, Abu Dhabi, febbraio 2023.

Harvey F., «Loss and damage » deal struck to help countries worst hit by climate crisis, www.theguardian.com, 5 novembre 2023.

Mazzuccato M., We won’t tackle the climate crisis unless we transform the financing, www.ft.com, 15 novembre 2023.

Monbiot G., The «flickering» of Earth systems is warning us : act now, or see our already degraded paradise lost, www.guardian.com, 31 ottobre 2023.

Niranjan A., Banks pumped more than $150bn into companies running “carbon bomb” projects in 2022, www.theguardian.com, 31 ottobre 2023.

Shalom L., La finance peut-elle etre durable ?, Le Monde, 29-30 ottobre 2023.

Tooze A., The climate emergency is a new type of crisis, www.theguardian.com, 23 novembre 2023.

Watts J., BP must not backtrack on climate action, www.theguardian.com, 14 settembre 2023.

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