IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

Il Premierato infantile

1. Gli eredi della fiamma tricolore hanno, dunque, alla fine scelto per il premierato elettivo. Diciamo subito in sintesi di cosa si tratta, poi spiegheremo più nel dettaglio. Si scrive premierato elettivo, si legge premierato infantile.

La peggiore forma di presidenzialismo in circolazione, tanto che nella realtà non ne esiste uno sulla faccia della Terra e l’unico Paese che l’aveva adottato – Israele – vi ha presto rinunciato. Non funziona, insomma. Tanto basterebbe a persone di dotate di un minimo di buon senso per cambiare direzione.

2. Non accadrà, temo. La Signora Meloni dirà che il mio è solo un pregiudizio. E, invece, il mio è un giudizio che si fonda sulla semplice lettura del disegno di legge costituzionale presentato alle Camere.

La cosa migliore sarebbe discuterne trasparentemente a partire da cosa lì c’è scritto, invece di affidarsi ad un post su Twitter. Capisco le ragioni per le quali è lì che la Signora Meloni si trova più a suo agio. L’assenza di interlocutori e di contraddittori è un’anticipazione di quello che potrebbe diventare la democrazia italiana interamente nelle mani di un premier “bambino”. Una democrazia governata da un Capo senza Costituzione.

3. Sostiene Meloni. Questa è un’infamia, il disegno di legge costituzionale non accresce i poteri dell’esecutivo, non tocca quelli del Parlamento, non mette mano alle competenze del Presidente della Repubblica, incide solo su cinque articoli della Carta costituzionale.

Ma è proprio questo, Signora Meloni, il primo e più grande problema della sua riforma. Lei ignora come funziona l’orologio di una qualsivoglia democrazia.  Nelle democrazie parlamentari, quando c’è una crisi politica e di governo, si torna in Parlamento, magari facendo ricorso all’istituto della sfiducia costruttiva. Nelle democrazie presidenziali si torna al popolo. Tertium non datur.

4. Le sue norme antiribaltone, Signora Meloni, non anti-ribaltano un bel niente. Le sue norme antiribaltone sono solo un accanimento terapeutico allo stato puro. Prevedono che il Capo di un Governo politicamente morente non possa mai essere sostituito: se non da un parente, da uno di famiglia.

A fronte del fallimento delle capacità di un governo di governare, di un fallimento delle sue politiche, il disegno di legge sul premierato infantile prevede l’assunzione dei poteri di governo nelle mani di «un altro parlamentare che è stato candidato in collegamento al Presidente eletto» e al quale spetterebbe da quel momento il compito di operare in sua vece «per attuare le dichiarazioni relative all’indirizzo politico e agli impegni programmatici su cui il Governo del Presidente eletto ha ottenuto la fiducia».

5. Traduco queste confuse e torbide pseudo-disposizioni. L’opposizione parlamentare – la prima e fondamentale garanzia di ogni democrazia – è niente, per l’attuale Presidente del Consiglio. Il gioco di società dei ribaltoni all’interno della maggioranza è tutto.

Si chiama, nelle scommesse alle corse dei cavalli, accoppiata. Punto su Meloni vincente e Salvini secondo, ma per incassare la vincita va bene anche Salvini vincente e Meloni seconda. Niente governi tecnici per carità. Ma il trasformismo no, quello va bene. Sbrighiamo tutto tra noi. Non siamo, d’altronde, quelli di «Dio patria e famiglia»?

È quanto prevede, nero su bianco, il riformato articolo 94 della nuova Costituzione meloniana.  Nuova sino a un certo punto, anche solo a leggere i dizionari enciclopedici: «Trasformismo. Prassi di governo fondata sulla ricerca di una maggioranza mediante accordi e concessioni a gruppi politici eterogenei allo scopo di impedire il formarsi di una vera opposizione come quella inaugurata da Agostino Depretis negli anni successivi al 1880».

6. Sono ingeneroso, lo ammetto. Prima di Agostino Depretis, la Signora Meloni è una fan della Legge 18 novembre 1923, n. 2444. Quella Legge Acerbo che attribuiva i due terzi dei seggi alla lista vincente.

La Signora Meloni si accontenta, invero, è scritto nel riformato articolo 92, del 55 per cento dei seggi. Ma almeno quella sciagurata legge che spalancò le porte al consolidamento del potere di Mussolini prevedeva che il premio di maggioranza fosse attribuito alla lista che avesse superato il 25 per cento dei voti.

Su questo – sul raggiungimento di una soglia di voti del primo arrivato – il disegno di legge che istituzionalizza il premio di maggioranza tace. Nella speranza che la sua codificazione nella Carta fondamentale consenta di sfuggire alle censure della Corte costituzionale sulla compatibilità con i supremi principi di eguaglianza del voto, di pluralismo politico, di tutela delle minoranze. Furbizie infantili.

7. Sostiene Meloni. Lei, professor Cantaro, sta ora esagerando. La sua è una versione caricaturale, io voglio dare agli italiani “una costituzione più bella e più forte che pria”. Una costituzione in cui il potere di scegliere il governo sia finalmente in mano al corpo elettorale.

No, signora Meloni, non sto esagerando affatto. Lei pensa ad un Capo senza Costituzione, interessato a comandare più che a governare. Il suo premierato ignora che la sovranità nella sua interezza appartiene al popolo. Che, come postula il primo e inviolabile principio della nostra Carta fondamentale, la esercita nelle forme previste dalla Costituzione. Tramite i partiti, tramite tutti i partiti, tramite il Parlamento, tramite tutto il Parlamento, tramite il Presidente della Repubblica garante dell’unità nazionale.

Lei vuole semplicemente, sciaguratamente, blindare forzosamente il vertice dell’esecutivo, marginalizzare ulteriormente le assemblee politiche, erodere il ruolo degli organi di garanzia.

8. Sostiene Meloni. Lei, professor Cantaro, fa il processo alle intenzioni. Tutto questo non c’è nel disegno di legge, come dimostra il fatto che non vengono toccati i poteri e le funzioni del massimo garante della Costituzione e dell’unità nazionale, del Presidente della Repubblica.

No Signora Meloni, il suo premierato infantile fa di peggio. Il Presidente della Repubblica è messo in cantina e non tra i vini pregiati. Un passacarte. «Conferisce al Presidente del Consiglio dei ministri eletto l’incarico di formare il Governo», recita il terzo comma dell’art. 92. Ma no, si obietterà, Giorgia Meloni è una signora di mondo, declinerà il verbo conferire nell’elegante significato che ne dà il Dizionario della Treccani: «Conferire con qualcuno, intrattenersi a parlare, avere un colloquio su cose importanti».

Il cerimoniale della Repubblica è salvo. Forse. La Repubblica, no. Al suo posto una repubblica con la p minuscola, nelle mani del Capo di turno di una maggioranza elettorale. Roba da “Grande Fratello”.

9. Siamo di fronte – si è giustamente ricordato – ad una forma di Governo del Capo che può esistere «anche senza un Cesare, senza una grande personalità eroica». Cesarismo regressivo e infantile.

La Signora Meloni ignora la differenza tra forma di governo e forma politica. Sulla prima fa premio la seconda, l’idea che la democrazia elettorale è tutto. Chi vince prende tutto e i cocci sono del Paese, della sua democrazia.

Lei, Signora Meloni, perderà questa battaglia sbagliata e pericolosa. Ma grazie a chi sa distinguere tra forma politica e forma di governo non perderà tutto. Tornerà a fare, con tutte le giuste garanzie e il giusto spazio, l’opposizione. È meglio per Lei, è meglio – soprattutto – per l’Italia.

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