IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

L’architetto e l’oracolo

Per Gino Roncaglia, le intelligenze artificiali generative sono oracoli che operano associazioni statistico-probabilistiche. Se all’aumento della complessità non corrisponde una crescita delle competenze necessarie a gestirla, la complessità rischia di diventare un fattore di esclusione.

Complessità VS frammentazione

Nel mio libro precedente, L’età della frammentazione, ho contrapposto modelli architettonici di organizzazione delle informazioni come Xanadu (mai realizzato) o Wikipedia (realizzata e popolarissima) – molto ambiziosi e nati con l’aspirazione di costruire in digitale strumenti di gestione delle conoscenze migliori e capaci di maggiore complessità strutturale rispetto a quelli tradizionali – con la realtà rappresentata dalla grande diffusione in rete di contenuti brevi, granulari, frammentati, legati in particolare al mondo dei social network. In quella sede mi sono interrogato sulle ragioni e sulle caratteristiche di questa prevalenza della frammentazione sulla complessità, e sui problemi che essa pone soprattutto a livello di formazione scolastica e nella realizzazione di contenuti di apprendimento. Questo libro intende proseguire quella ricerca da un punto di vista diverso, ponendo al centro dell’attenzione non più l’età della frammentazione e i suoi effetti sul sistema formativo, ma alcuni fra i principali modelli per la creazione di contenuti digitali complessi e le loro conseguenze rispetto alla costruzione – e alla natura stessa – dell’edificio del sapere.

Modello architettonico e/o modello organico

La scelta è legata alla convinzione, che nel libro precedente avevo cercato di argomentare, della necessità di riconquistare complessità anche nell’ecosistema digitale: un’evoluzione che credo corrisponda a linee di tendenza abbastanza chiaramente individuabili negli strumenti che sono stati e vengono sviluppati in questi ultimi anni. In particolare, vorrei soffermarmi su due modelli – apparentemente alternativi, ma forse integrabili – di organizzazione complessa delle conoscenze: quello architettonico, basato sull’idea di un sapere fortemente strutturato, organizzato in base a ontologie e gerarchie solide e ben fondate, e quello organico, che vede l’insieme delle nostre conoscenze come una sorta di organismo vivente capace di modificarsi e crescere in forme non sempre ben definite e comprensibili, non sempre rigorosamente analizzabili, in cui i livelli superiori possono essere caratterizzati da proprietà emergenti difficilmente riducibili alla pura interazione meccanica delle componenti di livello inferiore (anche perché le componenti da considerare sarebbero troppe, e le loro interazioni troppo numerose e in parte sconosciute). Il primo modello è sostanzialmente quello della tradizione enciclopedica: l’enciclopedia rappresenta l’esempio paradigmatico della concezione architettonica del sapere, e l’enciclopedismo digitale ha cercato di aggiornare questa tradizione sfruttando le nuove armi offerte dalla multicodicalità, dall’ipertestualità, dall’interattività, nonché – sul piano della descrizione e categorizzazione dei contenuti – dalle ontologie e dai metadati, al centro di progetti come quelli del web semantico e dei linked data (su cui tornerò). Wikipedia ne è la manifestazione più nota, e la sua evoluzione nel tempo ci dice molto anche sull’evoluzione e sulle potenzialità future di questo modello. Come vedremo, al modello enciclopedico si collega spesso anche quello rappresentato da un’altra delle tradizionali cattedrali del sapere, la biblioteca, che però – soprattutto nelle sue manifestazioni più recenti – assorbe anche alcuni elementi del modello organico, come ben testimoniato dalla famosa ‘quinta legge’ della biblioteconomia proposta da Ranganathan: «La biblioteca è un organismo che cresce». Il secondo modello ha invece il suo esempio paradigmatico nelle reti neurali, che hanno oggi portato all’impetuoso sviluppo delle intelligenze artificiali generative come ChatGPT. Le intelligenze artificiali generative sono state spesso paragonate a oracoli, basati su associazioni statistico-probabilistiche più che su algoritmi logico-deterministici, e questa contrapposizione fra modello architettonico-deterministico e modello oracolare-probabilistico è alla radice anche del titolo del libro che avete in mano. Titolo che – per le lettrici e i lettori più nerd – gioca anche sulla contrapposizione fra l’architetto e l’oracolo nei film della serie Matrix, in cui i due termini sono usati a proposito dei due software di intelligenza artificiale, per molti versi contrapposti ma in ultima analisi costretti alla collaborazione, che Neo, il protagonista, scopre essere alla base della costruzione della ‘matrice’. Questa distinzione è anche alla base della struttura che ho dato al libro. (…)

La rivoluzione digitale

Molta parte del mondo in cui viviamo è stata trasformata, spesso radicalmente, dagli effetti della rivoluzione digitale. La lista delle abitudini, delle pratiche lavorative e comunicative, degli strumenti oggi di uso quotidiano che sarebbero stati totalmente incomprensibili anche solo trenta o quarant’anni fa, sarebbe lunghissima. E la velocità dei cambiamenti in corso suggerisce che lo stesso potrebbe accadere nel prossimo futuro: fra qualche decennio uno smartphone potrebbe suscitare nelle nuove generazioni la stessa curiosa meraviglia con cui le bambine o i bambini di oggi guardano un telefono a disco. Eppure, nonostante la velocità dell’innovazione, la rivoluzione digitale è un fenomeno articolato, che ha conosciuto fasi diverse e il cui sviluppo non è stato e non è necessariamente lineare. Le prospettive da cui possiamo analizzarlo sono molteplici, e non tutte compatibili fra loro. Alcune di queste prospettive sembrano effettivamente delineare una direzione di sviluppo ben definita: è il caso, ad esempio, della tendenza alla progressiva miniaturizzazione dei dispositivi e di quelle, parallele, all’aumento della loro potenza di calcolo e alla loro progressiva interconnessione (…)
Il futuro di questa linea di sviluppo – non facile da prevedere – potrebbe portare all’ulteriore diffusione di interfacce di ‘human augmentation’, di ambienti intelligenti, di sistemi di realtà aumentata e mista, in un contesto segnato dal crescente rilievo dei sistemi di intelligenza artificiale, sempre più spesso capaci di guidare anche il comportamento di dispositivi fisici. Ma questa prospettiva non è l’unica possibile. Anziché partire dall’evoluzione dell’hardware e delle infrastrutture potremmo guardare all’evoluzione sul versante del software, con il passaggio dai sistemi operativi a caratteri a quelli a grafici, dai videogiochi che hanno contribuito alla diffusione degli home computer ai primi pacchetti di applicazioni per il mondo del lavoro, per arrivare ai software di navigazione online, che hanno trasformato la rete in un ambiente comunicativo, e poi ai social network, fino agli strumenti di videoconferenza che hanno accompagnato, sia per lo studio sia per il lavoro, il periodo della pandemia e che sono chiaramente destinati ad avere un ruolo rilevante anche in futuro. O, ancora, potremmo guardare all’evoluzione della cornice ideologica ed economica che ha accompagnato la rivoluzione digitale, partendo dalla cosiddetta ‘ideologia della Silicon Valley’, curioso mix tutto statunitense di anarco-individualismo anti-statalista con sfumature di destra e di cultura hippy, di Ayn Rand e Robert Heinlein, di Dungeons & Dragons e radioelettronica, che ha creato negli anni ’70 l’ambiente culturale propizio alla nascita del personal computer come strumento di ‘personal empowerment’, per arrivare al suo capovolgimento nel turbocapitalismo neoliberista dei colossi Big Tech, in cui il controllo e lo sfruttamento economico dei dati – inclusi i dati personali – ha completamente sostituito la precedente rivendicazione dell’intangibilità della sfera personale da ogni intromissione esterna. Ognuna di queste dimensioni – e delle molte altre che potrebbero essere individuate – offre spunti e motivi di riflessione capaci di rivelare qualcosa del quadro d’insieme, ma non di esaurirlo o di renderlo perfettamente definito e coerente. Nel libro L’età della frammentazione avevo provato ad avanzare una proposta interpretativa ulteriore e in parte diversa, basata sul paragone – sicuramente non privo di qualche rischio di artificialità – fra l’evoluzione della rete e l’evoluzione delle società umane. Un paragone che si concentrava in sostanza su due polarità: quella fra scarsità e abbondanza di risorse informative, e quella fra frammentazione e complessità dei relativi contenuti. (…)

Il web 2.0

Con il cosiddetto ‘web 2.0’ lo scenario cambia: si moltiplicano i contenuti generati dagli utenti (il paradigma dello ‘user generated content’), che non sono più necessariamente ancorati a un singolo sito web ma possono circolare, rimbalzare da un sito all’altro, venire scambiati, diventare virali. I social network rappresentano un nuovo modello di produzione e diffusione capillare di informazioni granulari e a bassa complessità: si tratta di quella che, proprio pensando alla natura in fondo artigianale (per quanto mediata da strumenti di produzione e di editing sempre più sofisticati) del contenuto generato dagli utenti sui social, possiamo immaginare come l’età dell’artigianato e del commercio informativo. Il passaggio dalla relativa scarsità di risorse che caratterizzava l’età dei cacciatori-raccoglitori alla loro abbondanza o sovrabbondanza nell’età dell’artigianato e del commercio non ha dunque modificato, almeno finora, il loro carattere prevalentemente frammentato e granulare. Le forme di testualità di rete – dalle mail ai messaggi WhatsApp, dai post di un blog ai messaggi di stato sui social network, dai tweet alle pagine di un sito web – sono quasi tutte brevi, sia per la velocità che ne caratterizza la scrittura, la trasmissione, la ricezione, l’interpretazione, sia per il fatto di essere, appunto, contenuti ‘artigianali’ e autoprodotti. (…)

Il bisogno di complessità

Certo, la complessità non implica necessariamente qualità: una teoria del complotto può essere anche molto complessa, pur essendo irrazionale o infondata. E d’altro canto la frammentazione non implica necessariamente scarsa qualità o scarsa rilevanza: alcuni contenuti granulari possono essere preziosi. Ma la progressiva tendenza all’aumento di contenuti brevi e alla diminuzione di contenuti complessi – e la conseguente perdita di competenze legate alla complessità – è comunque un fattore che dovrebbe preoccuparci: il nostro processo di costruzione di conoscenze e di interpretazione del mondo richiede infatti necessariamente la capacità di produrre e lavorare con contenuti complessi, di raccogliere e organizzare dati, di formulare teorie. E questa esigenza cresce con l’aumentare dei fattori e delle dimensioni in gioco, come accade in società sempre più interconnesse. Se l’esplosione di contenuti granulari pregiudica le competenze e l’abitudine alla complessità, la nostra capacità di capire il mondo intorno a noi diminuisce. (…)

I bisogni formativi

Ne L’età della frammentazione avevo discusso le conseguenze di questa dialettica fra frammentazione e complessità con particolare riferimento al sistema formativo e alle risorse di apprendimento. La tesi di fondo che ho cercato di sostenere in quella sede è che se l’ipotesi di un progressivo recupero della complessità in ambiente digitale è corretta, ciò configura uno specifico bisogno formativo, legato alle competenze di complessità, trasversale rispetto a ordini e gradi scolastici e rispetto alle diverse discipline. In altri termini: il nostro sistema formativo deve orientare le sue politiche scolastiche e universitarie verso la necessità prioritaria di fornire a studentesse e studenti la capacità di produrre, comprendere, valutare, selezionare, conservare, diffondere contenuti strutturati e complessi, e non solo contenuti granulari e frammentati, e di farlo anche e soprattutto all’interno del nuovo ecosistema digitale, guardando alle forme di complessità che ci aspettano nel futuro e non solo a quelle ereditate dal passato. Mi sono poi soffermato, in particolare, sulle conseguenze di questo sviluppo per la forma-libro, che nella nostra tradizione culturale costituisce il principale paradigma di riferimento per la costruzione di informazione strutturata e complessa. (…)

I rischi

Vorrei sostenere piuttosto che la tendenza alla frammentazione, esasperata dai meccanismi di funzionamento dei social network negli anni ’10, non è necessariamente irreversibile e potrebbe anzi non corrispondere alle prospettive di sviluppo che ci aspettano negli anni ’20, e che in parte sono già in atto. D’altro canto, ed è qui la mia risposta alla seconda fra le critiche che ho sopra ricordato, credo occorra guardarsi anche da un altro rischio: quello di considerare come necessariamente ‘ottimista’ la prospettiva di un aumento dei contenuti complessi e strutturati e – in generale – di un aumento della complessità informativa. Per un verso, come ho accennato, la complessità non implica necessariamente qualità: una crescita nella produzione di contenuti complessi non accompagnata da adeguate competenze di comprensione e valutazione può risultare addirittura pericolosa. Per altro verso, se all’aumento della complessità non corrisponde una crescita il più possibile diffusa delle competenze necessarie a gestirla, la complessità rischia di diventare un fattore di esclusione anziché un fattore di sviluppo. E si tratterebbe di una direzione che non possiamo davvero permetterci di seguire.

[Gino Roncaglia, L’architetto e l’oracolo, Roma-Bari, Laterza 2023]

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