IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

Ma anche l’estremismo di centro di Macron è un problema

Durante l’aspro scontro sociale sulla riforma pensionistica Macron ha contrapposto la democrazia alla piazza. La legittimità istituzionale scollegata dal consenso popolare è un guscio vuoto. Il tempo della monarchia presidenziale è passato, le istituzioni della Quinta Repubblica sono in grande difficoltà.

Sono noti a tutti, per il loro rilevante interesse e per l’ampia informazione in proposito fornita anche dai media italiani, i fatti francesi degli ultimi mesi, con la lotta tra Macron e i sindacati, sostenuti questi ultimi da una grande parte dall’opinione pubblica e dai partiti della sinistra (ma anche, pur se molto più tiepidamente, dal Fronte Nazionale), sul progetto di riforma delle pensioni. Comunque, la grande mobilitazione del paese sul tema sembra avere avuto un termine, almeno provvisorio, con lo sciopero del 6 giugno. Parallelamente, un tentativo di rimettere in discussione nello stesso mese la questione in Parlamento è stato facilmente bloccato dai sostenitori di Macron.

La riforma senza voto parlamentare

La riforma è passata soltanto grazie all’utilizzo da parte del governo dell’articolo 49.3 della Costituzione francese, che permette a certe condizioni di varare una legge senza passare per un voto in Parlamento; occorre ricordare che le ultime elezioni legislative hanno lasciato il partito di Macron privo di una maggioranza assoluta in Parlamento e con molte difficoltà a costruire in qualche modo una coalizione con la destra dei Republicains, cosa che il presidente auspicherebbe molto.

Più di due terzi dei francesi si sono dichiarati ostili alla riforma e il 78% contrari all’utilizzo dell’articolo 49.3, mentre nell’ultimo periodo diversi milioni di persone sono scese in strada a più riprese per contestarla, con la presenza massiccia nelle proteste anche delle classi medie, ormai allo stremo delle forze dopo l’evoluzione negativa dell’economia (Saraceno, 2023).

Macron ignora e disprezza i corpi intermedi della società, l’Assemblea Nazionale, il Senato e soprattutto i sindacati, che si è rifiutato di ricevere per discutere della riforma (July, 2023). Nella sostanza, come ha scritto qualcuno, egli si propone di tagliare la spesa pubblica, esclude categoricamente di far pagare più tasse ai ricchi, e ignora i sindacati, disprezza totalmente lo stato sociale, che è peraltro al cuore dell’identità francese (July, 2023). Eppure, nel 2017 il sindacato cosiddetto “riformista”, la CFDT (l’altro grande sindacato del paese è la CGT, di ispirazione comunista) e in particolare il suo segretario, Laurent Berger, avevano salutato con piacere la sua elezione, perché pensavano di collaborare con Macron per modernizzare lo Stato sociale (Ungaro, 2013).

Cosa significa elevare l’età pensionabile

Il nocciolo della riforma, anche se non il solo aspetto della stessa, è costituito dall’innalzamento dell’età pensionabile da 62 a 64 anni (come minimo; si tratta delle cifre ufficiali, mentre la realtà può essere molto più dura), con l’aggravante di almeno 43 anni di contributi (ma di nuovo, al di là delle dichiarazioni ufficiali, in certi casi ne servirebbero almeno 44).

Secondo le cifre rilasciate dal governo (Meoli, 2023), senza riforma il disavanzo della gestione pensionistica varierebbe tra il 2022 e il 2032 da 0,5 punti a 0,8 punti del pil, vale a dire in valori assoluti da 10 miliardi all’anno in cinque anni a 20 miliardi in dieci anni, sulla base comunque di ipotesi presenti nei calcoli ufficiali che possono essere considerate in qualche modo discutibili. Dalla riforma pensionistica lo stesso governo spera di ottenere 9 miliardi di euro di risparmi nel 2027 e 15 miliardi nel 2030, anno in cui si dovrebbe raggiungere il pareggio di bilancio nel settore.

Macron ha dichiarato che non ci sono molte strade per equilibrare i conti e che le uniche alternative sarebbero l’aumento delle tasse, il taglio dei sussidi e quello della spesa pubblica per istruzione, assistenza sanitaria, difesa.

Ma intanto si prevede che il budget per la difesa cresca dai 295 miliardi del periodo 2019-2025 ai 413 miliardi di quello 2024-2030, con un incremento nel periodo di 118 miliardi (Meoli, 2023). Tale aumento è superiore alle economie generate dalla riforma delle pensioni, ciò che mette in dubbio l’atteggiamento di Macron come difensore dei conti pubblici.

D’altro canto, il premio Nobel Thomas Piketty ha ricordato come negli ultimi dieci anni la ricchezza complessiva delle prime 500 famiglie più agiate del paese è passata dai 200 ai 1000 miliardi di euro e che basterebbe tassare moderatamente tali incrementi di ricchezza per far quadrare i conti. Aggiustarli senza aumentare le tasse dei più ricchi, ma attingendo ai risparmi dei poveri, non sembra una posizione giustificabile.

Da questo punto di vista, la riforma è figlia di una visione neoliberista estrema che non affronta i nodi cruciali del nostro tempo, quali l’aumento delle diseguaglianze, l’emergenza climatica e la bassa crescita dell’economia.

Il peso della riforma delle pensioni graverà in particolare sui lavoratori con il titolo di studio più basso e che hanno cominciato a lavorare prima; essi dovranno aspettare più anni prima di poter andare in pensione, mentre quelli con un titolo professionale più qualificato che avranno cominciato a lavorare parecchio più tardi ne subiranno un peso molto minore. Ora, i lavoratori meno istruiti hanno un’aspettativa di vita più bassa e la riforma si mostra quindi come regressiva ed in grado di aumentare le diseguaglianze (Napoletano, Roventini, 2023); un ulteriore elemento di ingiustizia è rappresentato dal fatto che le donne saranno penalizzate più degli uomini.

La dimensione sociale della democrazia

Nel corso degli ultimi eventi, Macron e i suoi hanno più volte contrapposto la democrazia alla piazza, il bene democratico al male anarchico. Questa rappresentazione delle cose, osserva Alain Supiot, esperto di diritto del lavoro (Supiot, 2023), disconosce la natura della nostra democrazia e contribuisce a privarla di una delle due gambe che le permettono di camminare, la sua gamba sociale. La democrazia sociale è un rimedio alle insufficienze di una concezione puramente formalistica della rappresentazione politica, afferma lo studioso.

Per altro verso, la democrazia è minacciata quando la gestione della cosa pubblica viene affidata a degli esperti, a tecnici, la cui competenza è eretta a dogma, a danno degli utenti dei servizi pubblici. Si è così perduta la coscienza che un governo efficace deve tener conto in modo adeguato delle aspirazioni delle grandi masse. Tra l’altro, i teorici dell’ordine spontaneo del mercato vedono i sindacati come delle organizzazioni inutili di fronte a dei dirigenti sicuri di incarnare la ragione economica.

Al di là della Presidenza, è tutto l’edificio istituzionale, tutti gli attori politici, che sono discreditati nel paese (Garrigues, 2023). La legittimità istituzionale scollegata dal consenso popolare non è più che un guscio vuoto, un gioco di ruolo cui la maggioranza dei francesi non crede più; ci troviamo così di fronte ai sintomi di una frattura radicale tra una buona parte dei cittadini e le élite politiche, di cui il capo dello Stato è l’archetipo. Per altro verso, tale crisi di legittimità istituzionale è in atto già da alcuni decenni e le politiche di Macron non stanno facendo altro che aggravarla in misura rilevante.

La soluzione dovrebbe passare dalla riconnessione tra la legittimità istituzionale e la legittimità popolare (Garrigues, 2023). Il tempo della monarchia presidenziale è passato e l’esigenza di partecipazione dei cittadini appare un moto irreversibile. È arrivato il tempo che le riforme costituzionali e soprattutto le nuove pratiche politiche registrino questa domanda sociale.

Una ricerca recente (Conesa, 2023) mostra chiaramente come si registri oggi nella popolazione una diffidenza generalizzata verso le istituzioni, che dà la sensazione di una società malata e frantumata, avvicinando ormai la Francia all’Italia, spiega l’analista. Circa i due terzi dei cittadini francesi valutano che la democrazia non funziona bene (65%), contro il 40% in Germania, il 53% in Gran Bretagna, il 59% dell’Italia. La fiducia nel proprio governo è al 46% in Germania, al 33% in Italia, al 28% in Gran Bretagna, al 26% in Francia. Anche l’Unione Europea non gode di una grande popolarità; la fiducia dei tedeschi verso Bruxelles è al 48%, quella degli italiani al 42% e quella dei francesi al 35%. Questi indicatori sono comunque peggiorati nell’ultimo periodo in relazione alla guerra, all’inflazione, alla crisi energetica, oltre che in Francia, alla riforma delle pensioni.

Il caso francese dovrebbe far ovviamente riflettere i sostenitori nostrani del presidenzialismo, formula che evidentemente non risolve molti problemi e ne crea di nuovi.

Lo svilimento del lavoro

Il soggetto centrale della riforma delle pensioni è quello del lavoro. La grande maggioranza degli occupati francesi è contraria soprattutto all’idea di dover lavorare due anni di più dal momento che lo stesso lavoro è diventato sempre più duro, intenso per la gran parte degli occupati. Se il progetto di riforma delle pensioni è così male accettato dai due terzi dei francesi e dai tre quarti degli attivi è in relazione al fatto che la loro esperienza di lavoro è negativa e che la pensione costituisce ai loro occhi la sola ricompensa che resta (Cautrès ed altri, 2023). Tutto questo in relazione alle politiche pubbliche e delle imprese volte da molto tempo a lottare contro il costo del lavoro, in relazione ad un’idea presente in Francia sin dagli anni ottanta secondo la quale la disoccupazione e la debole competitività delle imprese francesi sarebbero dovute a un costo del lavoro troppo elevato, in particolare in ragione di uno Stato-previdenza troppo costoso, con dei contributi sociali molto elevati (Palier, 2023).

Ma paesi come la Germania e la Svezia presentano un costo del lavoro più elevato, pur riuscendo comunque ad essere più competitivi, mentre bisogna constatare che le imprese francesi, invece di cercare di migliorare il livello tecnologico delle loro produzioni, come hanno fatto i paesi citati, hanno preferito produrre sostanzialmente le stesse cose di prima con meno personale, pagato comparativamente di meno. L’efficacia di tale politica è stata molto debole e nello stesso tempo essa non ha permesso di migliorare le deboli posizioni francesi nell’export, mentre ha contribuito a costruire una rappresentazione svalutata del lavoro, ridotto ad un puro costo, invece di considerarlo come in altri paesi un atout (Palier, 2023).

Viene spontaneo a questo punto un confronto con il caso italiano. Anche nel nostro paese, e questa volta ancora prima e ancora di più che in Francia, la Confindustria ha cercato di diffondere l’idea che il problema centrale delle imprese fosse quello del costo del lavoro; lo stesso lavoro è stato svilito ancora di più che nel paese transalpino, ciò che ha avuto l’effetto, come in Francia e ancora di più che in Francia, di farci restare molto indietro non solo come costo del lavoro, ma anche come livello tecnologico delle nostre produzioni e come posizionamento nella divisione internazionale del lavoro. Comunque, a differenza della Francia, l’Italia è riuscita a far crescere in maniera significativa le sue esportazioni, ma solo, per la gran parte, offrendosi sui mercati internazionali come sub-fornitrice di parti e di semilavorati a basso costo, in particolare verso la Germania, cosa che i francesi possono difficilmente fare perché, tra l’altro, il loro costo del lavoro è comunque superiore a quello italiano e il loro settore industriale è comparativamente più debole.

Possiamo comunque incidentalmente ricordare come, mentre i due paesi sono molto deboli nel settore delle alte tecnologie (e l’Italia più della Francia), a parte il turismo e l’agricoltura ci sia un’attività industriale in cui essi eccellono a livello mondiale, quella del lusso (di nuovo il paese transalpino è comunque quello leader; vi sono localizzati i gruppi più grandi e vi si controllano la parte più importante dei profitti, in un settore che ne produce molti). I consumatori cinesi e statunitensi, che costituiscono insieme la gran parte del mercato in questo campo, sono avidi dei prodotti relativi. Sino a che dura.

L’immobilismo sociale in Italia

Per molti, l’utilizzo del 49.3 segna la fine del macronismo (Legrand, 2023), indicando un suo scacco strategico, ma anche l’inutilità o, peggio ancora, la sua nocività per la Francia. Macron voleva dinamicizzare la democrazia, ne ha invece accentuato il suo carattere personalistico. Tra l’altro, egli non ha mai voluto creare un movimento ideologicamente definito, dai contorni politici chiari e con un progetto di società dai contorni precisi (Legrand, 2023). Nessuno sa quale sia il progetto politico del Presidente, plausibilmente neanche lui stesso (July, 2023). Questa indeterminazione ha lasciato il posto all’arbitrio. In ogni caso la combinazione tra un’inflazione galoppante e una riforma che appare negativa in particolare per gli operai, gli impiegati e tutti i mestieri più umili ha costituito una miscela esplosiva (July, 2023).

Risulta evidente come più in generale le istituzioni della Quinta Repubblica siano in grande difficoltà e andrebbero cambiate, portando in particolare ad una Costituzione meno autoritaria, mentre bisognerebbe anche pensare a ridefinire il ruolo e il peso del lavoro nella società.

Alla fine, per quanto riguarda il nostro paese, appare in questi mesi abbastanza sorprendente la sua immobilità di fondo, di fronte invece ai grandi sommovimenti francesi, che coinvolgono fortemente, come già accennato, anche le classi medie, nonché agli importanti scioperi tedeschi e inglesi (con questi ultimi che durano ormai da diversi mesi), nonché ai tentativi dei governi spagnolo e portoghese di cambiare in positivo, sia pure tra diverse difficoltà, la condizione del lavoro nei loro paesi; eppure la situazione italiana non è certo oggi delle migliori per le classi medie e popolari.

 

Testi citati nell’articolo

-Cautrès B. ed altri, La réforme des retraites, révélatrice de la crise du rapport au travail, Le Monde, 16 marzo 2023.

-Conesa E., la confiance dans la politique au plus bas, Le Monde, 16 marzo 2023.

-Garrigues J., Au-delà de la présidence jupitérienne, c’est tout notre édifice institutionnel est discrédité, Le Monde, 21 marzo 2023.

-Legrand Th., Le 49.3 ou la fin du macronisme, Liberation, 19 marzo 2023

-July S., L’agonie du Macronisme, Liberation, 20 marzo 2023.

-Meoli F., Francia, i numeri della riforma delle pensioni, www.ilfattoquotidiano.it, 1° aprile 2023.

-Napoletano M., Roventini A., La rivolta francese dimostra che non si può ignorare la diseguaglianza, Domani, 28 marzo 2022.

-Palier B., Comment les stratégies low cost ont dévalorisé le travail, Le Monde, 19-20 marzo 2023.

-Saraceno F., La rivolta delle classi medie non è un problema solo francese. Quando toccherà all’Italia?, Domani, 26 marzo 2023.

-Supiot A., Un gouvernement avisé doit se garder de mépriser la démocratie sociale, le Monde, 16 marzo 2023.

-Ungaro S., In Italia il sindacato potrebbe guidare proteste simili?, Domani, 25 marzo 2023.

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