L’idea retrostante è che l’imposizione di regole fiscali rigide non abbia funzionato adeguatamente per garantire il percorso di consolidamento dei conti pubblici. Occorre, allora, rafforzare ulteriormente il potere di disciplinamento dei mercati sugli Stati, sottraendo la sorveglianza su tali regole alla Commissione europea, organo ritenuto troppo politicizzato, affidandola agli organi direttivi del MES, istituzione tecnocratica, da taluno, ritenuto più affidabile.
Terza ragione. Si intende consolidare, per quanto concerne le linee di credito precauzionali, il meccanismo della “condizionalità a più velocità”. Una condizionalità di natura soft, nella forma di lettere d’intenti unilaterali, per gli Stati membri “virtuosi”, quelli cioè che rispettano le prescrizioni del Patto di stabilità e crescita, non presentano squilibri macroeconomici eccessivi e che non hanno problemi di stabilità finanziaria. E una condizionalità di natura “hard” per i paesi non virtuosi (i paesi debitori tra cui, ovviamente, l’Italia) assoggettati al consolidato armamentario dei Memorandum of Understanding e della supervisione della Troika.
L’alternativa: il debito comune europeo
Le riflessioni precedenti offrono argomenti forti a chi ha espresso serie perplessità in ordine alla ratifica della riforma del MES o chiede almeno di sottoporre la riforma ad un referendum popolare, prendendo spunto da quanto fatto in passato da altri Stati membri (l’Irlanda nel 2008, in occasione della rarifica del Trattato di Lisbona; la Grecia nel 2015, rispetto alla ratifica dell’ultimo Memorandum “negoziato con la Troika).
Le obiezioni alla ratifica intendono, certo, far valere la difesa dell’interesse nazionale, il vincolo interno, ma valgono anche in una logica da “obiettori di coscienza”: chi ha una visione autenticamente europeista, rifiuta il pannicello caldo del MES e perora, invece, la causa della dotazione di un debito comune europeo (si veda al riguardo il contributo di Massimo Amato). I dubbi sulla ratifica del MES non possono, peraltro, che essere accresciuti, alla luce del complessivo disegno di riforma della governance economica e monetaria che comprende, tra l’altro, la revisione del Patto di stabilità e crescita (sulla quale si vedano i contributi di Fiammetta Salmoni e Massimo D’Antoni).