Appare difficile e per molti versi prematuro cercare di individuare tutte le conseguenze della guerra in Ucraina; e questo sia perché alcune di esse si potranno individuare o precisare solo con il tempo, sia perché non appare certo ancora chiaro come lo stesso conflitto si svilupperà nei prossimi mesi.
Alcune tendenze sembrano comunque delinearsi chiaramente. Alcune di esse erano presenti in precedenza, ma hanno acquisito una rilevante spinta. Ci riferiamo in particolare alla recente crescita e consolidamento di un blocco di Stati intorno alla Shangai Cooperation Organisation (SCO), a quella parallela concernente i passi in avanti che sembra fare il processo di de-dollarizzazione del sistema monetario internazionale, a quella del possibile progressivo decoupling tra le economie Usa e cinese e infine a quella che eufemisticamente possiamo descrivere come un marcato avvicinamento politico dell’UE agli Stati Uniti, in forme che rasentano la sudditanza. C’è poi la crisi dell’energia e il rallentamento del pil a livello mondiale: l’ultima previsione dell’OCSE del 26 settembre 2022 è che esso crescerà nel 2023 del 2,2%, contro una stima di giugno che parlava del 2,8% (perché le cose non si mettano troppo male, in particolare per i paesi più poveri, si valuta che sarebbe necessario un tasso di aumento annuo di almeno il 4,0%).
La sudditanza dell’UE verso gli Usa
Uno sviluppo netto della guerra è stato il configurarsi di un rapporto di semi-sudditanza dell’UE verso gli Stati Uniti. Molto evidente per quanto riguarda le decisioni nei confronti della Russia, ma il processo sta purtroppo assumendo contorni inediti anche su altri fronti.
Ne vogliamo ricordare in particolare uno assai rilevante. Com’è sottolineato in un recente articolo apparso su Le Monde (Garnier, 2022), il 25 marzo 2022 l’attuale presidente della Commissione UE, la tedesca Ursula von der Leyen e il presidente Usa Joe Biden hanno raggiunto un nuovo accordo sul trasferimento dei dati (che rappresentano ormai la base dell’avvenire economico delle nazioni) tra i due continenti. Tale accordo manda, di fatto, in soffitta anni di sforzi per mettere in piedi una sovranità informatica europea. Le attuali leggi statunitensi permettono al governo di quel paese di controllare i dati in possesso delle imprese Usa in qualsiasi luogo essi siano stati generati. Di fronte al bisogno di rispondere alla mancanza di gas in seguito ai problemi sorti con la Russia, l’UE ha ceduto alle pressioni americane presenti da lungo tempo sul tema (si potrebbe anzi parlare di un vero e proprio ricatto) e i nostri dati potranno tranquillamente essere trasferiti oltre atlantico. Paradossalmente la realizzazione concreta delle promesse fatte in contropartita, quelle di essere inondati di gas statunitense, si presenta ora come irta di ostacoli.
Accenniamo soltanto a un’altra questione rilevante. La BCE sta da qualche tempo lavorando a un progetto relativo al varo in futuro dell’euro digitale, come stanno del resto facendo molti Stati nel mondo. Ebbene, nei gruppi di lavoro sul tema è stata inserita anche un‘impresa americana, Amazon. Ma pensiamo che anche altri soggetti di quel paese lo saranno presto. L’euro si potrebbe così avviare a essere un’appendice del dollaro.
È concreta la possibilità del decoupling?
La guerra in Ucraina, il Covid e la decisione cinese di privilegiare la lotta alla pandemia rispetto allo sviluppo economico hanno portato a delle rotture parziali delle catene di fornitura globali (in particolare in alcuni settori, a partire da quello dell’auto), a ritardi forti nelle consegne di merci, all’intasamento dei porti, nonché soprattutto ad una rinnovata volontà statunitense di contrastare a tutti i costi la crescita economica e tecnologica cinese. Tutto questo sembra spingere, secondo molti commentatori, a quello che con linguaggio inventivo si definisce come decoupling, con le sue varianti di reshoring (di ritorno a casa), di friendshoring (di catene di fornitura limitate ai paesi politicamente amici), di nearshoring (di catene di fornitura portate quanto più vicino possibile a casa), abbandonando in particolare i grandi legami economici con la Cina.
Ciò è molto più facile a dirsi che a farsi. Il paese asiatico presenta dei punti di forza difficilmente replicabili, ma in ogni caso il decoupling potrebbe concretizzarsi solo in un arco temporale molto lungo e attraverso grandi investimenti. Tra questi atout bisogna ricordare una fittissima rete di fornitori che copre pressoché tutti i settori (tra l’altro, la concentrazione dei fornitori in distanze ristrette riduce i costi di trasporto e spedizione e rende più facile riparare delle parti difettose), una presenza pervasiva d’infrastrutture modernissime ed efficienti di tutti i tipi, una logistica che funziona ai massimi livelli (i tempi di consegna cinesi sono in genere imbattibili), la localizzazione di capacità produttive impeccabili, con una manodopera abbondante e addestrata, una vasta disponibilità, infine, di materie prime; tutto questo fa sì che, come sottolineano ad esempio alcuni autori (Trivedi, Ren, 2022), il dominio della Cina sull’economia mondiale, e in particolare sulle manifatture, non è un tema veramente all’ordine del giorno.
Oggi il mercato cinese tende a essere il più importante e attraente del mondo in ormai quasi tutti i settori, dall’auto al lusso, ai semiconduttori, alle derrate alimentari, sia a livello di vendite che di tassi di profitto ed avere una presenza produttiva nel paese è molto importante per ottenere un accesso adeguato ad esso. Così il valore aggiunto manifatturiero vede nel 2019 la Cina primeggiare nel mondo con circa 4.100 miliardi di dollari, con gli Stati Uniti che seguono a molta distanza con circa 2.300 miliardi e l’UE a 27 con circa 2500 miliardi (Bricco, 2022).
Qualcosa comunque si sta muovendo. Diverse imprese operanti nell’alta tecnologia stanno portando via una parte delle loro produzioni dalla Cina. Apple e Google sposteranno una quota sia pure ridotta della produzione dei nuovi smartphone (25% per Apple) in Vietnam e in India; Microsoft sta ora producendo le sue console in Vietnam, mentre Amazon ha collocato alcune produzioni tv in India; Foxconn sta espandendo le sue fabbriche in Vietnam (Wakabayashi, Mickle, 2022).
Nel frattempo la Camera di Commercio Europea in Cina mostra un rilevante pessimismo sul paese, citando tra l’altro il pesante intervento di Xi sulle imprese locali più importanti, in particolare su quelle operanti nel settore delle alte tecnologie, nonché le draconiane chiusure sia pure temporanee di molte grandi città, a partire da Shangai (il lockdown qui è stato un vero shock per le imprese straniere e per l’economia globale) e le misure di restrizione dei viaggi in seguito al Covid, ciò che rende quasi impossibile visitare il paese (Yuan Yang, Mitchell, 2022).
Si delineano, allora, alternative alla Cina quali in particolare il Vietnam, che sta registrando un guadagno di popolarità e di insediamenti esteri, sebbene questo paese dipenda dalla Cina per la fornitura di materiali e semilavorati e possa soffrire facilmente di mancanza di componenti e presenti grandi lacune nella sua struttura produttiva ed infrastrutturale (The Economist, 2022, a). Quello che sta succedendo è che numerose imprese stanno cercando un secondo e complementare sbocco, adottando la c.d. politica “China plus one” che serve anche a saggiare il terreno per eventuali future diversificazioni di maggiore importanza.
Per altro verso, bisogna sottolineare che gli investimenti diretti esteri in Cina, dopo aver toccato livelli molto elevati negli ultimi anni (284 miliardi di dollari nel 2020 e 322 miliardi nel 2021; fonte Unctad, 2022), nei primi otto mesi del 2022 sono ancora aumentati di circa il 20% in dollari. Trump e ora ancora di più Biden hanno portato avanti una macchina anticinese che difficilmente si fermerà del tutto. Le recenti decisioni del presidente americano sul fronte dei semiconduttori e dell’auto elettrica indicano che per gli Stati Uniti si tratta ormai di una guerra a tutto campo. Ma, da una parte, i cambiamenti delle catene di fornitura globale richiedono molto tempo e grandi investimenti per essere portati a compimento; inoltre diversi paesi alleati che il presidente Usa vuole arruolare nella sua crociata appaiono piuttosto riluttanti, mentre lo sono ancora di più le grandi imprese, statunitensi e non, sempre molto interessate, et pour cause, alla Cina; né si può trascurare che il paese asiatico sta facendo progressi veloci nei semiconduttori e nelle altre tecnologie.
Al momento, paradossalmente, da una parte l’inflazione occidentale, la carenza di materie prime ed altri fattori stanno spingendo negli ultimi mesi diverse imprese occidentali a guardare di nuovo con interesse alla Cina; dall’altra, vista la crescente ostilità occidentale, nel paese asiatico si sta comunque pensando ad una politica che miri ad una crescente autosufficienza del paese.
Verso un mondo de-dollarizzato?
Michel Aglietta è un importante studioso francese di questioni monetarie, tema cui ha dedicato moltissime opere in un lungo arco temporale (Aglietta, Bao, Macaire, 2022).
In estrema sintesi la Storia, ricorda l’autore, ha visto l’affermarsi nel tempo di volta in volta di una potenza dominante che emette una moneta accettata in campo internazionale. È il concetto di “divisa chiave”. La fiducia in tale potenza costituisce uno dei pilastri della stabilità finanziaria mondiale. Si tratta peraltro di un sistema gerarchizzato, nel quale si esercita l’egemonia del paese che la emette. Oggi sono gli Stati Uniti che godono di tale “esorbitante privilegio”. Ma l’egemonia del dollaro, alla presenza di potenze in ascesa che non sono nell’orbita Usa, a cominciare dalla Cina, provoca un’instabilità monetaria crescente.
Nell’ultimo anno il valore del dollaro, complice soprattutto la guerra in Ucraina, è cresciuto di circa il 20% rispetto a un basket costituito dalle altre importanti monete (Sharma, 2022). Come si sa, il dollaro è la moneta rifugio nei periodi di crisi e, d’altro canto, l’aumento in atto dei tassi d’interesse da parte della Fed contribuisce ulteriormente alla valorizzazione della valuta.
Ma al di là dei fatti congiunturali, il peso del dollaro è ancora oggi preponderante anche se il peso dell’economia del paese su quella mondiale è andato ridimensionandosi nel tempo e continua a farlo (oggi, considerando il criterio della parità dei poteri di acquisto, si dovrebbe aggirare intorno a poco più del 15%), in particolare in relazione all’incalzare dello sviluppo economico di paesi emergenti. Inoltre, la quota del commercio mondiale riferibile sempre agli Stati Uniti è passata dal 23,3% del 2000 al 16,9% del 2018 (Bricco, 2022).
Com’è noto, il ruolo di una moneta è quello di riserva di valore, di mezzo per regolamentare gli scambi e di valuta utilizzata sui mercati finanziari per prestiti e altre operazioni. Per quanto riguarda la prima funzione, diversi decenni fa le riserve delle banche centrali erano per quasi l’80% in dollari; più recentemente, con l’avvento dell’euro, esse sono ora scese intorno al 59%, con lo stesso euro intorno al 21%. In relazione alla valuta di regolamento degli scambi commerciali, circa il 43% degli stessi lo sono in dollari, il 19% in euro; infine sul tema della dimensione finanziaria della questione, sappiamo che le emissioni di prestiti in dollari nel 2020 si sono fatte per il 65% in dollari e per il 22% in euro.
Il peso della moneta cinese su tutti i tre fronti è ancora oggi molto ridotto, anche se esso è negli ultimi anni cresciuto lentamente. Tra gli handicap dello yuan per quanto riguarda il suo peso internazionale ricordiamo in particolare il rifiuto delle autorità del paese di arrivare ad una piena convertibilità della loro moneta, per la volontà di mantenere il controllo su di essa e di non lasciarlo invece al mercato (cioè, nella sostanza, agli Stati Uniti), anche se negli ultimi anni sono state decise diverse mosse per liberalizzare e facilitare in qualche modo la sua commercializzazione.
Intanto con lo scoppio della guerra in Ucraina, l’Occidente ha deciso di escludere dalla rete interbancaria Swift la Russia, mentre sono state sequestrate tutte le riserve in dollari ed in altre valute occidentali dello stesso paese. Queste misure hanno provocato panico in giro per il mondo ed hanno accelerato la spinta a diversificare le riserve in dollari e il regolamento del commercio internazionale nella stessa valuta.
La Cina ha ben presente il problema e potrebbe cercare di ridurre il peso del dollaro attraverso lo sviluppo della moneta elettronica; le-yuan cinese ha oggi già 260 milioni di utenti e il suo progressivo sviluppo potrebbe consentire alla Cina di avere la sua rete di pagamenti globali, mantenendo il controllo sui movimenti di capitale (The Economist, 2022, b). Questa mossa potrebbe peraltro attaccare il dollaro solo parzialmente, perché non lo toccherebbe di per sé nelle sue funzioni di moneta di riserva e valuta per l’emissione di prestiti ed altre operazioni finanziarie (The Economist, 2022, c).
Comunque le decisioni occidentali dopo lo scoppio della guerra in Ucraina hanno fatto sì che abbiamo assistito alla corsa delle imprese e delle banche russe ad utilizzare lo yuan; si prevede ormai che l’anno prossimo il volume dei commerci tra i due paesi regolati in yuan e in rubli supererà quello in dollari (Global Times, 2022). La Russia ha poi iniziato a usare lo yuan per regolare i suoi commerci con altri paesi ed in particolare l’India.
La Cina pagherà in rubli e in yuan le forniture di gas russe, come fanno già India e Turchia, almeno in parte, per quelle di petrolio (Pandolfi, 2022). Alcune imprese russe hanno anche cominciato a emettere obbligazioni in yuan, mentre la stessa Russia e la Mongolia hanno aderito al sistema Cips, l’equivalente cinese dello Swift. Più in generale gli scambi tra Cina e paesi dell’Asia centrale riceveranno una forte spinta per essere effettuati in yuan (Chu Daye, 2022).
Si sta inoltre cercando di mettere a punto una alleanza sugli scambi tra i membri della Sco (si veda in proposito più avanti). Il 16 settembre essi hanno firmato una dichiarazione per espandere la cooperazione per la regolazione delle operazioni commerciali nelle valute locali (Chu Daye, 2022). Del resto anche in una recente riunione dei paesi del Brics si è parlato di accordi per l’avvio dello sviluppo degli scambi nelle valute dei paesi membri.
Citiamo ancora, in tale quadro, un accordo tra la banca centrale cinese e quella del Kazakhistan per avviare un sistema di clearing in yuan tra i due paesi. Si discute anche con l’Arabia Saudita per la regolamentazione del prezzo di acquisto del suo petrolio. Intanto le economie dell’Asia sud-orientale stanno in misura crescente fissando i pagamenti tra di loro direttamente, evitando il dollaro e/o firmando accordi dello stesso tenore con la Cina, che sta contemporaneamente offrendo il suo sostegno valutario ai paesi dell’area con problemi finanziari (Sharma, 2022).
Alla fine quindi diverse cose si stanno muovendo e molte altre si muoveranno in un prossimo futuro. Oggi non si riesce peraltro a valutare adeguatamente quanto tutte tali misure saranno rilevanti ai fini del processo di dedollarizzazione; esse dovrebbero avere un peso rilevante, ma non sufficiente a scalzare il dollaro a breve termine, processo che tenderà presumibilmente ad affermarsi ma in tempi relativamente lunghi. In una possibile configurazione futura, appare comunque plausibile che non ci sarà una sola moneta di riserva, ma che si affermeranno dei blocchi monetari (Sharma, 2022).
L’ordine internazionale dopo Samarcanda
Il 16 settembre 2022 Samarcanda ha ospitato il vertice dei paesi membri della Shangai Cooperation Organisation (Sco). La Sco è stata fondata nel lontano 2001 e comprendeva allora al suo interno Cina, Russia, Kazahkistan, Kyrghisistan, Usbekistan, Tajikistan; con il tempo si sono aggiunti India e Pakistan, mentre con il recente vertice di Samarcanda è entrato nell’organizzazione anche l’Iran, per cui i membri permanenti sono ora nove; ci sono poi gli osservatori che bussano alla porta, Afghanistan, Bielorussia, Mongolia, Egitto, Arabia Saudita, Bahrain, Qatar, Emirati, Kuwait, Birmania, Turchia. Lo scoppio della guerra sembra aver fornito un nuovo forte impulso all’organizzazione.
I suoi obiettivi sono molto generici, quelli di sviluppare la cooperazione nei commerci, nell’economia, nella politica, nelle scienze, nella tecnologia; molta attenzione viene posta alla lotta al terrorismo, al separatismo, all’estremismo. All’organismo è collegata anche un’istituzione finanziaria, che presta risorse per progetti nei paesi dell’organizzazione.
Il vertice di Samarcanda del settembre 2022 potrebbe comunque segnare una svolta importante nella geopolitica mondiale. Nella sostanza è apparso evidente come attraverso lo Sco e il Brics, la Cina punti ora alla messa in opera nel tempo di un nuovo ordine internazionale. Lo Sco è stato considerato sino a ieri come un’organizzazione di poco rilievo, ma l’ultimo vertice sembra indicare un suo ruolo crescente tra i paesi non occidentali.
Molte delle prospettive dell’organizzazione dipendono in un prossimo futuro dalle decisioni di India e Brasile. Lula ha dichiarato che uno dei primi atti del suo governo sarà di firmare accordi molto stretti con la Cina, mentre l’India cerca di approfittare della rivalità tra Usa e Russia/Cina per mantenere in qualche modo il piede in due staffe, aderendo contemporaneamente a molte delle iniziative dei due blocchi. Nell’ultimo periodo l’India ha rifiutato di condannare l’invasione russa dell’Ucraina, facendo fallire i tentativi occidentali di condurla all’ovile (Landrin, 2022). Sulla strada di un maggior coinvolgimento dell’India si erge comunque l’ostacolo dei cattivi rapporti del paese con la stessa Cina, e, com’è noto, si è anche arrivati alle armi tra i due paesi. Il presidente Xi sembrerebbe avere ora tutto l’interesse a cercare di trovare una soluzione ai contrasti.
Un ordine sta crollando, ma il nuovo fatica a emergere
Appare indubbio che lo scoppio della guerra in Ucraina ha favorito nuove tendenze e accelerato dinamiche precedenti. In effetti, la guerra in Ucraina sta fungendo da acceleratore della transizione geopolitica iniziata già prima della pandemia, in particolare con l’obiettivo di arginare le mire di dominio degli Usa e dell’Occidente in generale (Pandolfi, 2022). Si riscontrano comunque molte ambiguità e incertezze sui possibili risultati finali di tali tendenze. Quanto crescerà in importanza lo Sco, quanto e con quale rapidità avanzerà la de-dollarizzazione, quale sarà l’atteggiamento di Brasile e India, quanto andrà avanti il decoupling, e l’UE e i singoli paesi facenti parte del raggruppamento continueranno ad essere un fedele suddito degli Stati Uniti? In che direzione si orienterà in particolare la Germania? Riprendendo e adattando una citatissima frase di Antonio Gramsci, si può senz’altro dire che il vecchio ordine sta crollando, ma che il nuovo ancora non si manifesta in misura adeguata.
Testi citati
Aglietta M., Guo Bai, Macaire C, La course à la suprématie monétaire mondiale, Odile Jacob, Parigi, 2022, 305 pagg.
-Bricco P., L’America ricerca i suoi anni verdi persi nel deserto manufatturiero, Il Sole 24 Ore, 14 settembre 2022
-Chu Daye, Rising calls for increased yuan use in C. Asia amid growing risk of dollar egemony, www.globaltimes.cn, 21 settembre 2022
– Garnier A., Gaz américain contre data européennes, Le Monde, 18-19 settembre 2022
–Global Times, Yuan assets gaining favor in Russia…, 29 settembre 2022
-Wakabayashi D., Micide T., Tech companies slowly shift production away from China, www.nytimes.com, 1 settembre 2022
-Landrin S., Sur la scène internationale, le jeu ambigu de l’Inde pour un « multi-alignement », Le Monde, 18-19 settembre 2022
-Lewis L., The US and China are decoupling, but not as fast as you think, www.ft.com, 7 agosto 2022
-Pandolfi L., Scalfire l’egemonia del dollaro nel mondo multipolare, Il Manifesto, 17 settembre 2022
-Sharma R., A post-dollar word is coming, www.ft.com, 28 agosto 2022
–The Economist, Chain reaction, 24 settembre 2022, a
–The Economist, The mighty dollar, 10 settembre 2022, b
–The Economist, Dodging the dollar, 10 settembre 2022, c
-Trivedi A., Ren S., Commentary : Good luck trying to take away China’s manufacturing mojo, www.channelnewsasia.com, 26 agosto 2022
-Unctad, World Investment Report, Unctad, Ginevra, 2022
-Yuan Yang, European businesses forced to “reduce, localise and silo” in China, www.ft.com, 22 settembre 2022.