Uso l’espressione “costituzione neoliberale” per sottolineare la vocazione del neoliberalismo (Dardot e Laval, 2019) a farsi ordinamento egemone di ogni condotta, “colonizzando” lo spazio tradizionalmente occupato dalle Costituzioni democratico-sociali (Cantaro, 2021). In secondo luogo, mi riferisco ad un’accezione in senso “materiale” di costituzione (distante da quella mortatiana), come l’insieme dei valori sociali dominanti che dal piano antropologico-etico si riversano sul sistema giuridico-istituzionale. In terzo luogo, la “costituzione neoliberale” (Guazzarotti 2023; Bavaro, 2018) ha l’ambizione (e la pretesa) di elevare la razionalità funzionalistica ed efficientistica del mercato ad unica razionalità del mondo.
Il comune regime economico
Il punto di partenza per comprendere questo concetto è Friedrich August Von Hayek che già nel 1939, in un testo per molti versi programmatico per quello che lui stesso poi definirà neoliberalismo, prefigurava un progetto costituzionale che aveva al centro l’idea di depotenziare lo Stato sovrano, inserendolo all’interno di una struttura internazionale di tipo federale (Hayek, 1939).
L’esistenza di un «sistema economico condiviso», nel quale sia garantita l’assoluta libertà di circolazione dei fattori produttivi, quello che Hayek definiva un’unione dotata di un single market (una “profezia” rispetto alla nascente Comunità europea Streeck, 2013), ostacolerebbe fortemente la portata e la capacità di intervento pubblico degli Stati nazionali. Qualsiasi misura normativa restrittiva di tali libertà di circolazione contrasterebbe con il diritto “federale” e verrebbe osteggiata dagli altri Stati membri. Fino a pervenire al caso estremo per il quale uno Stato non riuscirebbe a realizzare neppure «limitazioni normative sul lavoro minorile o sulla regolamentazione dell’orario di lavoro» (Hayek, 1939). Gli interventi di regolazione del mercato non potrebbero neppure essere trasferiti tanto facilmente nella dimensione sovranazionale. All’interno di una unione di Stati la diversità di interessi è maggiore di quella presente all’interno di un singolo Stato ed è più debole il sentimento di appartenenza ad un’identità collettiva, in nome della quale legittimare gli interventi pubblici di redistribuzione. «È verosimile – si chiedeva Hayek – che un contadino francese sia disposto a pagare di più il fertilizzante per aiutare l’industria britannica? L’operaio svedese sarà pronto a pagare di più le arance per sostenere il coltivatore californiano? O ancora l’impiegato della City di Londra sarà disposto a pagare di più le proprie scarpe o la propria bicicletta per aiutare l’operaio belga o americano?» (Hayek, 1939).
Il diritto illimitato di auto-determinazione
L’orizzonte di senso della costituzione neoliberale è speculare a quello del costituzionalismo democratico-sociale. I diritti sociali non solo sono condizionati ai super-valori della stabilità finanziaria e all’iper-competitività (Losurdo, 2016), ma sono intaccati nel loro stesso nucleo essenziale. Le “anonime” forze del mercato sono state in grado di plasmare il modo stesso di concepire i diritti sociali, omologandoli ai diritti civili, così da far perdere loro quelle specificità che contribuiscono a configurare una forma democratico-sociale di Stato (Goldoni, 2022). Le pur parziali forme di redistribuzione promosse dallo Stato neoliberale non perseguono l’obiettivo dell’emancipazione della persona, ma quello di evitare l’esclusione di talune categorie di consumatori dal pieno accesso al mercato.
Né il governo neoliberale si pone l’obiettivo di assicurare collettivamente la vulnerabilità e di prevenirne le cause, poiché l’eccesso di previdenza pubblica finirebbe per agevolare l’azzardo morale di chi, confidando nella generosità del potere pubblico, si condannerebbe all’immobilismo sociale. Il paradigma neoliberale presuppone, al contrario, che l’individuo sia esposto permanentemente al rischio del fallimento, di modo che il singolo sia indotto ad assumersi la responsabilità della propria vulnerabilità, una individualizzazione della responsabilità che discende dalla fittizia rappresentazione dell’autonomia (o agency) del soggetto. L’individualizzazione della vulnerabilità (e della connessa responsabilità) ha fornito la base ideologica per giustificare la privatizzazione del sistema pubblico di Welfare, a cominciare dal sistema sanitario nazionale, compensata dall’operare talora ambiguo del terzo settore, e da interventi rivolti a garantire la mera sopravvivenza dei derelitti.
L’ordine neoliberale segna uno slittamento dell’autonomia kantiana nell’autodeterminazione solipsistica dell’homo oeconomicus; uno slittamento che si riflette, pur con significative oscillazioni, nelle supreme giurisprudenze nazionali e sovranazionali: paradigmatiche al riguardo sono i casi inerenti al “diritto a morire” (Corte cost. n. 242/2019) e al “diritto a prostituirsi” (Corte cost. n. 141/2019).
Mentre negli ordinamenti democratico-sociali, l’autodeterminazione è messa in forma, nel senso che ciascuno è libero di individuare ciò che ritiene essere «il pieno sviluppo della persona umana nella sua sfera interna, ma non gli è consentito di ascrivere solitariamente effetti giuridici a tale individuazione» (Pinelli, 2019), l’autodeterminazione, secondo l’accezione neoliberale, tende a configurarsi in senso proprietario. Come una sovranità piena su ogni aspetto del proprio bios (mente e corpo), una sovranità “insulare” che rifiuta di assoggettarsi a qualsiasi limite eteronomo, a qualsiasi impegno di reciprocità e responsabilità per le proprie azioni. Una sovranità che ha il suo ambito principale di declinazione nella sfera della mobilità economica del consumatore che costituisce il vero cuore normativo della cittadinanza dell’Unione europea (Somek, 2008).
Il rovescio: il dovere illimitato di prestazione
Il “rovescio” della medaglia dell’auto-determinazione in chiave solipsistica si chiama auto-imposizione dei doveri (De Carolis, 2017). L’individuo neoliberale tende a percepire sé stesso non più come un “soggetto” del diritto (in quanto tale comunque assoggettato ad un ordine giuridico esterno) ma soprattutto come un “progetto” in fieri. In questo modo, però, «l’io come progetto, che si illude di essersi liberato da obblighi esterni e costrizioni imposte da altri, si sottomette ora a obblighi interiori e a costrizioni autoimposte, forzandosi alla prestazione e all’ottimizzazione» (Byung-Chul Han, 2020). Per inciso, l’espressione società della prestazione è da privilegiarsi rispetto a quella di società della performance, poiché esprime meglio la natura giuridica del rapporto basato su una “obbligazione” (Chicchi e Simone, 2017).
Inserito dentro un ordine normativo che fa della competitività il valore assoluto di ogni relazione sociale e che misura e quantifica ogni prestazione sulla base del codice binario costo/profitto, il singolo si assoggetta alle ferree leggi del mercato non solo in ragione di una costrizione dall’esterno. Ma anche e soprattutto in quanto si auto-costringe ad agire in conformità all’imperativo neoliberale che predica che l’individuo debba sfruttare in ogni circostanza la sua capacità come imprenditore di sé stesso.
Seguendo l’insegnamento di Kant, si potrebbero definire come doveri verso sé stessi. È la razionalità neoliberale, costituzionalizzata nell’ordine europeo post-Maastricht, che ha la vocazione a plasmare un nuovo soggetto che deve vivere in uno stato di agitazione ininterrotta all’insegna della più sfrenata auto-imposizione, compiendo un lavoro incessante su sé stesso rivolto a valorizzare il capitale umano di cui è portatore.
Un mutamento antropologico: dalla vulnerabilità alla resilienza
Tutto ciò prefigura un vero e proprio mutamento antropologico, come ha evidenziato in questo numero Massimo Baldacci (link interno). Dalla “regola” della vulnerabilità alla “regola” della resilienza.
Il paradigma democratico-sociale, presupponendo la condizione di ontologica vulnerabilità dell’essere umano, concepisce una corresponsabilità dei consociati per i rischi prodotti dallo sviluppo capitalistico e ascrive allo Stato il compito di assicurare collettivamente il rischio. A fronte della vulnerabilità sociale, la nostra Carta fondamentale non invita i lavoratori e le lavoratrici ad essere “resilienti”, a adeguarsi solitariamente alle leggi del mercato (Cantaro, 2021). Impegna, piuttosto, la Repubblica, in tutte le sue articolazioni territoriali, a adottare politiche pubbliche per rimuovere gli «ostacoli di ordine economico e sociale» che impediscono a tutti i cittadini-lavoratori di partecipare a pieno titolo alla vita comunitaria, in base al principio di eguaglianza sostanziale scolpito all’art. 3 comma 2.
Il paradigma neoliberale, invece, avendo rimosso la stessa condizione di vulnerabilità dell’essere umano, la cui responsabilità ricadrebbe interamente sul singolo individuo, ha elevato la resilienza a dover essere assoluto della persona. Con riflessi deteriori sulla concezione del ruolo sociale dell’individuo e, in particolare della donna sulla quale ricadono con particolare vigore i guasti della scelta surrettizia di ripudiare il sistema di protezione sociale universale e finanziato con la leva tributaria solidaristica. La ragione neoliberale, invece come detto, tende a rimuovere la stessa idea della vulnerabilità umana messa al centro del costituzionalismo democratico-sociale. La vulnerabilità non è più concepita come un rischio che deve essere assicurato collettivamente e prevenuto, né come un ostacolo che deve essere rimosso da un intervento attivo dei poteri pubblici. Ma, al contrario, la vulnerabilità viene trasfigurata in una “risorsa positiva” che l’individuo deve sfruttare per mostrare capacità di adattamento alle inesorabili leggi del mercato.
Alla rimozione “freudiana” della condizione di umana vulnerabilità corrisponde l’appello “assordante” al dovere di resilienza. Non v’è presa di posizione e documento ufficiale più o meno recente di organizzazioni internazionali, dell’Unione europea (Next Generation EU), degli Stati membri (i Piani nazionali di Ripresa e Resilienza) che non si apra con l’invito pressante ad una accresciuta e maggiore resilienza dei singoli, della Comunità e degli Stati a fronte le sempre più profonde lacerazioni sociali, economiche, culturali prodotte dal neoliberalismo (una sintesi efficace in Monteduro, 2023).
È, anzi, lo stesso neoliberismo a mostrare una straordinaria capacità di resilienza, adattandosi alle crisi che esso stesso produce, come testimonia la sua ultima formula magica: la transizione ecologica e digitale.
Cionondimeno, il ritorno non solo in Europa della “Guerra tra Stati” (Galli, 2023) è un sintomo inequivoco di una “crisi organica” (sistemica) del neoliberismo: gramscianamente, un “vecchio” ordine che si ostina a ritardare la sua morte, dando vita ai più svariati fenomeni “morbosi”, mentre un “nuovo” ordine fatica a nascere.
Testi di riferimento:
Bavaro V., Lineamenti sulla costituzione materiale dei diritti sociali del lavoro, in Lavoro e Diritto, n. 2, 2018.
Byung-Chul Han, La società della stanchezza, Nottetempo, 2020.
Cantaro A., Postpandemia. Pensieri (meta)giuridici, Giappichelli, 2021.
Chicchi F., Simone A., La società della prestazione. Dalla società del rischio e dell’insicurezza a quella della performance. Le parole d’ordine della società della prestazione, Ediesse, 2017.
Dardot P. Laval C., La nuova ragione del mondo. Critica della razionalità neoliberista, Derive&Approdi, 2019.
De Carolis M., Il Rovescio della libertà Tramonto del neoliberalismo e disagio della civiltà, Quodlibet, 2017.
Galli C., Democrazia, ultimo atto?, Einaudi, 2023.
Goldoni M., La materialità dei diritti sociali, in Diritto pubblico, n. 1, 2022
Guazzarotti A., Neoliberismo e difesa dello Stato di diritto in Europa. Riflessioni critiche sulla costituzione materiale dell’UE, Franco Angeli, 2023.
Von HAYEK F., The Economic Conditions of Interstate Federalism, in New Commonwealth Quarterly, V, No. 2 (September,1939), pp. 131 ss.
Losurdo F., Lo Stato sociale condizionato. Stabilità e crescita nell’ordinamento costituzionale, Giappichelli, 2016.
Monteduro M., Ma che cos’è questa «resilienza»? Un’esplorazione del concetto nella prospettiva del diritto delle amministrazioni pubbliche, in Rivista quadrimestrale di diritto dell’ambiente, n. 1, 2023.
Pinelli C., Diritto di essere sé stessi e pieno sviluppo della persona umana, in AA.VV., Scienza costituzionalistica e scienze umane, Convegno AIC 2021 (Napoli, 3-4 dicembre 2021), Editoriale scientifica, pp. 195 ss.
Somek A., Individualism. An Essay on the Authority of the European Union, Oxford University Press, 2007.
Streeck W., Tempo guadagnato. La crisi rinviata del capitalismo democratico, Feltrinelli, 2013.
[Il testo è una rielaborazione dell’intervento svolto ad Urbino il 28 febbraio 2024, nell’ambito del seminario, promosso dall’Istituto Gramsci Marche , “La società della prestazione”]