Intanto l’India sta cercando di seguire la stessa strategia della Cina con la volontà di arrivare a regolare il suo commercio estero in rupie (Asia Financial, 2023). Diciotto paesi si sono dichiarati d’accordo in tale senso. Anche la Russia e l’India dovrebbero regolare il loro commercio reciproco in rubli ed in rupie. C’è un accordo tra l’India e la UAE per usare la rupia e il dirham.
Anche la banca centrale turca ha dichiarato di voler insistere sullo sforzo di dedollarizzazione. Il Brasile e l’Argentina hanno deciso di lavorare alla creazione di una valuta comune. Singapore e la Tailandia hanno connesso i loro sistemi di pagamenti in tempo reale. Anche la banca malese e quella tailandese permettono ormai dei regolamenti diretti nelle loro monete, mentre cinque banche dell’Asia del sud-est hanno firmato un accordo di interconnessione dei loro sistemi di pagamento.
Il prezzo dell’oro è aumentato del 20% negli ultimi sei mesi (Sharma, 2023), mentre si distinguono nella corsa all’acquisto del metallo Cina, Russia, Iran e molte altre banche centrali dei paesi in via di sviluppo, mentre assistiamo alla riduzione dei titoli di Stato Usa detenuti dai vari paesi. Così in Cina si è passati dai 1200 miliardi di dollari di metà 2017 agli 859 del 31 gennaio del 2023; in Arabia Saudita dai 185 miliardi dei primi mesi del 2020 ai 111; in Brasile dai 320 miliardi di metà 2018 ai 214.
La crisi delle istituzioni internazionali tradizionali
Le organizzazioni che hanno a lungo servito gli interessi Usa per governare il mondo sono ormai in crisi sistemica. Il WTO è da anni bloccato dagli Stati Uniti a cui evidentemente il libero commercio non serve più. La Banca Mondiale sembra volgersi verso l’irrilevanza, con poche risorse, poche idee sulla strategia e con la concorrenza delle finanziarie cinesi. Anche il FMI appare molto incerto sul suo futuro (The Economist, 2023).
Oggi un rilevante numero di paesi emergenti è in gravi difficoltà finanziarie e non riesce a ripagare capitale ed interessi sui prestiti a suo tempo ricevuti. Una volta questioni di questo tipo erano risolte nell’ambito del club di Parigi, che riuniva i paesi occidentali. Ma ora la Cina è diventato il primo paese per quanto riguarda i prestiti bilaterali ed essa si rifiuta di accettare le strategie decise dal FMI, tanto più che le ristrutturazioni prevedono che i creditori rinuncino ad una parte del loro credito, mentre lo stesso FMI no. La Cina a questo punto dichiara che non taglierà i suoi crediti se anche lo stesso FMI non accetterà di fare altrettanto; essa pone comunque l’alternativa di assumere un peso maggiore all’interno dell’organizzazione, cosa che gli occidentali rifiutano. Il FMI è bloccato.