web magazine di
cultura politica e costituzionale

IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

web magazine di cultura politica e costituzionale

IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

Anna Finocchiaro. La storia delle donne, per un’identità compiuta dell’Italia

L’intervista che Giovanni Volponi ha raccolto qualche giorno prima del 15 marzo quando prenderà il via la prima giornata della Scuola di Educazione alla Politica - Sviluppo umano, Vivere la Costituzione - promossa da fuoricollana.it e da Itinerari e incontri.

A Urbino venerdì 15 marzo a partire dalle ore 15 si terrà il primo modulo dedicato al tema “Guerra contro le donne”. Dopo la proiezione del film di Paola Cortellesi ‘C’è ancora domani’, al Cinema Nuova Luce, la testimonianza di un’ospite d’eccezione, la ex ministra alle pari opportunità Anna Finocchiaro (per il programma delle due giornate link interno). Abbiamo parlato in anteprima con la senatrice per farci raccontare come secondo lei si può affrontare la quotidiana battaglia delle donne per una vita con le stesse opportunità di quelle degli uomini.

Onorevole Finocchiaro, che piacere le fa essere chiamata ad Urbino dai promotori della Scuola e dagli estensori del “Manifesto” Una Scuola di educazione alla politica (link interno), Luigi Alfieri, Antonio Cantaro e Federico Losurdo?

 <Per me è un piacere particolarissimo, per due ragioni: innanzitutto perché io e il Professor Cantaro abbiamo studiato insieme giurisprudenza a Catania, dov’è maturata un’amicizia mai interrotta. Tra l’altro, ci univa anche un comune impegno politico. In quegli anni nelle facoltà di Giurisprudenza e di Scienze Politiche vi era una grande vivacità, era in un certo senso un laboratorio, anche per la qualità dei docenti, da Pietro Barcellona e Guido Neppi Modona, da Massimo D’Antona a Francesco Alberoni. Era un momento di grandissima effervescenza culturale ed era davvero un laboratorio interessantissimo. E poi Urbino è una città magnifica, che ho già visitato un paio di volte e nella quale torno molto volentieri>.

Urbino è stata dimora di molte grandi donne nel passato, tra cui la duchessa Battista Sforza, governante emancipata e soprattutto molto considerata dai contemporanei non solo in quanto “moglie di”, ma per le sue competenze, la sua cultura e le sue capacità. Oggi ancora abbiamo da imparare da quello che successe oltre 500 anni fa?

<La storia è costellata dal silenzio sulle donne e dal silenzio delle donne: Eva Cantarella ha scritto delle cose molto belle su questo. Ad esempio noi dell’epoca greca e romana sappiamo niente. Più tardi le voci di qualche donna si manifestarono, vuoi per la loro collocazione sociale, vuoi per la loro eccellenza nelle arti (penso ad esempio ad Artemisia Gentileschi, Lavinia Fontana…). Un lavoro di disseppellimento della memoria di queste donne lo stanno facendo alcune storiche, come Alessandra Necci, tra l’altro direttrice delle Gallerie Estensi, che ogni giorno pubblica una pagina su una figura femminile, dalle protagoniste del mito a donne distintesi per le loro capacità, anche di governo. Riscrivere la storia comprendendo l’esistenza e l’opera delle donne è un lavoro che si deve fare, perché significa restituire alla Nazione un’identità compiuta e non un’identità che viene da una storia che omette l’esistenza delle donne>.

Questa storia che omette le donne è durata fino ad anni molto recenti, sempre che la si possa dichiarare conclusa. A proposito, il film della Cortellesi va proprio a raccontare esistenze omesse.

<Penso che questo film comunque abbia aperto alcune porte sulla questione a persone che probabilmente su questi temi non avevano mai riflettuto o comunque non abbastanza. In particolare, credo che il culmine del film stia nel mettere in evidenza il passaggio delle donne italiane dal confinamento nella sfera privata all’ingresso sulla scena pubblica con il voto. Già simbolicamente, le donne si preparano al giorno in cui entreranno sulla scena pubblica con la speranza che dal voto si crei per loro un diverso posto nel mondo. Lo fanno con molta cura, vestendosi appositamente, confezionando abiti, acconciandosi, mettendosi il vestito della festa. Attendono con letizia e apprensione di entrare nella cabina elettorale, perché fu del tutto nuovo per loro, chiuse nella cabina elettorale, l’esercitare il potere di contare sul destino del Paese. Il contesto era il seguente: il suffragio femminile fu riconosciuto dopo un confronto non facile tra Togliatti e De Gasperi. Il primo temeva che le associazioni cattoliche fossero in grado di influenzare verso la Democrazia Cristiana il voto delle donne, De Gasperi invece aveva paura che la militanza comunista in famiglia potesse condizionare anche le donne. Però alla fine i partiti si rendono conto che hanno un debito nei confronti delle donne, che tennero in piedi il Paese durante la guerra, partecipando in molti casi alla resistenza. Il tutto avviene in sordina, la stampa non dà a questo straordinario evento il giusto rilievo, esce appena qualche trafiletto. Ma per la storia del Paese è una data fondamentale, soprattutto per una democrazia che è fondata sulla partecipazione. Il film della Cortellesi mette poi in evidenza che la nascita della Repubblica non si identifica esclusivamente con le personalità che noi ricordiamo. Si ricordano spesso le 21 madri costituenti, ma dietro ognuna di loro c’erano milioni di donne che alle 21 elette guardavano e in loro si riconoscevano, perché rappresentavano anche la loro esperienza di vita, fatta di conflitti, di conquiste, di ritardi, di difficoltà, di eccellenze. Il primo voto fu sicuramente un fatto politico fondativo della Repubblica>.

Pensa che oggi dopo tanti anni le donne italiane ritengano ormai scontato tutto ciò?

<Secondo me ci pensano. Quando si fa una manifestazione che riguarda qualcosa che alle donne sta a cuore, la partecipazione femminile è fortissima. Penso alla manifestazione dopo l’omicidio Cecchettin: una partecipazione incredibile, ma penso anche ad altre piazze. Le donne italiane contano sulla scena pubblica, cioè ritengono che la scena pubblica vada occupata per indirizzare le politiche. Sia pure in un momento in cui la disaffezione per gli appuntamenti elettorali è ancora molto alta. Però le donne secondo me ci contano, e continuano sempre a provarci>.

Le donne che scendono in politica, lo fanno spinte anche dalla motivazione di voler esserci in quanto donne oppure solamente perché credono in un ideale politico, in un partito, in un progetto al pari degli uomini?

<Innanzitutto occorre capire se le ragioni delle donne siano scindibili dalle sorti del Paese. Poi sicuramente non sono lì solo per sostenere le ragioni delle donne. Poi, facendo un esempio, io stessa sono arrivata in parlamento e mi occupavo di giustizia e istituzioni ma ho iniziato subito anche a occuparmi di politica delle donne. Credo che portare il punto di vista delle donne non è portare una parzialità, ma è portare un altro punto di vista sull’intera gamma delle politiche: sulla difesa, la guerra, la pace, certamente la famiglia, ma anche la scuola, la produzione, il lavoro. Il 28 novembre 1947 si dibatté sull’ammissione delle donne in magistratura. Due donne, la democristiana Maria Federici e la comunista Maria Maddalena Rossi, partendo da sponde politiche diverse e persino con la contrarietà dei loro vertici, si espressero a favore delle donne in magistratura. Diedero il loro punto di vista su un tema generale, un punto di vista fondamentale>.

Quando fu consentito alle donne di diventare magistrato?

<Nel 1963. La Costituzione le aveva escluse perché fu bocciato l’emendamento delle costituenti, poi la corte costituzionale si espresse su un ricorso e ammise le donne magistrato e prefetto, obbligando a fare la legge>.

Prima di entrare in politica, lei fece quel percorso. Qual era la situazione?

<All’inizio erano pochissime, quando sono entrata io nel 1981 erano ancora poche. Il concorso iniziava ad essere tentato dalle studentesse ma non erano molte. Oggi le magistrate sono in numero superiore ai magistrati>.

Quando fece il suo ingresso eravate osteggiate dai colleghi?

<No, ma c’era del paternalismo. Nel parere che venne fatto su di me alla fine dell’uditorato, il magistrato scrisse: “solida cultura umanistica, ottima preparazione giuridica, ma soprattutto va sottolineato che nel rapporto con i colleghi, con gli avvocati e con il pubblico non trae disagio dalla sua condizione di donna magistrato”. Si compiaceva del fatto che io non fossi a disagio e sentiva il dovere di scriverlo e di rimarcarlo, sicuramente inconsciamente>.

Le donne stanno conquistando percentuali di presenza maggioritarie rispetto agli uomini in molti settori. Prima nell’istruzione, poi nella giustizia o nella medicina…

<Questo risponde a un dato: che le donne studiano di più e hanno i migliori risultati; perché le donne hanno una giusta ambizione. Quello di notaio e di magistrato sono due tra i concorsi pubblici più difficili, tra l’altro. C’è un problema solo con le discipline matematiche e ingegneristiche, che andrebbe superato con un orientamento che cominciasse già nella scuola primaria. Il fatto che le donne abbiano privilegiato gli studi umanistici è anche un fatto culturale. Mia nonna, nata nel 1881, era laureata in matematica e fisica, ma era un’eccezione e lo sarebbe ancora. Tra l’altro l’assenza delle donne in questi settori è un problema, perché ad esempio gli sviluppi dell’intelligenza artificiale senza punti di vista femminili potrebbero creare dei problemi. L’operatore che costruisce l’algoritmo inconsapevolmente traduce alcuni pregiudizi e stereotipi propri. Se sono solo uomini a costruirli avremo algoritmi che tengono conto solo della logica maschile. Secondo me bisogna attuare politiche che producano innanzitutto una libertà nella scelta degli studi delle donne, fuori da condizionamenti anche inconsapevoli. Una delle sfide più importanti è dare le pari opportunità nelle fasi della crescita in modo che successivamente non ci siano delle situazioni già condizionate dalle scelte precedenti>.

È di pochi giorni fa l’appello di una studentessa universitaria neomamma che non può frequentare un tirocinio obbligatorio e allattare contemporaneamente il bambino. Un altro caso di opportunità non pari, perché i (pochi) colleghi uomini non hanno lo stesso disagio.

<La studentessa ha ragione. L’università avrà le sue motivazioni, ma il fatto resta. E io ho vissuto sulla mia persona un’esperienza analoga. Alla Camera, io e altre colleghe tenevamo il bambino nell’albergo di fronte e per allattare scappavamo. Era una cosa folle. Magari c’era una votazione importante ma ti chiamava tua madre perché il bambino stava piangendo, aveva fame e bisognava scappare. Era uno stress incredibile. E io avevo una madre che mi aiutava. Ma se non l’hai e non puoi permetterti una baby sitter… Purtroppo l’ordine delle relazioni sociali, lavorative, eccetera è costruito a misura dell’esperienza di vita maschile. Alle donne viene fatto posto, ma posto nello stesso ordine>.

Obbligando le donne a essere presenti tra gli ostacoli del mondo maschile insomma è quasi peggio

<Certo: la produzione, l’organizzazione del lavoro sono orientate rispetto all’esperienza di vita maschile, nonostante ci siano e ci siano state soluzioni e proposte andate a buon fine. Al poligrafico di Foggia, negli anni ’30, potevano allontanarsi per allattare e avevano l’asilo nido interno. Organizzarsi è possibile: basta volerlo. Basta sforzarsi di pensare che il mondo è fatto di uomini e donne>.

Un aneddoto della sua attività politica?

<La questione del tempo è fondamentale: ci sono due percezioni diverse del tempo per uomini e donne. Un uomo e una donna, anche di 30-35 anni, vivono due esperienze diverse di vita, non c’è niente da fare. Per cui per una donna il lavoro o l’impegno politico ha un prezzo differente. Ancora oggi penso al tempo che ho sottratto alle mie figlie perché le riunioni che erano programmate per le 19 devono cominciare non si capisce perché alle 21 e durare fino a tarda notte. Questo perché la politica è legata ai riti e ai tempi misurati sull’esperienza di vita maschile. Quando sono rimasta incinta la prima volta e mi sono rivolta all’amministrazione della Camera chiedendo come mi dovessi regolare, quanto meno per il congedo obbligatorio prima e dopo il parto, mi dissero: “Se si fosse rotta una gamba avremmo saputo come risponderle. Ma lei ci dice che è incinta e non sappiamo come affrontarlo”>.

Le sue due figlie femmine l’hanno mai rimproverata di qualcosa?

<Ho sempre temuto, ma non è mai successo, anzi mi dicono che è andata bene così perché hanno capito come si sta al mondo. Hanno tratto dalla mia esperienza di vita femminile il convincimento di avere una vita autonoma, libera, alla ricerca dell’autosufficienza, della conciliazione tra lavoro e maternità. Ne sono state rafforzate. Io ho sempre temuto il contrario e sono stata accompagnata da un senso di colpa costante che ancora oggi perdura nei miei peggiori incubi, ma in realtà è andata bene>.

image_pdfimage_print

Newsletter

Privacy

Ultimi articoli pubblicati