Mediterranea Saving Humans si occupa dal 2018 di osservazione e monitoraggio, ricerca e soccorso a tutela dei diritti umani nel Mediterraneo Centrale, operando con la nave Mare Jonio. Non potendo restare indifferente alla guerra in atto e ai suoi terrificanti effetti in Europa centrale, ha deciso di organizzare, subito dopo lo scoppio del conflitto, convogli con pullman e furgoni attrezzati, con medici e mediatori culturali.
Le missioni “Safe Passage” consegnano aiuti umanitari e accompagnano in Italia chi sta scappando dalla guerra (finora oltre 300 persone), offrono un canale sicuro d’ingresso nell’Unione Europea ed esercitano una concreta solidarietà dal basso sul territorio ucraino, spingendosi fino a Leopoli, Odessa, Kiev, Buča.
Mediterranea, inoltre, ha attivato il progetto Med Care. Grazie ad un ambulatorio medico mobile, team medici che si alternano costantemente, ai volontari ed alle raccolte di medicinali e materiale sanitario messe in campo dai suoi “equipaggi di terra”, porta un’assistenza sanitaria di base alla popolazione civile. Med Care è, quindi, un’attività di lungo periodo che consente a Mediterranea di portare in zona di guerra un’assistenza continuativa.
Leopoli-Lviv, Ukraine, I missione Safe Passage, 16-21 marzo 2022
Tremavo di paura al confine, per un documento dell’auto non in originale.
Il cancello della frontiera si è chiuso per chi veniva da Leopoli, mentre passavamo.
I ragazzini della Difesa Territoriale, volontari, soli, in due, di fronte a fermate dell’autobus mimetizzate.
Checkpoint, mitra, cavalli di frisia, sacchi di sabbia, ci facevano passare, un gesto e sorridevano, con sguardo sincero.
Un vecchietto, malfermo sulle gambe, col volto verso il fumo proveniente dall’aeroporto di Leopoli, riverniciava il suo cancello, tranquillo, piegandosi piano piano ad intingere il pennello.
Tre signori a fianco di un trattore abbandonato mietevano a mano.
Le strade distrutte, non dalla guerra.
La povertà.
“Mi dispiace, non serviamo alcol!” Non si possono gestire anche persone ubriache.
Suonavano le sirene dell’allarme antiaereo. Nella stazione di Leopoli solo i forestieri si affrettavano verso il bunker. Nei corridoi enormi dell’orfanotrofio dei salesiani, guardavamo i bambini continuare a giocare all’aeroplano e fare la sirena, mentre andavamo nel rifugio.
“Gli zingari rubano, sapete com’è, è difficile trovargli un passaggio per farli passare il confine, chi li accoglierebbe?”, dicevano…
“Sì, sì grazie per gli aiuti. Servono armi, serve l’Europa. Il nemico è la Russia non solo Putin”, spiegavano persone con la croce sul petto.
“Vorrei che Putin morisse”, diceva un bambino al suo settimo compleanno.
“Riportate questi libri alla Bologna Children’s Book Fair, noi non ci saremo e non possiamo leggerli ai nostri figli”, chiedevano mentre rischiavano di violare il coprifuoco.
“Coltivavamo questo grano saraceno dai tempi dei tempi, portatelo in Italia, piantatelo!” Una busta blu. Pesantissima.
Case e valigie, lunghe telefonate, tutta una famiglia con lo stesso rosario di plastica bianca attorno al collo, borse con ciuffi scodinzolanti tenuti vicino al cuore. O quasi nulla.
Una fila ininterrotta di lumini, quelli da cimitero, ai bordi della strada, fino al confine.
Ci indicavano di passare avanti, mentre le macchine con targa ucraina rimanevano ferme nei chilometri di fila dietro di noi.
Guardavamo un signore salutare la famiglia alla dogana. Una disabilità grave. Certificati. Ma la leva è fino a sessant’anni. Li avrebbe rivisti presto, diceva…
Il bagno costa una grivnia prima del confine. La signora, severissima, sorridendo, non ha accettato nulla.
Un signore, ai controlli polacchi tremava di freddo, i denti davanti erano di ferro. “Vuole che alziamo il riscaldamento?” “È paura, dyakuyu, dopo passa”.
La prima canzone chiesta dopo il confine è stata ‘Pablo’ di Sfera Ebbasta, sa 4 lingue Varsha.