IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

Dopo Sharm el-Sheikh è tempo di chiudere la serie delle Cop

Prese insieme la Cop26 di Glasgow e la Cop27 di Sharm el-Sheikh sono la prova che l’assetto istituzionale uscito dagli Accordi di Parigi non funziona. È tempo di un trattato internazionale di non-proliferazione dei combustibili fossili.

Un anno fa, al termine della Cop26 di Glasgow, ci eravamo lasciati con il proposito di avviare un esame ravvicinato del quadro istituzionale uscito dagli Accordi di Parigi, per controllare il sospetto che il suo impianto non sia estraneo alla miseria dei risultati finora registrati in materia di lotta contro il Climate Change. Oggi, dopo la Cop27 di Sharm el-Sheikh, vi sono tanti più motivi per affrontare la questione, che nel frattempo ha anche cominciato ad affacciarsi nel dibattito corrente.

La storia si ripete in peggio

A metà del 2021, sei mesi prima dell’incontro di Glasgow, i 193 governi chiamati a parteciparvi avevano presentato impegni di contenimento delle emissioni di gas climalteranti pari a meno della metà di quelli necessari a rispettare la fatidica soglia di +1,5°C rispetto all’era pre-industriale – con il risultato, nel caso, di un aumento di 2,8°C. Di fronte a un quadro tanto deludente, il Segretariato dell’UNFCCC lanciò una specie di call, intesa a sollecitare l’adozione di politiche più “ambiziose”. I paesi che risposero furono 120, ma la situazione migliorò di poco: le emissioni attese per il 2030 passarono da 54 a 50 Gt, vale a dire esattamente il doppio del massimo volume sostenibile, con un aumento, nel caso, di 2,7°C.

Con questi valori la policy community del cambiamento climatico è entrata a Glasgow e con gli stessi, naturalmente, ne è uscita, perché le Conferenze delle parti non sono luoghi nei quali i governi possano modificare le politiche decise in patria, nei modi e nelle sedi previste dai loro ordinamenti. Quindi ancora un quadro impresentabile, al quale si è tentato di porre rimedio per mezzo di un nuovo appello a serrare i ranghi. L’art. 4, comma 9, degli Accordi di Parigi prevede che gli impegni dei governi siano aggiornati ogni cinque anni: evidentemente troppi, data la situazione, e dunque da ridurre, come in effetti è stato fatto anticipando al 2022, appunto alla Cop27 di Sharm el-Sheikh, la scadenza naturale del 2026. Questo il contenuto esortativo, non senza un certo tono da last call,se non proprio da ‘ultima spiaggia’, del Patto per il Clima approvato a Glasgow: provvedano i governi, in tempo utile per il nuovo incontro, a definire impegni finalmente conformi alle necessità.

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