Sollecitata dal sudafricano Elon Musk a fornire risposte emotive e avventate, la Germania ha reagito con un’altissima partecipazione al voto (84%) e una indicazione di stabilità, al netto della sconfitta della SPD, partito del Cancelliere, del resto ampiamente attesa.
Il compito fondamentale del governo che sarà guidato da Friedrich Merz sarà quello di dare una nuova prospettiva all’economia nazionale e a quella europea. Si dice da molte parti che il “modello” tedesco, basato sulle esportazioni, è fallito o addirittura che la Germania (ma questa è la solita velenosa provocazione britannica) sarebbe “il malato d’Europa”. Ce ne fossero di questi malati!
La “predica” di Draghi
L’elevato surplus commerciale tedesco (export meno import), quello che continua con 374 miliardi di Euro nel 2024, è stato e continua ad essere la chiave per tutta l’Europa, almeno per quanto riguarda i conti con l’estero e il rafforzamento dell’Euro. Si pensi che in un anno la Francia ha esibito un deficit di 164 miliardi e la Spagna uno di 40. L’Italia, con un surplus annuale di 54 miliardi, si è comportata invece come una “piccola Germania”. Il surplus commerciale esprime la forza e la produttività della industria tedesca ed europea, altro che la predica fattaci da Draghi, che indica quale modello un paese come gli USA con un deficit enorme (747 miliardi), quindi assolutamente non competitivo, se non in alcuni settori. Grazie alla forza commerciale tedesca (e italiana). l’Europa riesce a vivere, si potrebbe dire, al di sopra delle sue possibilità, con un forte Euro che altrimenti si deprezzerebbe, riducendo drasticamente il potere di acquisto dei cittadini. Queste però sono constatazioni statiche, insufficienti in un periodo di grandi cambiamenti.
Il triste epilogo di Scholz
Sappiamo tutti che il conflitto ucraino ha dato un colpo pesante alla competitività tedesca, sia per l’aumento dei costi dell’energia, importante soprattutto in settori come la meccanica e la chimica, sia perché si sono chiusi i mercati di sbocco russi, che negli ultimi anni si erano rivelati assai dinamici. Tendenza irreversibile? No, perché proprio il disimpegno americano in Europa potrebbe consentire la ripresa dei rapporti con la Russia e persino il rilancio di una Ostpolitik. Occorrerà però una capacità strategica che i due ultimi Cancellieri hanno dimostrato di non avere. Merkel ha lasciato per anni marcire il bubbone ucraino spingendo la NATO ad “abbaiare ai confini della Russia”, per dirla con Papa Francesco. E cercando di ingannare la Russia (come la stessa Merkel e Sarkozy hanno recentemente confessato) fingendo trattative che servivano solo a dare all’Ucraina il tempo di armarsi ancora di più. Bruciando così la credibilità del suo paese. Quanto a Scholz, ha mostrato un certo imbarazzo nell’assecondare le spinte estremiste di NATO e Commissione europea, ma ha subìto senza fiatare gli attentati ai gasdotti e si è ridotto persino a sperare che le commesse alle sue aziende militari (Rheinmetall etc.) potessero compensare la recessione di altri settori industriali. Un triste epilogo per un erede di Willy Brandt, di Helmut Schmidt e di Gerhard Schroeder.
I compiti immani del nuovo Cancelliere
Friedrich Merz dovrà certo mostrare maggiore acume strategico, se non vorrà provocare il collasso della potenza manifatturiera tedesca, ma un dato è certo emerso dalla crisi ucraina. La Germania, come tutta la UE e l’Occidente, anche perché complice dei massacri di Gaza, ha totalmente perduto di appeal verso il resto del mondo, e in termini più crudi deve confrontarsi con una potenza manifatturiera come la Cina, che la sovrasta ormai non solo in termini quantitativi (surplus annuale di 992 miliardi), ma che l’ha ormai raggiunta e superata in diverse tecnologie di punta. Questo dato è indipendente dalla crisi ucraina, ma quest’ultima potrebbe avere accelerato lo sforzo cinese di emanciparsi dalle tecnologie occidentali, oltre che di stringere ancora più stretti rapporti commerciali con i paesi terzi, a partire dai BRICS. Il nuovo Cancelliere, anche se lo spazio della Germania nel mondo si restringerà, dovrà però prendere anche delle decisioni sulle priorità della politica economica.
Il neomercantilismo tedesco è finito
Finora, il neo-mercantilismo tedesco ha significato dare impulso alla economia, agendo sulla leva della domanda estera, quindi non sugli investimenti interni e sui consumi. Con evidenti conseguenze sulla qualità della vita dei cittadini e sulla distribuzione del reddito, sempre più polarizzata. Nella UE la possibilità del paese più forte di reggersi sulla domanda estera ha portato alle famigerate regole di Maastricht, con la imposizione di pesanti limiti alla spesa pubblica, da sempre strumento di redistribuzione del reddito e della ricchezza. Il nuovo Cancelliere cambierà qualcosa nelle politiche europee? Non potrà farlo da solo, ma di concerto con una dirigenza politica che al momento sembra stordita e disorientata: dall’esito del conflitto, dal dietro front di Trump e dalla crisi economica. Già ai tempi delle previsioni clamorosamente sbagliate sull’impatto che avrebbero dovuto avere le sanzioni sulla economia russa, si era iniziato a dubitare sulla qualità della leadership europea, e lo sgomento è cresciuto quando si è visto che l’unica ricetta che essa riusciva a concepire era quella di una guerra a oltranza contro la Russia e di un aumento della spesa militare. La costruzione istituzionale europea ha mostrato poi tutti i suoi limiti quando ha lasciato parlare in tono sempre più bellicoso proprio quegli esponenti della Commissione (dalla Von der Leyen alla Kaja Kallas) che non hanno nessun potere decisionale in materia di difesa (per fortuna, vien da dire!), ma continuano a straparlare, non avendo mai interpellato i popoli sulle prospettive della guerra infinita. Ora, invece, il popolo tedesco ha votato; il consenso ai diversi partiti è chiaro; Cancelliere sarà Friedrich Merz; la parola andrà alla politica economica.
Massimo D’Angelillo, economista, è autore di studi sulla socialdemocrazia tedesca, sulla politica economica della Germania (La Germania e la crisi europea, Ombre corte, 2016) e sulle strategie di sviluppo locale.
Leonardo Paggi, studioso di Storia contemporanea, ha insegnato per molti anni all’Università di Modena e Reggio Emilia e in diverse università americane.