IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

I movimenti e la sinistra ‘presente’

Per rappresentare le istanze di giustizia sociale e ambientale la sinistra deve riscoprire il rapporto con i movimenti. Un correttivo potente e coerente con il progetto di una partecipazione effettiva al centro della nostra Costituzione.

Ragionare di movimenti aiuta a smorzare il realismo tragico dell’assenza della sinistra. Ad essere assente è la sinistra come partito politico, ma forze politiche e sociali “di sinistra” vivono nella società. Questo, senza inoltre disconoscere la presenza, se pur al momento priva di uno specifico peso politico parlamentare, di piccoli partiti espressione della c.d. sinistra radicale, considerarli assenti contribuisce alla loro emarginazione. Quanto ai partiti usualmente definiti di “sinistra” o “centro-sinistra”, non può essere definito “di sinistra” un partito come il Partito democratico: basti pensare al Jobs Act, alla riforma Renzi-Boschi, ai provvedimenti Minniti, alla Buona Scuola, ovvero al lungo elenco delle politiche di stampo neoliberale, per tacere dell’acritico asservimento ai paradigmi di Maastricht, al Fiscal Compact, all’”agenda Draghi”, o, allargando lo sguardo, alla guerra, ad un aggressivo atlantismo. Non sono sufficienti i diritti civili, invero più citati che garantiti, a definire una forza politica di sinistra.

La prima voce

La sinistra è, tuttavia, presente nella società, magari è frammentata e dispersa, a volte sommersa, ma esiste. Principi e valori della sinistra – emancipazione, democrazia sociale, lavoro come strumento di dignità, uguaglianza sostanziale, solidarietà, giustizia sociale – vivono nella società e trovano espressione nell’autorganizzazione dal basso, nei movimenti sociali, nel mondo dell’associazionismo. I movimenti molto spesso sono la prima voce a rivendicare diritti in fieri, evidenziare contraddizioni, esprimere bisogni, ovvero sollevare un conflitto: si situano lungo le faglie che in un contesto dinamico si aprono nel terreno del conflitto sociale. Essi non di rado rivoluzionano i modi e gli obiettivi della protesta: pensiamo al movimento no o new global con il pensare globale e agire locale, con i social forum, o alle azioni dimostrative e non violente di Extinction Rebellion, ai legami sociali ricreati dai presidi dei movimenti territoriali, alla forza e fantasia di Non Una di Meno, alla capacità di intessere reti di alcuni collettivi di fabbrica (per tutti, il Collettivo della Gkn).

Autorganizzazione e informalità

A caratterizzare i movimenti è l’autorganizzazione, ovvero l’informalità, la formazione spontanea di un gruppo sociale attorno ad un fine, più o meno ampio, condiviso: un conflitto spinge alcune persone ad (auto)organizzarsi in forma collettiva intorno ad un progetto comune e a dar vita ad una protesta. Questa può essere una definizione minima di movimento, un fenomeno, per sua stessa natura, refrattario rispetto all’incasellamento in definizioni rigide e statiche. I movimenti spesso, ma non sempre (per tutte l’esperienza ultratrentennale del movimento no Tav), sono temporanei, ma creano una consapevolezza critica e un’attitudine all’azione politica che si proiettano nel tempo, com’è evidente ad esempio con i movimenti studenteschi, dal ’68, alla Pantera, all’Onda. Movimenti nascono, vivono, muoiono, in un moto a volte più vivace a volte più lento, a tratti quasi sotterraneo (il mondo dell’associazionismo) a tratti esplosivo (Black Lives Matter): ad ogni modo essi mantengono nella società uno stato di insorgenza permanente, propongono e praticano visioni alternative.
La spontaneità e la forza dissenziente dei movimenti sono soggette al rischio di perdersi nell’istituzionalizzazione o nella burocratizzazione, così come nel settarismo, nelle divisioni, per stanchezza, per eccessiva dispersione, o per la repressione (un fenomeno quest’ultimo in costante aumento), ma al declino di un movimento corrisponde la nascita di nuovi movimenti.

Una lunga storia

La storia, anche senza retrocedere sino ad inizio Novecento con il movimento operaio, la cui vis polemica si indirizza nella forma-sindacato, ci racconta del protagonismo del movimento studentesco e femminista, alla fine degli anni Sessanta e negli anni Settanta del secolo scorso, con una forte connotazione antisistema e una fervida immaginazione nelle pratiche; poi, è il momento del movimento ecologista, la cui forza dirompente si incanala presto, almeno in parte, in strutture partitiche; quindi, il movimento pacifista e no, o new, global, il “movimento dei movimenti”, con l’“altro mondo possibile”. Quindi fioriscono i movimenti territoriali, nuove realtà ambientaliste (Fridays For Future; Extinction Rebellion), soggettività femministe (Non Una di Meno), insorgenze operaie e non solo (i lavoratori della logistica, i rider, il Collettivo di fabbrica della Gkn, …); senza dimenticare in altri contesti esperienze come Occupy Wall Street, gli Indignados o Nuit Debout.

Democrazia dal basso e democrazia rappresentativa

I movimenti sono espressione di democrazia dal basso, ne costituiscono una estrinsecazione, e, al contempo, la esercitano anche nel senso che si strutturano assumendone le forme come metodo organizzativo. Non di rado, poi, la democrazia dal basso è non solo l’orizzonte nel quale un movimento agisce e il modo nel quale si organizza, ma anche il modello di riferimento, un fine in sé. I movimenti vivono nella società, in un rapporto con le istituzioni e la democrazia rappresentativa suscettibile di differenti configurazioni, che si possono situare lungo un continuum, sul quale stanno sia le ipotesi dello scontro, dove le istituzioni sono il nemico da abbattere o, comunque, il soggetto contro il quale rivolgere la propria resistenza, sia le ipotesi “integrative”, riformiste o di «surveillance» (Rosanvallon), laddove le istituzioni sono concepite come destinatarie e possibile interlocutore dei movimenti. E qui si avverte il peso dell’assenza della sinistra: rivendicazioni e proposte che attraversano la società non hanno chi le rappresenti all’interno del circuito politico-rappresentativo, alimentando un circolo vizioso di scollamento fra società e istituzioni.

(Re)innescare un circolo virtuoso

Manca un partito politico di sinistra, ovvero un soggetto collettivo che dia voce e organizzazione politica strutturata al conflitto sociale, che legga in una visione del mondo e intessa in un progetto di futuro le istanze di giustizia sociale e ambientale che animano movimenti e associazioni. È questa l’assenza di sinistra che si avverte e che rischia di attenuare anche la forza della “sinistra dal basso”. Chiariamo: non si intende che i movimenti debbano risolversi e tramutarsi in un partito politico, scontando strumentalizzazioni e il rischio di cadere in una «confortevole, levigata, ragionevole, democratica non-libertà» (Marcuse), ma che la mancanza di un partito che possa veicolarne le istanze può limitare le potenzialità dei movimenti. D’altro canto il partito – oggi liquido, leggero, autoreferenziale, parassitario rispetto alle istituzioni – ha bisogno, per recuperare uno scollamento chiaramente riflesso nella disaffezione alla vita politica e nella crescita dell’astensionismo, di una relazione con i fermenti che percorrono la società, recuperando radicamento territoriale e senso della realtà – del conflitto – sociale. Il circolo in questo caso è virtuoso: il «vivente movimento delle masse», la loro «pressione ininterrotta» esercita un «potente correttivo» nei confronti delle istituzioni democratiche (Luxemburg).
La democrazia dal basso, la presenza di movimenti autorganizzati, esterni rispetto al circuito politico-rappresentativo, sono imprescindibili per una democrazia effettiva, viva; costituiscono un potente antidoto rispetto all’atrofizzazione della democrazia nella stanca riproduzione di un rito elettorale e all’occupazione delle istituzioni da parte delle forze egemoni, ma i conflitti che essa rappresenta hanno bisogno di una voce che li veicoli nelle istituzioni, li rappresenti, inserisca la loro forza anche nella mediazione rappresentativa. Una democrazia sostanziale – in coerenza con una Costituzione che nel cuore del proprio progetto ha la «partecipazione effettiva» (art. 3, c. 2) – richiede la presenza sia di una partecipazione autorganizzata e dal basso sia di un pluralismo partitico che assicuri la rappresentanza delle differenti visioni del mondo. La convergenza dei partiti maggiori intorno ad un asse neoliberista sancisce l’egemonia di un’omologazione che non ammette alternative a sé stessa, contraddicendo il pluralismo e il riconoscimento del conflitto propri della democrazia (conflittuale, sostanziale, sociale), espellendo la rappresentanza del conflitto sociale “dalla parte degli oppressi” e negandone la stessa possibilità di esistenza. Il neoliberismo, a fronte degli evidenti disastri sociali e ambientali, diviene viepiù autoritario (repressione), aggressivo (la guerra in Ucraina, la Cina descritta come minaccia, …) e intollerante verso le alternative: è sempre più necessaria la presenza di una sinistra, “vera”, sostanziale, e che, dunque, proprio nel legame con i movimenti può trovare un solido terreno, rappresentando le istanze di giustizia sociale e ambientale che si agitano nella società.

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