Il mito delle “occasioni mancate” da parte dell’Italia è una narrazione assai ricorrente nel pensiero della sinistra italiana: i plurimi vincoli esterni ai quali la classe politica italiana, durante la Prima Repubblica, e la classe tecnocratica, poi, hanno inteso appendere il nostro destino non avrebbero dato i frutti sperati soltanto per l’incapacità degli italiani di raccoglierli. Ma come tutti i miti, anche quello delle “occasioni mancate” è privo di basi fattuali inconfutabili. Vi erano, infatti, profonde carenze culturali e sociali nella struttura produttiva italiana, che pure ci aveva portato al boom economico, tali da non poter essere risolte agendo dall’esterno e quasi “meccanicamente” (Cesaratto, Zezza, 2018).
Il lato oscuro del vincolo esterno
L’esito paradossale del ricorso al vincolo esterno, di cui l’entrata prima nello SME e poi nell’Euro rappresentano l’emblema, è che a pagarne le conseguenze sono stati prevalentemente i lavoratori salariati, colpiti dalle politiche deflattive necessitate dal venir meno della possibilità di svalutazione. Si tratta di un paradosso, visto che l’incapacità di darsi un vincolo interno, ossia di “auto-riformarsi”, andrebbe prevalentemente imputata alla borghesia italiana che rifiutò, quando ve n’erano le condizioni, di seguire l’esempio del Centro e Nord-Europa e di condividere con le classi lavoratrici i frutti della crescita, puntando a uno stato sociale moderno e riconoscendo il ruolo propulsivo della domanda interna fondata su più elevati salari reali (Cesaratto-Zezza, cit.).
Il lato oscuro del vincolo esterno, dunque, svela come le scorciatoie abbracciate dalla sinistra DC, prima, e poi dagli eredi del PCI negli anni Novanta del Secolo scorso, siano appunto scorciatoie, ossia strategie prevalentemente autoassolutorie, che scaricano sulle classi “non dirigenti” gli errori delle élite e di quella che avrebbe dovuto essere la borghesia illuminata.
I costi di questo vincolo esterno dovevano ricadere, secondo i miopi capitani d’impresa (anche pubblica), prevalentemente in capo ai lavoratori, ignorando che nel lungo periodo tali costi avrebbero lambito le loro fortune, giungendo a distruggere quasi il 30% della capacità produttiva negli anni della crisi economica inaugurata dalla crisi greca, con tutto il corredo di suicidi di piccoli imprenditori che punteggiò quel tragico periodo.