Scrivo dovrebbe, non a caso; perché in realtà l’avanzata della destra c’è stata, eccome, anche nel Regno Unito, sia elettoralmente che gramscianamente (egemonia culturale). Gli anglofili, lo chiamano spostamento della finestra di Overton. Dal 4 luglio, infatti, per la prima volta Nigel Farage entra alla House of Commons, eletto nel collegio di Clacton. E non è per niente un fatto isolato, il partito di Farage, Reform UK nato dalle ceneri del Brexit Party, ha eletto altri quattro parlamentari e ottenuto oltre il 14% dei voti. Un risultato eccezionale e reso apparentemente innocuo in termini di seggi nella Camera bassa di Westminster solo dal feroce sistema elettorale britannico che punisce la scarsa concentrazione di voti dei partiti, soprattutto quelli minori. Basti pensare che Reform Uk con, appunto, il 14.3% e oltre 4 milioni di voti elegge solo cinque MPs, mentre i LibDem con “solo” il 12.2% e 3.5 milioni di voti porta al Westminster ben 72 deputati.
Vittoria a valanga?
Ecco che filtrati in questo modo i dati elettorali del Regno Unito ci consegnano un risultato del tutto differente da quella che apparirebbe come una vittoria a valanga della sinistra. La vittoria del Labour, infatti, è un gigante da piedi di argilla, perché ha – a parere di chi scrive – basi poco solide. C’è innanzitutto da tener conto del disastroso stato in cui versava il Partito conservatore, screditato dopo i disastri di Boris Johnson e Liz Truss che avevano lasciato il paese in una situazione economica e di credibilità istituzionale ed economica al limite dell’irreparabile. Inoltre, altro dato allarmante, le elezioni politiche hanno visto un calo drammatico dell’affluenza a meno 7.5% rispetto al 2019. Il partito di Keir Starmer ottiene dunque quasi il 66% dei seggi in Parlamento con appena il 33% dei consensi su base nazionale e, addirittura, perdendo circa cinquecentomila voti rispetto al 2019.
La “discesa in campo” di Nigel Farage
Certo, non v’è dubbio che i laburisti siano riusciti a cogliere, in qualche modo, il clima nel paese, proponendo una campagna elettorale molto scarna nei contenuti, più indirizzata a non spaventare gli elettori conservatori per non convincerli ad andare a votare, piuttosto che a conquistare appieno il proprio elettorato. L’operazione è riuscita, ma a quale costo?
È forse presto per dirlo, ma alcune cose possiamo già notarle e le abbiamo viste dipanarsi innanzitutto in campagna elettorale dove abbiamo assistito ad un radicale spostamento a destra, che è stato costante dal 2016 in poi, del Partito conservatore, evidentemente preoccupato di un’emorragia di voti a destra causata dalla “discesa in campo” di Nigel Farage, entrato nell’agone elettorale solo il 4 giugno, a campagna in corso, creando più di un grattacapo sia al Labour che ai Tories e cambiando in maniera radicale la campagna elettorale.
Abbiamo così visto un innalzamento dei toni della destra, soprattutto sul tema dell’immigrazione, con messaggi sempre più violenti e xenofobi, il più clamoroso di tutti rappresentato forse dall’incredibile video elettorale pubblicato sui profili social del Primo ministro Rishi Sunak in cui si rappresentava un tappeto rosso sulle rive del Sud Inghilterra (dove avvengono gli sbarchi di migranti), una gigantesca scritta sulla sabbia “Benvenuti” e il claim del post che recitava “gli immigrati aspettano il Labour”.[i]
Lo spot è forse un momento folkloristico, ma le proposte concrete dei Tories erano ben più significative a partire dal piano di deportazioni in Ruanda per attuare il quale Rishi Sunak non escludeva di abbandonare la CEDU se la Corte si fosse messa di traverso come aveva già fatto negli scorsi mesi, inducendo il Governo a tentare operazioni di “cosmesi” giuridica per aggirare i dettami dei Giudici.
L’approccio ambivalente del Labour
Il Labour ha combattuto solo in parte questa narrazione della destra, criticando il governo conservatore non tanto per l’illegalità del piano di deportazioni, ma per la sua inefficienza nel contrastare il fenomeno dell’immigrazione “clandestina”. Un approccio “ambivalente” che possiamo riscontrare anche negli atti del governo laburista insediatosi il 5 luglio che ha abolito immediatamente il “Rwanda scheme”, salvo poi lanciare messaggi discordanti annunciando in incontri più o meno ufficiali, l’interesse e quasi l’ammirazione, per il piano sviluppato dal governo italiano di Giorgia Meloni con Albania e Tunisia[ii], uno schema molto simile a quello di Sunak.
Perché Keir Starmer, nonostante la maggioranza quasi assoluta che detiene nella House of Commons, è così preoccupato di lanciare messaggi apparentemente così distanti da quelli che dovrebbero ispirare la “carta dei valori” di un partito di centrosinistra? La risposta, ancora una volta, la ritroviamo nei numeri elettorali del 4 luglio che i consulenti di Downing Street hanno molto chiari e che restituiscono la mappa elettorale in cui il Labour ha vinto moltissimi seggi per pochi voti (i seggi vengono così definiti “marginali” che va però letto come “cruciali”) e in molti di questi collegi il Reform Party è il secondo partito, avendo scavalcato a destra i Tories.
Razzismo e antirazzismo
Vi è, dunque, una parte consistente dell’elettorato affascinata dai messaggi rivolti “alla pancia” da parte della destra britannica, un sentimento pericoloso purtroppo emerso questa estate con i vergognosi atti di violenza nei confronti delle comunità di stranieri perpetrati dai violenti alimentati dalla disinformazione circolata sui social media. I preoccupanti riots dello scorso luglio ci hanno però anche mostrato come nella società britannica esistono – forse senza trovare piena rappresentanza politica – gli anticorpi anti razzisti, come dimostrano le grandi manifestazioni di solidarietà nei confronti delle comunità di stranieri nate più o meno spontaneamente in tutto il Regno Unito. Una tradizione di attivismo civico che ha radici profonde e che ha avuto l’episodio più iconico nella “Battaglia di Cable Street” [4 ottobre 1936, n.d.r] quando anti fascisti e anti razzisti dell’East end londinese si radunarono per bloccare la marcia dei fascisti organizzati da Oswald Mosley, un episodio che di fatto pose fine all’insorgere del fascismo nel Regno Unito.
Il Governo Starmer ha, dunque, di fronte a sé il compito di gestire la “percezione” del paese, la cui realtà è molto più complessa della narrazione. I britannici, dall’entrata in vigore della Brexit, si stanno infatti lentamente rendendo conto di quanto i lavoratori stranieri siano essenziali per il modello di produzione del Regno Unito come, un esempio tra i tanti, ha dimostrato la crisi di autisti del 2021 che ha obbligato il Governo a promettere visti eccezionali – senza peraltro ottenere grandi risultati – ad autisti stranieri per sopperire alla carenza[iii]. Cosa del tutto simile avvenuta in altri settori chiave come quello dell’assistenza ai malati.
Insomma, nel Regno Unito così come in larga parte d’Europa, vi è una dicotomia tra la “narrazione” dei problemi causati dall’immigrazione e la realtà, una dicotomia che la destra è molto abile a sfruttare elettoralmente, creando però un gorgo molto pericoloso che – nel caso del Regno Unito – ha portato ad effetti del tutto imprevisti come la Brexit, un evento epocale che ha avuto e sta avendo un impatto dalla portata generazionale e che al momento, non sembra poter essere messa in discussione da nessuna forza politica del paese proprio perché, per poterlo fare, è necessario prima riportare la “finestra di Overton” in un punto dove la discussione su un eventuale riavvicinamento all’Unione europea sia affrontabile.
Segnali di inversione della parabola neoliberale
Vedremo se il governo Starmer riuscirà ad affrontare alla radice le ragioni del disagio profondo che porta le classi sociali più in difficoltà ad essere sensibili alle sirene della destra sovranista. Alcune scelte dei laburisti sembrano decisamente in quella direzione, a partire dalla grande importanza data al tema dell’emergenza abitativa, una vera e propria piaga sociale causata dalla dismissione del patrimonio pubblico perpetrato dalla Thatcher negli anni ’70 e ’80, con il famoso “right to buy”, uno schema che ha venduto ai privati cittadini le case popolari in cui risiedevano, ponendo le basi per la pressione sociale sullo scarso patrimonio abitativo popolare rimasto a disposizione.
Anche la decisione di riportare sotto il controllo pubblico le ferrovie così come in generale la volontà di riportare gli investimenti pubblici al centro del programma economico del governo, sono tutti segnali di inversione della parabola neoliberale mai interrotta in questi lunghi decenni. Vi sono anche segnali meno positivi come alcuni tagli sociali inflitti ai più deboli e una scarsa tolleranza nei confronti del dissenso interno, ma è davvero troppo presto per giudicare le azioni del nuovo governo laburista.
Certo è che Starmer ha un compito cruciale, quello di dimostrarsi in grado di consegnare il “cambiamento” promesso in campagna elettorale perché la destra britannica, come dimostra anche il rinato attivismo della stampa di destra operosissima nel contestare Starmer dopo la quiete degli scorsi mesi, si sta riorganizzando e – lo dimostra il dibattito per la successione di Sunak alla guida dei Tories – lo sta facendo radicalizzandosi maggiormente.
[i] Profilo twitter dell’ex Primo ministro Rishi Sunak https://x.com/RishiSunak/status/1807669514064036192
[ii] Keir Starmer commends Italy’s ‘remarkable progress’ on ‘irregular migration’, https://www.bbc.com/news/live/cvgddpq44qjt
[iii] Emergency visas won’t tempt European lorry drivers to UK, say haulage chiefs, https://www.theguardian.com/business/2021/sep/25/european-lorry-drivers-will-not-want-to-come-to-uk-warn-haulage-chiefs