Il radicale e complessivo processo di riforme in Cina è iniziato alla fine degli anni ’70 del secolo scorso, con la trasformazione dei rapporti sociali ed economici delle campagne. Inizialmente, i cambiamenti più importanti si sono verificati nel settore dell’agricoltura, generando rapidamente un surplus che è stato in gran parte reinvestito nello sviluppo impetuoso delle imprese di contea e di villaggio, entità autonome non capitalistiche di tipo nuovo orientate al mercato e caratterizzate da forme varie di proprietà, tra le quali tuttavia prevaleva il ruolo dei governi locali. Negli ultimi decenni del XX secolo vi furono anche vari tentativi di riforma delle tradizionali imprese industriali di proprietà statale, che però non furono coronati da un sostanziale successo.
Economia socialista di mercato. In progress
Tra la fine del secolo scorso e l’inizio del XXI, il governo centrale ha ripreso l’iniziativa in questo campo, riuscendo questa volta a ottenere risultati strutturali di grande rilevanza. Le nuove riforme industriali hanno dato la priorità alla modernizzazione e all’effettiva realizzazione della proprietà pubblica e delle sue modalità istituzionali, riconoscendo l’inevitabilità’ della permanenza della legge del valore e quindi la necessità di ampliare e valorizzare il ruolo del mercato come regolatore sistemico di ultima istanza.
La Cina sta gradualmente superando le tradizionali e rozze leve di comando amministrative, facendo sempre più affidamento su forme indirette di controllo strategico basate sul valore. Questa transizione è accompagnata dall’apertura di ampie opportunità di mercato per il crescente settore privato, mentre il ruolo degli investitori esteri è venuto moderatamente declinando. I risultati di questo processo
confermano sostanzialmente, e anzi rafforzano il ruolo egemonico della proprietà pubblica dei principali mezzi di produzione, nell’ambito di un armonico contesto di mercato in cui coesistono diversi tipi di proprietà.
Con estrema prudenza e riconoscendo il carattere necessariamente provvisorio ed euristico di qualsiasi giudizio generale su un tema tanto complesso e in continua evoluzione, è ragionevole concordare con la posizione ufficiale dei dirigenti cinesi, secondo la quale la Repubblica Popolare è un’economia socialista di mercato, e rappresenta la concreta realizzazione (sia pure in forma ancora primitiva) del socialismo con caratteristiche cinesi.
Una potenza tecnologica di prim’ordine
In questo contesto, è stata riconosciuta la centralità strategica del progresso tecnico e dell’innovazione, ed è stato lanciato un immane e consapevole sforzo per la loro “endogenizzazione”, con l’obiettivo ultimo di superare la dipendenza conoscitiva dai paesi “imperialisti”. Le politiche per rendere la Cina una potenza tecnologica di prim’ordine e un brodo di coltura per l’innovazione endogena passano attraverso il rafforzamento quantitativo e qualitativo delle attività di ricerca e sviluppo (R&S). Alcune grandi aziende private di alta tecnologia, molte delle quali si sono sviluppate autonomamente secondo il classico modello schumpeteriano, hanno un ruolo molto importante. Non si dimentichi peraltro che in Cina le grandi aziende private sono comunque indirettamente (e anche direttamente, attraverso le cellule del partito) controllate e regolate dallo stato. Parafrasando la famosa frase di Mao sul fucile, è lo Stato che comanda strategicamente il settore privato e non viceversa come nei paesi capitalistici. E quando i nuovi tycoon alzano troppo la testa e “pisciano fuori dal vaso” vengono bastonati, come è successo a Jack Ma e a molti altri (ad alcuni dei quali è andata molto peggio).
I motori principali di questa ampia struttura in rapida evoluzione sono le imprese, le università e i centri di ricerca pubblici e semi-pubblici. La conclusione principale è che il Sistema Nazionale d’Innovazione (SNI) della Cina è molto più avanzato del complesso della economia nazionale, ha già raggiunto un grado di sviluppo comparabile con quello dei paesi capitalisti più ricchi ed è di gran lunga il più dinamico ed efficace tra quelli delle grandi economie mondiali.
La narrazione occidentale dell’omologazione
Mentre i grandi capitalisti transnazionali ottenevano enormi profitti, grazie all’entrata della RPC nel sistema di commercio mondiale, gli americani e le potenze regionali a loro fedeli, EU in testa, avevano raccontato a lungo una narrazione secondo la quale grazie al mercato, alla globalizzazione e al sorgere di una classe capitalista locale destinata a conquistare l’egemonia (per non parlare dei vari feticci ideologici come internet, i diritti umani, etc.) ben presto la Cina si sarebbe omologata al modello occidentale, trasformandosi in un normale paese capitalista governato da una democrazia borghese. Solo Dio sa se questa forma di wishful thinking fosse sincera, o se questi signori la propinassero al mondo in modo strumentale. È comunque un fatto che per qualche decennio la Cina è stata lasciata in pace (privilegio di cui invece non poté mai godere l’URSS) e ha potuto sfruttare abbastanza pienamente i vantaggi derivanti dalla integrazione nei flussi commerciali, tecnologici e di conoscenza mondiali, che rimanevano sostanzialmente regolati dalle norme dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, nella quale la Cina era entrata nel 2001 (dopo lunghi negoziati in cui era stata costretta ad accettare condizioni tutt’altro che di favore).
Contrordine: inizia la guerra commerciale e tecnologica
Fatto sta che da un po’ di tempo gli USA si sono accorti che le cose stavano andando diversamente, soprattutto da quando nel 2013 Xi Jinping è diventato segretario generale del PCC. Così, senza porsi troppi problemi di coerenza formale, hanno buttato a mare le litanie sulle magnifiche sorti e progressive della globalizzazione e del libero mercato, e hanno lanciato contro la Cina una offensiva a tutto campo. Questa offensiva è iniziata come una guerra commerciale e tecnologica, ma progressivamente si è ampliata fino a configurare una nuova guerra fredda globale, che si sviluppa anche a livello ideologico e militare. Anche se il primo ad intervenire con forti misure protezionistiche (naturalmente contrarie allo spirito e alla lettera delle regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio) è stato Trump, è evidente che questa postura estremamente aggressiva gode di un consenso ampiamente bipartisan. Anzi, senza dimenticare che la nuova guerra fredda implica necessariamente severe contraddizioni interne alla classe capitalista americana e mondiale (molti capitalisti sarebbero assai più contenti se fossero lasciati tranquilli a fare miliardi commerciando con la Cina, piuttosto che sacrificare parte dei loro profitti sull’altare della sopravvivenza di lungo termine del modo di produzione tuttora egemone a livello globale), è ormai evidente che, come d’abitudine, i più oltranzisti e irresponsabili sono proprio i democratici, Biden in testa. Emblematiche sono ad esempio le recenti prese di posizione egemoniche e avventuriste di Krugman, che pure un tempo fu insignito del premio Nobel per i suoi studi sulla New Trade Theory (vedi Krugman 2022).
L’investimento cinese nella ricerca, una priorità assoluta
Poche statistiche sono sufficienti per dare una idea della portata eccezionale e priva di precedenti storici del potenziamento dello SNI cinese nei primi decenni di questo secolo. Il rapporto tra spese in ricerca e sviluppo e PIL (R&S/PIL) è l’indicatore più importante per misurare la volontà e la capacità di un paese nel promuovere l’innovazione e lo sviluppo tecnologico e il grado di priorità assegnato alla ricerca relativamente ad altri possibili utilizzi della ricchezza prodotta. Naturalmente, la regola generale è che i paesi ricchi, che hanno (o dovrebbero avere) già soddisfatto i bisogni basici della popolazione, hanno la possibilità di dedicare alla ricerca molte risorse, mentre i paesi poveri, dove prevale la povertà e quasi tutti hanno un livello di istruzione molto basso, non possono permettersi il lusso di fare ricerca. Infatti, anche un grande paese in via di sviluppo come l’India (che pure, a differenza della maggioranza dei paesi del Sud, ha un’élite tecnocratica di alto livello e nicchie di eccellenza in alcuni settori come il software) ha un rapporto R&S/PIL molto basso e che è anche diminuito dalla metà degli anni 2000. Al contrario, i paesi capitalisti avanzati hanno un rapporto R&S/PIL elevato. In particolare, negli USA, leader tecnologico e scientifico mondiale, il rapporto R&S/PIL è particolarmente alto, assai più che in Europa.
La Cina, unico tra i paesi del Sud, aveva fino alla metà degli anni ’90 un rapporto R&S/GDP inferiore a quello dell’India. Successivamente, questo rapporto è cresciuto molto rapidamente, arrivando a superare quello della UE e avvicinandosi così a quello degli USA. Tra il 2000 e 2020 la Cina ha fatto registrare il più’ forte aumento della spesa in ricerca e sviluppo (1,669%), seguita da Corea del Sud (509%), Taiwan (423%), e Russia (357%). In termini di potere d’acquisto (PPP in inglese) la spesa per R&S in Cina era circa un quarto di quella degli USA nel 2005. Adesso è la seconda del mondo, pari a circa i 4/5 % di quella Americana (Congressional Research Service 2022, OECD 2021, 2022).
Altri dati di fonte sia cinese che internazionale confermano queste tendenze, e mostrano inoltre che la Cina è il paese al mondo con il più alto numero di ricercatori e di personale impiegato in R&S e ha contribuito per oltre ¾ a un importante fenomeno globale, lo spostamento di una quota rilevante delle attività di R&S dal Nord al Sud del mondo (OECD 2022).
Nel 2021 il rapporto R&S/PIL in Cina è salito al 2,44%, 1,91 % in più che nel 2012. In termini assoluti, la spesa per R&S è stata di 2.8 trilioni di yuan (circa 405 miliardi di dollari), 14,6% più che nell’anno precedente. Per il 77% è stata finanziata dalle imprese. La componente costituita dalla ricerca di base (quella di maggiore importanza strategica e in cui è maggiore il ritardo della Cina rispetto agli USA) è stata di 181.7 miliardi di yuan, con un aumento del 23% rispetto al 2020. Le previsioni per il 2022 indicano che la spesa per R&S supererà i 3 trilioni di yuan (Xinhua 2022). Un importante indicatore dei risultati di questo immane sforzo è fornito dall’Indice Globale di Innovazione pubblicato dalla World Intellectual Property Organization. La Cina è passata dal 34o posto (tra 132 paesi) nel 2012 al 12o nel 2021 e all’11o nel 2022 (State Council 2022, WIPO 2022).
La deglobalizzazione e il ritardo cinese nel campo dei semiconduttori
Il formidabile ritmo del progresso tecnologico e della capacità di innovazione “indigena” in Cina è stato reso possibile fino a tempi recenti soprattutto da due fattori solo apparentemente contraddittori:
– il processo di apertura al mondo esterno e di integrazione commerciale, tecnologica e culturale nella globalizzazione;
– l’altissima priorità accordata al progresso tecnologico e alla innovazione nel quadro della pianificazione socialista.
A questo proposito è giusto riconoscere che, finché è durata, l’ultima ondata di globalizzazione capitalistica ha comportato un aumento della diseguaglianza, un arretramento dei rapporti di forza tra le classi e un peggioramento relativo – e in alcuni casi assoluto del tenore di vita dei lavoratori del Nord e di parte della semi-periferia. Tuttavia, ha anche permesso alla Cina e (in misura minore) a pochi altri paesi del Sud di fare grandi progressi tecnologici, economici e sociali, rafforzando i loro rapporti di forza nei confronti del centro imperialista.
Queste tendenze hanno indotto gli americani a correre ai ripari, tentando di forzare una inversione a U nel processo di globalizzazione (la cosiddetta de-globalizzazione) e di imporre alla Cina una forma di embargo sempre più drastico, con una forte componente extraterritoriale, che assomiglia sempre di più al bloqueo con il quale tentano da decenni di soffocare Cuba.
Tuttavia, gli strateghi americani più capaci sono consapevoli del fatto che un attacco frontale stile prima guerra mondiale contro tutta l’economia e l’intero SNI della Cina sarebbe velleitario e destinato all’insuccesso. Quindi, hanno individuato alcune nicchie e settori chiave che sono parte sistemica della catena del valore della industria cinese nel suo complesso, nei quali la Cina è ancora molto vulnerabile e dipendente dalle importazioni di componenti e input di altissimo livello tecnologico, e cercano di colpirla a morte proprio in questo tallone d’Achille. La Cina, a sua volta, ha preso atto da tempo di questa minaccia, e sta moltiplicando gli sforzi per aumentare il proprio grado indipendenza tecnologica, rintuzzare gli attacchi e vincere la corsa contro il tempo – che la vede sulla difensiva nel breve e medio periodo ma all’offensiva nel lungo periodo.
L’esempio più noto è quello dei semiconduttori. Questo settore figurava già in modo rilevante nel piano Made in China 2025 (vedi Gabriele 2020), ma i suoi obiettivi sono stati raggiunti finora solo in parte. I risultati ottenuti dal China Integrated Circuit Industry Investment Fund, istituito nel 2014 per promuovere start-up anche di piccole dimensioni con una prospettiva alla “cento fiori”, e che ha beneficiato di oltre 40 miliardi di dollari di capitalizzazione, sono stati finora abbastanza deludenti, anche a causa di seri episodi di corruzione.
La Cina ha, cioè, sviluppato una serie di iniziative per promuovere lo sviluppo di un settore nazionale di semiconduttori e attualmente produce notevoli quantità di microprocessori relativamente meno avanzati (dai 24 nanometri in su), ma è ancora lontana dal produrre i microprocessori più avanzati, che adesso sono di 5 nanometri e presto saranno di 3. La produzione dei microprocessori più avanzati è oggi dominata da due grandi imprese, la Taiwan Semiconductor Manufacturing Corporation (TSMC) and la coreana Samsung.”(Ikster 2022). Attualmente, queste produzioni sofisticate richiedono l’accesso a input e tecnologie molto complesse, di cui gli USA detengono i diritti di proprietà intellettuale.
Non si deve, peraltro, ritenere che “gli sforzi fatti dalla Cina nella direzione della indigenizzazione siano stati un fallimento totale. I semiconduttori meno sofisticati che la Cina produce attualmente sono input necessari per molte industrie. Inoltre, la Cina ha sviluppato metodi innovativi per finanziare l’innovazione, come ad esempio la borsa hi-tech di Shangai” (Ikster 2022). Lo sforzo di Pechino nei semiconduttori si è chiaramente mostrato produttivo. Tuttavia, l’industria nazionale cinese è ancora lontana dal poter competere con le imprese tradizionali globalmente dominanti” (Weinstein 2022). La Cina ha poche possibilità di arrivare al dominio o anche all’autosufficienza nel campo dei semiconduttori, ma sta diventando un attore importante in questa catena del valore globalizzata, una tendenza che gli sforzi degli USA hanno poche probabilità di deragliare. Tenendo conto anche del ruolo centrale della Cina nella manifattura elettronica globale e in varie tecnologie emergenti la tecnologia cinese è sempre più onnipresente, almeno tra le molte nazioni che finora non hanno mostrato di volersi distaccare dall’economia cinese (Lee 2022).
A differenza di altri settori avanzati, la Cina sconta ancora una certa debolezza strutturale nel campo dei semiconduttori. Tuttavia, ci sono molti segnali incoraggianti. Nel 2021 la produzione di semiconduttori è aumentata del 33,3% rispetto al 2020. C’è stato un importante passo avanti pochi mesi fa, quando la Semiconductor Manufacturing International Corporation (SMIC) ha annunciato che inizierà tra poco a produrre semiconduttori da 7 nanometri, e forse, in prospettiva, da 5 nanometri, anche se utilizzando una tecnologia “autarchica”, meno efficiente di quella dei coreani e dei taiwanesi. Grandi progressi sono stati annunciati anche da YTMC e con Changsin Memory Technologies – con i prodotti della prima nelle memorie Nand che stavano per essere adottati anche dalla Apple (poi c’è stato il veto di Biden)- in quello delle macchine litografiche e più in generale delle macchine per la produzione dei chip, a cui partecipano la Amec e la Smee, e nel campo della progettazione automatica.
La Cina comunque non è Cuba
Non abbiamo una sfera di cristallo per predire il futuro con certezza. A maggior ragione, è difficile prevedere gli sviluppi della scienza e della tecnologia, data la loro natura intrinsecamente caratterizzata da un alto grado di “serendipità”. Ma certamente i rapporti di forza complessivi tra USA e Cina, anche tenendo conto delle rispettive sfere di influenza, sono ben diversi da quelli tra USA e Cuba e anche da quelli che prevalevano tra USA e URSS durante la prima guerra fredda.
Riferimenti
– Congressional Research Service 2022, Global Research and Development Expenditures: Fact Sheet Updated September 14, 2022: https://www.oecd.org/sti/msti-highlights-march-2021.pdf.
– Gabriele A., 2020, Enterprises, Industry and Innovation in the People’s Republic of China: Questioning Socialism from Deng to the Trade and Tech War , Springer.
– Gabriele A. e Jabbour E., 2022, Socialist Economic Development In The XXth Century – Challenges One Century After The Bolshevik Revolution (with E. Jabbour), Giappichelli and Routledge, 2022.
– Inkster N., 2022,in Ask the Experts: Is China’s Semiconductor Strategy Working? https://blogs.lse.ac.uk/cff/2022/09/01/is-chinas-semiconductor-strategy-working/.
– Lee J., 2022, in Ask the Experts: Is China’s Semiconductor Strategy Working? https://blogs.lse.ac.uk/cff/2022/09/01/is-chinas-semiconductor-strategy-working/.
– Krugman2022, When Trade Becomes a Weapon, New York Times, Oct. 13, 2022.
– OECD 2021, Main Science and Technology Indicators Highlights on R&D expenditure, March 2021.
– OECD 2022, Main Science and Technology Indicators Highlights on R&D expenditure, March 2022.
– State Council 2022, China rises in global innovation rankings, in http://english.www.gov.cn/policies/infographics/202210/01/content_WS63379c88c6d0a757729e0c95.html.
– Weinstein E.S., 2022, in Ask the Experts: Is China’s Semiconductor Strategy Working? https://blogs.lse.ac.uk/cff/2022/09/01/is-chinas-semiconductor-strategy-working/
– WIPO 2022, Global Innovation Index 2022, https://www.wipo.int/edocs/pubdocs/en/wipo-pub-2000-2022-section3-en-gii-2022-results-global-innovation-index-2022-15th-edition.pdf
– Xinhua 2022, China’s R&D spending intensity builds up in 2021: statistics, in https://english.news.cn/20220901/23f4faf049044f88ae1e25dff4332e50/c.html#:~:text=In%202021%2C%20China%20invested%202.8,in%202021%20released%20on%20Wednesday.