È dal 2022 che non si vedeva uno schieramento così compatto e aggressivo dei principali opinionisti di fede “progressista” contro quello che essi immaginano come una sorta di collateralismo putiniano.
Questa volta il loro attacco si è rivolto contro la Schlein, rea di aver schierato, o di aver tentato di schierare, il PD su posizioni di contrasto al ReArm Europe proposto dalla von der Leyen.
Per orientarsi in questo scontro, che si dice mini dalle fondamenta la credibilità (in progressione) della Schlein, del PD, dell’Italia nel consesso europeo e della stessa UE, occorre chiedersi, con mente serena, di che si tratta e chi abbia ragione.
Il ReArm Europe della von der Leyen si fonda tutto su di una doppia premessa: la minaccia russa verso l’intera Europa e il prossimo abbandono americano del vecchio continente alle mire espansionistiche di Putin.
Non è necessario essere esperti di geopolitica per capire che entrambe queste premesse sono radicalmente insostenibili.
L’idea di una minaccia russa verso l’intera Europa è – come i più autorevoli analisti geopolitici non hanno mancato di illustrare – assolutamente priva di fondamento: se ci son voluti ben tre anni perché la Russia riuscisse ad affermare la propria supremazia sull’esercito ucraino (ancorché sostenuto dall’Occidente), come si può pensare che si proponga di muovere guerra all’intera Europa o anche solo ai paesi baltici, l’una e gli altri protetti – come sono – non solo dall’ombrello NATO ma anche dalla clausola di difesa reciproca dell’art. 42 del Trattato UE? Putin sarà pure un imperialista guerrafondaio, ma non sembra si possa ritenere un pazzo o uno stupido. Mentre le assimilazioni della sua strategia a quella della Germania nazista è molto più che superficiale e del tutto antistorica. Come lo è la similitudine con il patto di Monaco e i Sudeti del 1938. E questo non perché Putin sia da ritenere più buono di Hitler, ma semplicemente perché la sua principale forza militare (l’atomica) è essenzialmente un’arma solo difensiva, perché con 140 milioni di abitanti e un PIL di poco più di 2000 miliardi di dollari non può fronteggiare una UE con 450 milioni di abitanti e un PIL di 18,500 miliardi di dollari e perché, soprattutto, il suo problema non è quello di aver più territorio ma quello, opposto, di aver troppo territorio e poco popolo che lo abiti e che ne valorizzi le grandi risorse.
Tutte queste sono cose già dette e ripetute. Ma il punto è che se anche Putin fosse pazzo o stupido a non reggere proprio è la seconda, e fondamentale, premessa del ReArm, e cioè quella di un prossimo abbandono americano dell’Europa.
Trump può dire quel che vuole, ma nessuno può seriamente pensare che gli USA si accingano a, o possano riproporsi in futuro di, abbandonare il vecchio continente alle mire espansionistiche della Russia. Un’area geopolitica composta da UE e Russia avrebbe una popolazione quasi doppia rispetto a quella degli USA ed un PIL di oltre 18.000 miliardi di dollari, supportati dalle immense risorse naturali siberiane (e quindi con grandi prospettive di sviluppo). Ed è, perciò, assolutamente impensabile che gli USA, il cui grande problema è oggi quello di contenere la Cina (che in atto esibisce un PIL di circa 18.000 miliardi di dollari), favoriscano la formazione di un terzo polo ostile di siffatte dimensioni. Gli USA, dunque, – anche ob torto collo – non possono, né mai potranno, permettere che la Russia conquisti l’Europa o comunque la assoggetti alla sua egemonia. E questo per il loro egoistico interesse e non per antica affezione o comunanza di valori civili. Quel che Trump chiede, e che con esso gli USA chiedono non da oggi, è semplicemente un maggior coinvolgimento finanziario della UE nel costo della difesa del blocco occidentale e, soprattutto, che – giusto o sbagliato che sia – essa si adegui al warning di “non disturbare il guidatore” mentre si accinge a mettere in opera la sua strategia cruciale, quella di impedire che una Russia messa alle corde in Ucraina si consegni nelle mani della Cina, così sommando il suo potere atomico e le sue grandi risorse naturali ad un apparato industriale, quello cinese, formidabile (e competitivo anche sui terreni più avanzati: AI ecc.) e ad una popolazione di poco meno di un miliardo e mezzo di persone.
Poiché questo non è tempo di “sommessi avvisi”, allora bisogna dire, forte e apertamente, che chi di queste premesse si avvale per sostenere la rispondenza del ReArm ad un “interesse esistenziale” dell’Europa o ha smesso di ragionare o non parla in buona fede.
Ma da questa conclusione vengono, inevitabilmente, due interrogativi.
Il primo interrogativo è: perché allora è stato concepito il ReArm Europe?
Le risposte razionali a quest’interrogativo possono essere tre soltanto: o per soddisfare (senza dirlo) la richiesta di Trump di un riequilibrio della bilancia commerciale USA – UE (visto che le armi del riarmo in atto si producono prevalentemente in America); o per occultare il grave deficit politico europeo che l’iniziativa di Trump sull’Ucraina ha messo a nudo; oppure per dissimulare una riconversione dell’industria europea in crisi (soprattutto tedesca e francese) nella profittevole produzione di armi. Non certo per sostenere l’Ucraina perché i tempi della manovra finanziaria e del riarmo sono incompatibili con un tale proposito e, soprattutto, perché è semplicemente illusorio pensare di prendere il posto degli USA nel sostegno militare all’Ucraina senza portarla alla perdizione.
Forse, non sono proprio questi gli interessi più impellenti della UE o, comunque, non si danno tutti in questi termini. Sembra certo, però, che non sia questo il modo di perseguirli (raggirando le opinioni pubbliche europee con l’agitare un pericolo che non c’è).
Il secondo interrogativo è: perché quest’attacco estremo alla Schlein, visto che, alla fine, non ha affatto torto?
Si può immaginare che in esso prenda corpo un comprensibile risentimento per lo scacco che le posizioni più “interventiste” hanno subito in dipendenza dell’andamento della guerra in Ucraina e delle iniziative di Trump.
Ma al fondo c’è altro. C’è il conflitto tra due strategie generali per la politica italiana, quella che conta su di un “PD degli amministratori” e quella che, invece, immagina un “PD del popolo”: la prima che vuole questo partito rivolto verso il centro e “comprensivo” verso le esigenze del mondo produttivo e della governabilità, la quale osteggia ogni rapporto con il M5S e l’altra, invece, rivolta a sinistra, attenta ai problemi dell’eguaglianza e della sostenibilità ambientale e convinta di non poter prescindere da un patto con il M5S.
La prima di queste strategie implica, però, alleanze sociali che non si possono sostenere apertamente nella congiuntura attuale: dinnanzi ad un recupero elettorale “a sinistra” di questo partito ed alla postura di opposizione che in atto esso ha da sostenere. Ed allora insidiare la Segretaria (che seppur tra molte procelle impersona l’altra strategia) sul terreno dell’europeismo e della difesa dei valori di libertà e democrazia era un’occasione che non si poteva perdere.
In tutto questo ragionamento non si è considerato il sincero e disinteressato attaccamento di Stati, partiti e persone a libertà e democrazia, ma questo richiederebbe una discussione su “dove va l’Occidente” per la quale qui non c’è spazio.