IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

L’uomo è antiquato?

È il titolo delle giornate di formazione di Itinerari e Incontri “L’uomo è antiquato?”, che si terranno il prossimo 13 e 14 settembre 2024 a Fano, in collaborazione con la Scuola di educazione alla politica di Fuoricollana.

Un convegno che intenda discutere e approfondire il tema dell’artificiale e del rapporto con la vita umana si presenta come un’iniziativa lodevole ma, allo stesso tempo, estremamente complessa. Ciò perché di artificiale si parla tanto e da prospettive diverse, spesso contraddittorie.

Il senso del nostro interrogarci

Un tema fondamentale e fondante a cui si cercherà di accostarsi tentando di illuminare alcuni nodi critici, al fine di evocare una capacità di giudizio che spesso stenta ad emergere quando si parla del rapporto tra uomo e téchne e delle sue principali conseguenze.

Nel discutere i termini di questo rapporto, si fronteggiano opposte visioni: disperazione ed esaltazione, rassegnazione ed entusiastico conformismo. Entrambi questi atteggiamenti si fondano sulla convinzione che l’umano non possa più invertire la rotta del proprio agire, che non sia possibile più “distinguere” ciò che ci rende migliori da ciò che ci condanna all’estinzione. Si tratta dell’impossibilità di arrestare uno sviluppo tecnologico di cui siamo noi stessi responsabili, ma i cui effetti ci sfuggono di mano.

Questo era già il nocciolo del problema denunciato dal filosofo Günter Anders a metà del secolo scorso, con toni che avrebbero in seguito contribuito a inserirlo nel novero degli allarmisti. Al di là della questione dei toni del dibattito, il filosofo poneva però un problema serio e poco compreso nella sua radicalità: la capacità di sottoporre a giudizio critico l’evoluzione della tecnologia, di riflettere responsabilmente sugli esiti del nostro agire tecnico. Certamente, la risposta che emergeva da tale riflessione enfatizzava i rischi e non i vantaggi di tale condizione. Ma l’aspetto importante, che ci porta oggi a porre come tema del Convegno il titolo della principale opera di Anders, “L’uomo è antiquato”, riguarda proprio il forte richiamo al tema della riflessione, del giudizio, della responsabilità umana (Anders, 2007).

Si tratta di tentare di restituire profondità a un tema che viene sempre più respinto passivamente verso l’ovvietà o il discorso cronachistico. Per questo motivo è sembrato fondamentale inserire nel titolo del Convegno un punto interrogativo che ci sembra rilanciare con forza il discorso di Anders e che rappresenterà lo spunto per aprire la discussione a nuove suggestioni.

Essere antiquati, da sempre.

Da dove partire, dunque? Direi di prendere in considerazione il problema dell’essere antiquato dell’uomo. Possiamo chiederci se è una prospettiva che corrisponde solo all’iper-modernità. Si possono dare due risposte a questa domanda. Si può rispondere negativamente, se l’essere antiquato dell’uomo è inteso nel senso del suo essere sempre antropologicamente in debito con il mondo (Anders, 2015). In questo senso costitutivo l’uomo è sempre fragile, è un vuoto che deve essere continuamente colmato.

La téchne – intesa nell’accezione greca anche come “arte di vivere”, attitudine nel condurre sé stessi, modificando il mondo – è ciò che ci rende animali simbolici, cioè esseri la cui natura è l’artificio e il cui artificio rappresenta una condizione naturale. In questo primo senso, l’uomo si presenta costitutivamente “antiquato”, perché ha continuamente bisogno di costruire un mondo solido che inquadri, normi, istituzionalizzi, organizzi tecnicamente la sua vita, ex-onerandolo da quel vuoto (Gehlen, 2010).

Essere antiquati, perdere il fine

Ma la domanda iniziale presenta per Anders anche una seconda e fondamentale risposta: essere antiquati implica l’incapacità di “sentire” gli effetti del proprio agire, il non essere all’altezza, con il sentimento e con la ragione pratica, di guidare la direzione del progresso della tarda modernità. L’agire tecnico diviene trionfo della ragione strumentale, infinito potenziamento, illimitato ripetersi di azioni mediali prive di scopo. Medialità senza fine e senza fini. La sensazione è di aver innescato un processo che ci ha sorpassato, che ci ha resi schiavi della nostra stessa capacità di agire (Galimberti, 2016, Bodei, 2019).

Un “ambiente” artificiale che ci modifica

Quanto detto conduce a rifiutare in maniera risoluta la tesi della neutralità della tecnologia. La tecnologia non è mai neutra, sia nella prima accezione che nella seconda. La tecnologia ci modifica, non perché sia più intelligente di noi (Floridi, 2022), ma perché ci costringe a modificare il nostro ambiente, per favorire la logica iperproduttivistica, capitalistica, ipertecnologica dell’algoritmo. Questo ambiente, a sua volta, retroagisce su di noi, rendendoci “antiquati”, facendoci adattare a una logica digitale, trasformandoci in anonimi ingranaggi di un sistema che, promettendoci surrogati identitari, relazionali, comunitari, ci sprofonda nel vuoto che dovrebbe ricomporre. Un sistema che ci fa perdere il contatto con la nostra umanità, nel momento in cui, negando la fragilità umana, la riproduce potenziata e deprivata di senso.

Ma smarrire il senso significa anche smarrire la consapevolezza e la responsabilità del proprio agire. È questa assenza di senso, questo annullamento della responsabilità, che gli ambienti tecnologici algoritmici, dall’AI ai social network, producono incessantemente. Ci lusingano, promettendoci l’impossibile, e ci incatenano a quel vuoto da cui veniamo, che non sappiamo più pensare, raccontare, trasfigurare.

Ricostruire il senso

Ciò significa che l’uomo è inevitabilmente destinato a smarrire il fine, a divenire macchina esso stesso, ad accontentarsi di surrogati relazionali?

A partire da questo interrogativo il Convegno di Itinerari e Incontri cercherà di discutere e intrecciare prospettive di riflessione e di ricerca con l’intento, certamente parziale ma comunque importante, di provare a ricostruire un senso, discutendo criticamente le possibili derive e le nefaste conseguenze, così come i molteplici impieghi promettenti delle odierne tecnologie digitali e algoritmiche: dal tema dell’IA ai social network, dalla crisi ambientale al dibattito sul futuro della democrazia.

Riferimenti bibliografici

Anders G., L’uomo è antiquato. Vol.1: considerazioni sull’anima nell’epoca della seconda rivoluzione industriale, Bollati Boringhieri, Milano, 2007.

Anders G., Patologia della libertà. Saggio sulla non-identificazione, Ortholes, Torino, 2015.

Bodei R., Dominio e sottomissione. Schiavi, animali, macchine, intelligenza artificiale, Il Mulino, Bologna, 2019.

Floridi L., Etica dell’intelligenza artificiale. Sviluppi, opportunità, sfide, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2022.

Gehlen A., L’uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo, Mimesis, Milano, 2010.

Galimberti, U., Psiche e techne. L’uomo nell’era della tecnica, Feltrinelli, Milano, 2016.

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