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IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

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IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

L’uso alternativo del diritto 50 anni dopo (terza parte)

Quattro incontri per celebrare un Convegno che è rimasto nel mito. Pubblichiamo la parte introduttiva della relazione di Mario Barcellona al terzo seminario dedicato all'uso alternativo del diritto, svoltosi all'Università La Sapienza di Roma il 16 febbraio 2023 e di cui trovate qui la registrazione completa.

1. Del convegno catanese si son date due letture, entrambe parziali e per questo fuorvianti. Esse si sono fermate al titolo del convegno e gli hanno rivolto due critiche opposte, rispettivamente:
a) la riduzione del diritto a mera strategia politica e, per di più, politicamente ingenua: quei giuristi non si sarebbero resi conto che un uso alternativo del diritto avrebbe destabilizzato le stesse conquiste delle classi subalterne una volta che avessero conquistato il potere (Irti);
b) il carattere incompiuto della svolta che annunciava: il riconoscimento della fondazione giurisprudenziale del diritto rimaneva a metà per il pregiudizio positivistico che ancora bloccava i protagonisti di quel Convegno (Lipari).
In realtà, in quel Convegno le cose non andarono affatto nel modo che entrambe queste critiche lasciano supporre. All’origine di quel Convegno stavano due crisi risalenti, distinte ma che necessariamente si sovrapposero:
una crisi del ceto giuridico, che riguardava lo statuto epistemologico della sua scienza e l’incapacità delle sue categorie tradizionali a reggere il mutamento sociale; una crisi dell’equilibrio politico che aveva retto l’Italia per un quarto di secolo, la quale aveva scatenato un conflitto cruento e minaccioso.
Queste due crisi sollevavano questioni di per loro distinte. Quella squisitamente speculativa del come si riscattava la scienza giuridica dalla “deriva retorica”, cui sembravano condannarla il neopositivismo logico e la filosofia analitica. Quella propriamente politica del ruolo che potevano avere il diritto e i giuristi nel conflitto sociale che si era scatenato.
Su entrambi questi piani l’orientamento, che nel Convegno prevalse, fu del tutto opposto a quello che la sua intitolazione lascia credere.

2. Il Convegno aveva chiamato a raccolta tutte le espressioni del pensiero critico e progressivo sul diritto, la politica e la società. Ma, alla fine, il dibattito finì per addensarsi su quel che la comprensione del diritto poteva attendersi dal pensiero di Marx.
La ragione è stata illustrata benissimo da Antonio Cantaro: solo nel marxismo la questione del rinnovamento dell’arsenale culturale della scienza giuridica e quella del conflitto sociale potevano trovare un “luogo” di unificazione in una teoria generale della società che attraversasse anche l’ordinamento positivo.
Il confronto si accese fra quanti si ritrovavano su posizioni di – per così dire – imperativismo strumentale e quanti, invece, ragionavano in termini di formalismo struttural-funzionale.
La prima di tali due posizioni corrispondeva ad una risalente postura teorica della sinistra giuridica e corrispondeva al modo essenzialmente strumentale nel quale in quel tempo era concepito nel marxismo “ortodosso” il rapporto tra diritto e società: P.I. Stučka e soprattutto A.J. Vysinskij lo avevano teorizzato al meglio.
Questa concezione del diritto non rappresentava altro che il normativismo di H. Kelsen declinato con una sociologia, abbastanza rozza, di stampo marxista.
Essa recitava grosso modo così: poiché il valore precettivo del testo normativo si esaurisce nella contingenza contenutistica del comando, il suo senso si situa interamente al suo esterno; e poiché il rapporto tra interno ed esterno del diritto è retto dalla nuda strumentalità, al testo normativo non si può accreditare alcun fondamento di “verità” e la sua interpretazione ricade nel campo delle scelte di chi la conduceva, nella sua soggettività, a soccorso della quale si dà solo l’ideologia.
A questo background teorico-strumentale si faceva corrispondere – a torto o a ragione – la strategia della “giurisprudenza alternativa”. Sicché è anche verso quest’ultima che si rivolsero le riserve che nel Convegno si avanzarono nei confronti dello strumentalismo interpretativo.
Queste riserve provenivano, principalmente, dai giuristi di estrazione accademica, molti dei quali si ritrovavano già nella rivista “Democrazia e Diritto”, che – è utile ricordarlo – costituiva una sezione dell’Istituto Gramsci.
Ciò che quella nuova generazione di giuristi accademici cercava era esattamente l’opposto di una tal riduzione del diritto a ideologia e del declassamento del loro sapere da scienza ad appendice del Potere o ad arte della convinzione, a “propaganda”. Il loro tema era, piuttosto, come riportare il diritto a ridosso della società senza risolvere quest’operazione in una scelta soggettiva tutta e soltanto ideologica: come evitare “la riduzione del richiamo ai testi di legge a mero espediente retorico … la degradazione del diritto a strumento al servizio di forze che lo trascendono” e come non vedersi costretti alla “rinuncia al proprio ruolo, alla propria storia individuale di tecnici” (…).

Link alla registrazione completa dell’evento

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