IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

Padre Mauro Armanino, diario dal Niger

Le Afriche non accetteranno facilmente di essere svendute alle ideologie dominanti nell’Occidente. Per chi ‘ogni giorno in più è una vita’ non è credibile che il cambiamento di sesso dei bimbi o le bandiere tricolori LGBT siano una priorità.

Qui nessuno ne ha parlato. Il vertice Italia Africa era troppo lontano dalla situazione politica del Paese per sperare di lasciare qualche traccia. Il Niger, dal colpo di stato del passato luglio, è attualmente in ‘osservazione giuridica’ da parte della Comunità Internazionale.

Geografie di sabbia nel Sahel, 4 febbraio 2024.

Numerose, al Vertice, le rappresentanze di Stati africani, organizzazioni e istituzioni finanziarie internazionali, banche per lo sviluppo e vertici dell’Unione Europea. Ancora più numerosi, però, gli assenti come ad esempio la società civile africana, le rappresentanze di migranti e soprattutto quell’Africa profonda che i capi di stato non rappresentano affatto, i poveri. L’ambiguità del Piano Mattei sta tutta nelle parole dell’attuale segretario generale dell’Unione Africana che rilevava l’esclusione dell’Africa al momento di proporre un ‘Piano’ che la riguarda. Quanto all’approccio ‘paritario, non predatorio e non caritatevole, con l’obiettivo di contribuire alla crescita dell’Africa’, per intenderlo basta ricordare gli accordi che l’Italia ha stipulato con la Tunisia e l’Albania.

Senza probabilmente saperlo Constantin arriva in ufficio proprio durante il Vertice in questione. Partito dal Camerun da qualche anno, ha viaggiato nel Mali, la Costa d’Avorio, la Guinea ed ha soggiornato in Gambia e nel Senegal. Seguendo improbabili tracciati ha finalmente raggiunto la Tunisia con l’idea di raggiunger il Paese che ha organizzato il Vertice col suo continente di origine. Ha lavorato come giornaliero per tre anni raccogliendo pomodori e, visto il clima intimidatorio creatosi nel Paese, dormiva sotto gli alberi di olivo. Messi assieme i soldi per i ‘passeurs’ ha tentato per tre volte il mare che ogni volta ha mostrato tutta la sua buona volontà sull’esito del viaggio. L’ultimo tentativo è stato però fatale perché le guardie costiere tunisine l’hanno preso, detenuto, spogliato dei suoi averi e poi abbandonato nel deserto contiguo a quello algerino. Era notte e i militari hanno semplicemente indicato ai migranti le luci che si vedevano brillare, lontano. Lui e i suoi amici hanno camminato di notte e sopravissuto al deserto per quattro giorni.

Raggiunta un’oasi di ristoro e di salvezza, nella prima città algerina dove in seguito soggiornano, sono avvicinati da alcuni militari. Vengono arrestati, accompagnati e poi detenuti in un centro di transito fino alla definitiva espulsione e deportazione nel deserto che finge separare l’Algeria dal Niger. Constantin, giunto a Niamey in camion, si registra presso l’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni e con l’idea di tornare con chi rimane della famiglia che ha lasciato nel Camerun. Spera di arrivare in fretta nel suo Paese per raccontare ai figli, nel frattempo cresciuti con la madre, cosa significhi imparare a memoria la geografia scritta dalla sabbia nei suoi occhi. Lo stesso conta fare Julien, originario dello stesso Paese e sbarcato a Niamey, per noncuranza, dopo il Vertice di Roma. Quasi quarantenne ha lasciato il Camerun nel 2009 per raggiungere il suo futuro. Dopo sette anni passati a lavorare ad Oran in Algeria si sposta a Casablanca nel Marocco. Per due volte tenta invano di raggiungere la Spagna via mare.

Durante il secondo tentativo, nel 2017, la nave fa naufragio e almeno sette suoi amici perdono la vita. Decide allora di raggiungere la Tunisia per tentare il viaggio nell’ Italia del Piano Mattei per l’Africa. Troppo tardi si accorge dell’errore commesso per precipitazione. Tra il Marocco e la Tunisia si trova infatti l’Algeria che colleziona migranti e rifugiati per spedirli nel deserto che tutto copre. Julien, senza documenti, con le medicine scadute e la sua formazione in informatica, chiede di essere aiutato a tornare a casa. Dopo così tanti anni di assenza ritiene che al libro scritto di geografia della sua vita manchi l’ultimo capitolo.

L’ultima dimora di Eto’o, migrante senza fine, Niamey, aprile 2024

Era chiamato familiarmente Eto’o dai compagni viaggio, come il noto giocatore di calcio camerunese. Anche lui, Feliciano, era originario dello stesso Paese e, a suo modo, era famoso nell’ambito delle migrazioni. Partito in fretta per l’Algeria poi dalla Tunisia che aveva raggiunto, si era recato a Doubai e, da lì tornò al suo Paese natale. Ripartito per Doubai una seconda volta aveva conosciuto espulsione col ritorno forzato al Camerun. Dopo qualche tempo, mosso da qualcosa di indefinibile, aveva raggiunto il Ghana e successivamente, con l’amico Giovanni, il Togo anch’esso adagiato sulle coste atlantiche. La voce che li chiamava si trasformava una volta di più in una irresistibile seduzione e, con l’amico hanno raggiunto la frontiera dell’Algeria. Vista la repressione delle autorità algerine nei confronti dei cercatori di utopie, hanno scelto di tornare indietro sullo stesso cammino dell’andata. Giunti a Niamey si sono sommariamente presentati agli altri residenti della diaspora camerunese e si sono in seguito eclissati in uno dei quartieri.

Eto’o ha cercato di curare i dolori atroci che sentiva al dente. In seguito all’assunzione forse esagerata di medicinali antidolorifici venduti in strada è stato costretto a usufruire delle cure di una clinica privata della zona. Nel frattempo le sue condizioni di salute peggioravano e, oltre ai dolori intestinali si era prodotto un blocco renale che rendeva la sua situazione disperata. Raggiunto il Servizio Migranti ormai moribondo è stato accompagnato all’ospedale universitario e operato d’urgenza. Era però troppo tardi e Feliciano è morto all’età di 37 anni a Niamey da due giorni. Il feretro di legno compensato con apposta una croce sulla parte superiore è già pronto. La tomba è stata scavata nel nuovo cimitero cristiano della capitale e solo si aspetta che qualche membro della famiglia lo raggiunga per seppellirlo nella capiente e umile sabbia del Niger. Una croce porterà scritto il nome, la data di nascita e quella del transito migrante più impegnativo. Lui, Eto’o, che ha fatto della sua vita una migrazione e della migrazione la sua vita si è fermato a Niamey.

Oppure no. La casa a forma di tomba scavata nella sabbia carezzata dal vento e seccata dal calore della stagione è l’ultima per chi pensa che la migrazione di Eto’o sia terminata. Molti che l’hanno conosciuto giurano che non è così. Proprio adesso che tutto sembra finito è invece iniziato per Feliciano il viaggio verso ciò che ha sempre sperato, creduto e cercato. Una dimora nella quale i Paesi, le frontiere e il colore del mare si mescolano con le lacrime di gioia di chi ha raggiunto, finalmente, ciò che molti non osano più immaginare. Nel silenzio che circonda il cimitero, il vento porta lontano la speranza che Eto’o ha camminato e che altri incauti avventurieri abiteranno nella sognata terra della libertà.

Impostori di sabbia, Niamey, 21 gennaio 2024

Eppure, il cambiamento era dietro l’angolo. Il mondo vecchio stava scomparendo e bastava una spallata per buttarlo giù. Erano gli anni operai delle assemblee, delle 150 ore retribuite in fabbrica per la licenza media e il testo faro di don Milani ‘Lettera a una professoressa’. Il terrorismo e le manipolazioni della sedicente rivoluzione proletaria. Il sospetto, col tempo, che tutto fosse giocato d’avanzo e che l’italico Paese, colonia degli Stati Uniti Vaticani, divenne preda scelta di manovre eversive delle stragi che avrebbero insanguinato banche, piazze, treni e stazioni. Credevamo che il cambiamento fosse una questione di stagioni.

Lo stesso accade da questa parte del mondo che si suole chiamare Sahel. Una spallata al mondo antico, nato, nutrito e perpetuato dal neocolonialismo, espressione della globalizzazione del mondo come mercato unico. I militari, non casualmente, hanno preso il potere con colpi di stato in vari Paesi dell’Africa Occidentale, Centrale e altrove, spesso. Alcuni si sono camuffati da civili per perpetuarsi. Promettono pure loro un mondo nuovo, liberato da corrotti, faccendieri, venduti agli stranieri e dunque traditori della patria. Finalmente sono arrivati i buoni, i giusti e i giustizieri perché il mondo nuovo era dietro l’angolo.

Finché, in pieno processo di cambiamento o forse ancora fin dall’inizio, sono arrivati loro, gli impostori. Essi sono coloro che si ‘avvantaggiano con l’abituale ricorso alla falsità e alla menzogna’. Questo ed altro recita la definizione di questa parola così evocativa. Le imposture non datano d’oggi e nella storia recente di questo spazio dell’Africa Occidentale si chiamavano colonialismo. Un’impostura ammantata di una vernice di civilizzazione al sapore universale che doveva mettere in rilievo il ‘fardello dell’uomo bianco’, prototipo dell’umano da esportare ovunque. Venne poi l’indipendenza che apparve come l’unica verità della storia.

L’impostura è un ‘vistoso apparato di falsità e di menzogne, un raggiro’, secondo il dizionario consultato per la circostanza. Si è creata il suo spazio e ha preso in prestito l’idea e le possibilità della democrazia. Quest’ultima, spesso orientata e manipolata, non poteva che condurre allo sfacelo che la comunità internazionale e le sue istituzioni economiche classiche hanno concertato. I piani di aggiustamento strutturale degli anni ’80 hanno costituito l’applicazione dell’impostura del sistema volta a normalizzare i recalcitranti per metterli alla scuola del capitalismo totale.

Quest’ultimo è la grande ‘trasformazione’ che regge buona parte del mondo da alcuni secoli ma in particolare da quando, come ben ricorda lo storico e sociologo Karl Polanyi, l’economia si è slegata dalla società. Per rapporti di forza asimmetrici, l’ha poi messa a suo servizio. Da allora l’economia, ha trasformato le relazioni sociali, i sistemi di produzione e, appunto, imposto il mercato come unico pretesto della storia. L’impostura continua e si perpetua grazie ad un uso sempre più consistente di impostori che, con l’abituale ricorso alla menzogna, con-vincono.

Qui da noi, per fortuna, per scelta o per disegno divino, gli impostori sono di sabbia. Appartengono cioè all’universo che costituisce l’orizzonte del nostro mondo. Arriviamo dalla sabbia, nella sabbia viviamo e cresciamo e, prima o poi, dalla sabbia saremo accolti. Proprio quanto accade con le imposture, anch’esse condizionate dalla sabbia e che vengono, malgrado loro, smascherate dal vento. Un vento che il potere non riesce a fermare e che, con caparbia determinazione, smaschera col tempo come alleato, gli impostori che pensano di creare un mondo nuovo con false promesse.

Naufragi africani dell’Occidente, Niamey, aprile 2023

A fare naufragio nel Mediterraneo o l’Atlantico non sono solo i migranti o i richiedenti asilo che allungano l’elenco dei scomparsi nelle acque che uniscono (e separano) i continenti. Ciò che, forse meno palesemente ma non con minori conseguenze, sono i naufragi del continente europeo in Africa o, meglio, nelle Afriche che la costituiscono. Un osservatorio privilegiato di questi processi storici è, tra gli altri, il Sahel dove chi scrive si trova da oltre 13 anni. Un tempo che, ‘abitato’ da avvenimenti come le chiese bruciate di Zinder e Niamey nel 2015, il rapimento dell’amico Pierluigi Maccalli nel 2018 e l’ennesimo colpo di stato del luglio scorso ha offerto emozioni, riflessioni e ricerca di senso. Come tutto qui, peraltro, è un pensiero di ‘sabbia’.

Dopo aver spinto i militari francesi ad abbandonare il Niger è adesso la volta della presenza militare americana e le sue due basi militari ad organizzare una ritirata ‘ordinata e responsabile’ dal paese. Rimangono, patetici, un gruppo di militari tedeschi e, più numerosi, italiani in ‘vigile attesa’ delle decisioni della giunta militare al potere (e dei russi ormai bene installati). Appare surreale quanto l’ambasciata italiana ha organizzato nella capitale Niamey. Si tratta di una conferenza prevista all’università e di una mostra su Pinocchio sullo sfondo del ‘ Design italiano come forza motrice dell’innovazione e creatività’. Già nel passato erano state organizzate le giornate della cucina italiana oltreché dei film italiani d’autore.

C’è naturalmente di peggio nella vita diplomatica di una Paese e nondimeno quanto citato lascia presagire qualcosa del dramma a cui facevo allusione nell’introduzione. Essi si manifestano, dall’osservatorio di ‘sabbia’ del Sahel, con tre tipi di naufragio di cui il primo si trova nello ‘sguardo’. In effetti, malgrado le critiche, i lavori degli antropologi e i cambiamenti occorsi nell’interpretazione delle culture, lo sguardo dell’Occidente sulle Afriche, non riesce a liberarsi dal passato ‘coloniale’. Uno sguardo, quello occidentale, che continua a presumersi unico e dunque in grado di giudicare, dal ‘suo’ centro e punto di vista ogni differenza in fondo intesa come inferiorità rispetto al modello unico europeo.

Forse non si è capito ancora che anche gli africani hanno smesso di parlare con la bocca degli altri e di guardare con gli occhi degli altri. Hanno scelto di usare la propria bocca e i propri occhi per raccontarsi. L’incapacità di mettersi all’ascolto dell’altro è proprio ciò che ha costituito il secondo naufragio dell’Occidente. L’arroganza del potere della tecnica, dell’economia e, non dimentichiamo, delle armi, ha creato la temibile malattia della sordità europea che parla di sé stessa e a se stessa senza mai uscire da se stessa. In tutti questi anni di progetti di sviluppo, assistenze umanitarie e accordi bilaterali il grande assente è stato l’ascolto attento e umile di chi avrebbe potuto salvare l’Europa da sé stessa.

Infine, alla radice dei naufragi giace il grande tradimento che avrebbe comportato lo smarrimento del pensiero e dell’etica ad esso conseguente. Si tratta della drammatica separazione della spiritualità dalla vita quotidiana, la mutilazione non casuale di ogni interiorità, la perdita del sacro, dell’anima e di quanto costituisce la dignità della persona. L’espropriazione di questa dimensione essenziale è stata l’opera fondamentale del capitalismo che il neoliberismo continua a completare. Le Afriche non accetteranno facilmente di essere svenduti alle ideologie dominanti nell’Occidente etico. Per chi ‘ogni giorno in più è una vita’ non è credibile che il cambiamento di sesso dei bimbi o le bandiere tricolori LGBT siano una priorità.

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