IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

Primato dell’umano e culture della Costituzione

Non è più il tempo della politica assoluta, ma un incontro tra laici e cristiani può essere un antidoto contro il grado minimo di tensione ideale dei giorni nostri. Interpellare l’umano scritto nella Carta fondamentale, il senso di ciò che non può essere sacrificato a scopi di vanità, utilità e potenza.

(Ri)vivere la Costituzione

«Avere in sé [lo] scopo” significa “rendersi capace di storia»: così scriveva Hegel nelle sue “Lezioni sulla filosofia della storia”. Oggi possiamo metterla così: senza un vincolo interno, senza un legame affermativo con se stessa una comunità non può esistere politicamente e non è in grado di esercitare alcuna funzione storica. Questa necessità si pone in modo particolare per la nostra Repubblica, che è una Repubblica da rifondare e rivitalizzare a tutti i livelli, contenendo le derive dissolutrici che da più parti ne minano la tenuta. Se è vero che il processo di unificazione nazionale non si è mai del tutto compiuto e che l’Italia è rimasta un Paese solcato da rilevanti divisioni sociali, territoriali e culturali, è altrettanto vero che il grande patto repubblicano post-1946 ha rappresentato un momento spartiacque capace di rigenerare una nuova vitalità politica, nel segno della giustizia sociale e del protagonismo popolare. Tale patto ha retto a lungo, tra mille difficoltà e contraddizioni, almeno fino al biennio 1992-1993, sebbene la prima grande frattura avvenga con il delitto Moro del 1978. Poi la cosiddetta “voce della Costituzione” con la sua spinta propulsiva originaria si è andata affievolendo sempre più, senza però mai sparire, e parallelamente sono venuti meno i soggetti, le culture, i compromessi e i conflitti che avevano tratto ispirazione da essa. L’esito è la profonda e scivolosa crisi di fiducia e legittimità del sistema nel suo complesso dei nostri giorni, cui si è cercato di ovviare alimentando passività sociale, ripiegamento privatistico e apatia politica, complice il ricorso a dosi consistenti di emergenzialismo, pseudo-moralismo e ansietà polemica. Alla base di questa involuzione, come sappiamo, tutta una serie di cause di varia natura, sia interne che esterne: politico-istituzionali, geopolitiche, geoeconomiche, spirituali. Ma se l’urgenza è oggi quella di ridefinire il nesso vincolo interno/vincolo esterno è da quel momento iniziale che non si può prescindere, soprattutto se si tratta di ripercorrere il cammino di un compromesso alto tra culture politiche diverse. Questo significa ripartire innanzitutto dal valore fondante del nesso sovranità democratica-lavoro in rapporto con le promesse di una piena fioritura di libertà e di legami comunitari inscritte nel nucleo sociale e politico della Costituzione repubblicana, il quale nucleo ci parla nonostante tutto del presente, non solo del nostro passato. E il presente è l’articolo 11 con il suo ripudio della guerra di aggressione pure se mascherata, come è accaduto nel recente passato, da operazione di polizia umanitaria; è in un’idea di libertà in relazione, ostile alle logiche della mercificazione e del nichilismo individualista; è in una visione dinamica e cooperativa dell’interesse nazionale che esiste veramente solo se messo in rapporto con la questione sociale, ovvero con la necessità di politiche pubbliche orientate alla piena e buona occupazione; sta infine nella valorizzazione del pensiero critico contro ogni forma di censura e conformismo.

Destra e sinistra oggi

In questa fase storica, per i motivi di cui si è appena scritto, ha certamente più senso rivolgersi ai grandi orientamenti della stagione della rinascita piuttosto che alle categorie egemoni al tempo della crisi, quali ad esempio Destra e Sinistra, che costituiscono oggi una dicotomia sempre più vacillante. Come è ormai evidente, Destra e Sinistra sono categorie con poca presa sulla realtà, che non aiutano, ma anzi sfavoriscono, i processi di comprensione critica dei fenomeni politici: uno schema che, pure se non falsifica la realtà, certamente ne restituisce una visione soltanto parziale e unilaterale. Indubbiamente sono etichette molto meno centrali che in passato nei meccanismi di mobilitazione e identificazione diffusa, differentemente dal tempo del bipolarismo imperfetto della Seconda Repubblica. Basti pensare al dato crescente dell’astensionismo: la contrapposizione tra centro-destra e centro-sinistra, ovvero tra un provincialismo ristretto e corporativo di ispirazione liberal-conservatrice e un moderatismo progressista di ispirazione liberal-globalista, interessa un pubblico di affezionati assai ristretto.

 Attualità e rinnovamento delle culture costituenti

Una volta ridimensionata la centralità della dicotomia Destra-Sinistra, ciò che va fatto è confrontarsi con concetti dotati di maggiore consistenza storico-teorica, per attribuire ad essi e solo ad essi nuovi e più precisi significati: qui il riferimento è alle culture politiche costituenti, quindi alle parole socialismo, liberalismo, popolarismo cattolico, senza però escludere talune letture critiche del canone occidentale di orientamento conservatore o sviluppate a partire da una prospettiva metafisica. Il tutto ricercando contaminazioni inedite tra tradizioni di pensiero diverse, promuovendo sintesi nuove per rispondere a sfide nuove, sfide nuove che però rimandano anche a problemi antichi e originari: il rapporto tra unità e pluralismo, tra particolarità e universalità, tra orizzontalità e verticalità, tra tradizione e progresso, il nesso tra questione democratica, questione nazionale e questione sociale, il rapporto tra dimensione prepolitica, politica e metapolitica, quello tra natura, tecnica e cultura di là da opposti riduzionismi, astrazioni e unilateralità. Si pensi ad esempio all’importanza di un incontro di tipo nuovo tra una prospettiva laica di ispirazione neosocialista e un cristianesimo rinnovato oltre la strettoia tra mondanizzazione accomodante e arroccamento crepuscolare. Tale alleanza va costruita su un terreno in parte diverso dal passato, non solo su temi quali la promozione umana, la pace, la lotta alle ingiustizie, l’opzione per gli oppressi, perché interpella il senso di un’istanza di trascendenza e il senso di ciò non può essere sacrificato a scopi di vanità, utilità e potenza (la pari dignità sociale della persona prima di tutto) e perché incrocia il senso di una forza ad un tempo frenante e propulsiva, in grado sia di contrastare gli effetti della subcultura dello scarto, sia di alimentare un senso positivo dell’oltre, nel nome del senso di ciò che manca, per citare Geminello Preterossi e Jürgen Habermas. Vivere nel mondo, ma non sentirsi mai appagati da questo mondo, si potrebbe sostenere. Senza questo bagaglio di risorse e istanze diventa difficile addomesticare il demone della guerra e non c’è possibilità di avanzare verso una nuova rivoluzione insieme politica e spirituale, che si riferisca cioè, per dirla con Claudio Napoleoni, al “destino dell’uomo e non a suoi particolari problemi”. D’altra parte oggi la partita dell’egemonia non si gioca solo sul terreno etico-politico e materiale, ma anche e soprattutto spirituale, esistenziale. Ancora una volta questione sociale e questione antropologica si implicano a vicenda, all’insegna di un nuovo umanesimo che ci spinga a riconoscere la possibilità di una vita in comune diversa e più elevata.

Un dialogo di tipo nuovo tra laici e cristiani

Si è fatto prima cenno a una idea nuova di socialismo, che possiamo chiamare socialismo popolare e comunitario del buen vivir. Ebbene, Lucio Magri, ne “Il sarto di Ulm”, scriveva che, nell’Ottocento, ad un certo punto, sinistra e movimento operaio si incontrano e da lì ha inizio tutta un’altra storia, con il secondo momento che supera, arricchendolo e arricchendosi, il primo. Quella grande e altra storia, se vuole ritrovare una nuova vitalità, è costretta a confrontarsi con temi, urgenze e pratiche in parte estranei al suo patrimonio di idee ed esperienze, lontani soprattutto dalla sua declinazione più economicistica. Del resto, come ben sapevano autorevoli esponenti della tradizione social-comunista (dal discorso di Palmiro Togliatti del 1963 all’ultimo e penultimo Mario Tronti), c’è dell’altro oltre la critica dell’economia politica: ci sono il nucleo duro della geopolitica e il volto ambivalente e problematico dell’umano, ci sono la logica specifica del politico e la teologia politica, ci sono gli elementi della costituzione prepolitica della cittadinanza e i processi di formazione delle identità individuali e collettive al tempo della cosiddetta “crisi del rappresentato” e della nuova rivoluzione tecnologica e digitale; c’è infine la critica onnicomprensiva della civiltà liberal-capitalistica e la necessità di inserire i motivi di una battaglia egemonica all’interno di nuovi orizzonti di significato, in una connessione profonda con lo spirito, le aspirazioni e l’età del proprio tempo.

Siamo insomma obbligati a reinventarci, a navigare in mare aperto. Il fine di tutto resta però sempre lo stesso: l’umano, il rispetto della sua dignità e la centralità del suo lavoro, e una prospettiva di progresso materiale e spirituale ben sintonizzata con le esigenze profonde delle persone; il tutto ricercando una relazione nuova tra senso del limite e della misura e processo di perfettibilità continua. Il fine è in definitiva un’idea di vita qualificata, all’insegna di un nuova sintesi tra individuo e comunità, tra sovranità statale e interdipendenza globale, oltre il neo-liberalismo e il globalismo; una sintesi capace di promuovere un assetto pluralistico e multipolare delle relazioni internazionali sul piano esterno e di riportare sul piano interno, qui in Occidente, gli spiriti animali del tecno-finanzcapitalismo sotto la direzione del potere politico, in modo inevitabilmente diverso ma non meno efficace di quanto sia riuscito alla Cina in Oriente.

Concludendo, il nostro non sarà più il tempo della politica assoluta, ma non è scritto da nessuna parte che l’esito debba essere per forza il grado minimo di politica, cultura e tensione ideale dei nostri giorni. Che è anche il grado zero di senso storico-dialettico e di spirito visionario, profetico, che sono i grandi assenti di questo presentismo asfittico, malato di ingannevole fanatismo e manicheismo.

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