Sono purtroppo molti i grandi libri del Novecento ancora attuali e che oggi non ricevono più l’attenzione dovuta. Tra questi spicca certamente il testo di Hilferding, che rischia di essere purtroppo dimenticato e non può invece non essere letto: in Italia sono uscite a suo tempo due edizioni (e solo due, almeno a conoscenza dello scrivente): una del ’61, per Feltrinelli, con introduzione, assolutamente imperdibile, di Giulio Pietranera (grande intellettuale di formazione economica, della scuola di Galvano Della Volpe, estremamente critico nei confronti di Hilferding per l’eterodossia politica di questi, ma che per la sua serietà ed il suo rigore si vede, quasi controvoglia, scappare dalla penna, alla fine di un lunghissimo scritto, l’evidenziazione dei grandi meriti dell’autore.) e l’altra del 2011, per Mimesis, con introduzione, anch’essa di notevolissimo pregio, di Emiliano Brancaccio e di Luigi Cavallaro.
Un completamento de Il Capitale di Marx
Il marxista austriaco Rudolf Hilferding, poi spostatosi in Germania, dove diventò esponente di primo piano della socialdemocrazia tedesca e Ministro delle Finanze nella Repubblica di Weimar, nel 1906 aveva scritto “Il capitale finanziario”, uno dei libri di economia più importanti dell’intero Novecento – ed addirittura, a sommesso giudizio dello scrivente, completamento de “Il Capitale” di Marx- in cui descrisse la caratterizzazione finanziaria intrapresa con il tempo dal capitalismo. Secondo Hilferding, tale caratterizzazione, giudicata allora con preveggenza irreversibile, presentava concentrazioni abnormi non fini a sé stesse in un’ottica industriale a metà tra i monopoli e gli oligopoli, ma quale passaggio ad un’eterodirezione dell’economia da parte della finanza: questa aveva ormai improntato i rapporti con l’industria ad operazioni di natura finanziaria pura, con la speculazione non più frutto di iniziativa di persone prive di scrupoli (il tutto poi immortalato, ad esempio nel film Usa “Wall Street”, in modo intenzionalmente travisato), ma oramai attività istituzionale delle banche d’affari e loro “core business”, in modo da assurgere ad elemento costitutivo del sistema nel suo complesso.
Un libro profetico
Tutto ciò è stato confermato dalle dinamiche successive. La crisi del 2008 è stata esemplare in tal senso: si è scoperto che gli strumenti finanziari derivati non a fini di copertura di altri rischi, ma tali da creare fini autonomi senza limiti, né qualitativi né quantitativi, erano di un importo complessivo strabiliante, tale da superare per diversi multipli il PIL mondiale (a dir la verità l’importo andava un poco ridimensionato, in quanto quello strabiliante si riferiva al valore nozionale, vale a dire a quello nominale, mentre in realtà contava esclusivamente il differenziale tra i valori sottostanti effettivi al momento della chiusura del contratto, sia essa alla scadenza od anticipata, ma pur con il ridimensionamento sempre stratosferico) e furono in grado di rendere rovinosa la prima crisi nata nell’anno precedente con i mutui c.d.. “sub-prime”. La crisi ebbe conseguenze sconvolgenti e mise a dura prova il sistema economico e finanziario americano ed occidentale con effetto di trascinamento: fu necessario, per tamponarla, un salvataggio dal livello mai visto e tale da contraddire l’impostazione liberista dominante.
La crisi del 2008
Per inciso, già prima della crisi del 2008, si poteva riscontrare che gli scandali, i “default” e le altre crisi di natura finanziaria, pur minori, avevano acquisito una veste del tutto nuova: esse non erano più imputabili solo a operatori “dubbi”, ma erano ascrivibili alle principali istituzioni bancarie e finanziarie interne ed esterne. Dopo il 2008 le crisi si sono susseguite anche se più controllate e comunque i derivati hanno raggiunto cifre ancora maggiori, sempre nell’ordine di grandezze strabilianti. Ora, in via addirittura ulteriore, sono in circolazione da anni e per cifre incredibili strumenti finanziari ultra-speculativi, presentati artatamente come monete, mentre non vi è alcun obbligo dell’emittente di pagarli. Da anni serpeggia la preoccupazione che la situazione possa esplodere da un momento all’altro, come traspare ad esempio negli ultimi anni nei lavori di uno studioso serio come Nouriel Roubini. Nel 2008 -anzi da qualche anno prima- era emerso un altro elemento preoccupante ed anzi inquietante: con particolari strumenti derivati si potevano far andare in “default” Stati sovrani, come la Grecia, mentre l’Italia fu salvata in “zona Cesarini” e da allora, grazie a Draghi, diventato nel frattempo Presidente della Bce, fu emanata una normativa di controllo solo per quelli relativi a debiti pubblici sovrani europei: così, ancora oggi, addirittura con gli strumenti derivati “tout court”, si può condizionare e manipolare il prezzo di beni fondamentali come grano, petrolio ed adesso gas ed altre fonti di energia, come con la guerra ucraina. Anche qui la situazione si è aggravata ed investe tutta la politica internazionale. Ma non solo: già nel 2008, anzi da qualche anno prima -in Italia piccole imprese ed enti locali furono gettati sul lastrico – era emerso che la maggior parte dei derivati era dal contenuto enormemente abusivo a danno degli utenti, con una sperequazione totale tra rischi e risultati positivi.
La banca che domina lo Stato e il mercato
La principale banca tedesca, la Deutsche Bank – giudicata da un’altra grande figura tedesca, economista, industriale e uomo politico progressista, vilmente assassinato da estremisti di destra nel 1922, Walter Ratheau (che rischia di essere dimenticato ancora più di Hilferding), come perno assoluto della Germania – ha da tempo “in pancia” una cifra straordinaria di derivati esplosivi ed è stato necessario l’intervento dello Stato tedesco, effettuato nel dispregio delle norme europee restrittive dei salvataggi, nel 2015. Ora, le recentissime crisi hanno esaltato il tutto, investendo di nuovo primarie banche. Così sono entrate in cresi diversi istituti statunitensi di media grandezza, mentre il caso più clamoroso è stato quello della Svizzera, dove Ubs, la prima banca del paese, ha provveduto al salvataggio della seconda, Credit Suisse, “in default” per operazioni ultra-speculative, il tutto reso esplosivo e senza rimedio da una immane speculazione in borsa sul titolo – è la finanza che crea e distrugge, anche sé stessa – incorporandola, in modo da far avanzare un colosso bancario dominante sul mercato, con ben oltre il 90% delle quote di mercato e con attivi superiori a quelli dello Stato svizzero. Tale banca domina oggi il mercato e lo Stato. È inquietante l’acquisizione di consapevolezza di come l’analisi di Hilferding, dopo poco oltre cent’anni, abbia trovato rispondenza pratica pressoché totale. Nel suo libro Hilferding evidenziava che alla fine una banca sola avrebbe dominato il mercato: sarebbe così bastato nazionalizzare questa per passare al socialismo. Tutto vero tranne che l’ultimo punto: il capitale finanziario non si fa controllare dal potere pubblico, ma è passato a dominare lo Stato “tout court”, dopo aver fatto lo stesso con il mercato.
L’ “errore” di Hilferding
Sull’errore di Hilferding si è molto ironizzato: essendo lui socialista di sinistra e rivoluzionario convinto, ma fieramente anti-bolscevico, si attirò critiche e strali dal mondo comunista. È stata Rosa Luxemburg l’unica a comprendere che la transizione al socialismo non era affatto inevitabile, alla luce della sostituzione avvenuta, con la prima guerra mondiale, della lotta tra nazioni alla lotta di casse (“Socialismo o barbarie” recita il titolo di una delle sue opere più memorabili) e che in ogni caso la questione internazionale – non del proletariato, ma del capitale – era diventata fondamentale. In sintesi: Hilferding ha compreso quasi tutto, ha individuato “ab origine” il nuovo modello e ne ha segnato le dinamiche, cosa che nessun altro è mai riuscito a fare con tanta precisione; ma nessuno è in grado di dirci su come uscirne. Il capitale finanziario è dominante, occupa lo Stato e detta la politica internazionale e così non è suscettibile di controllo. Esso non può essere guidato e limitato dallo Stato. Ma ha dei punti deboli: guidando l’economia reale e così restando interessato e coinvolto in essa, non può permettersi il prolungarsi “sine die” delle distruzioni che sta compiendo, in quanto, alla fine, vanno anche a suo svantaggio. Invece di ironizzare su Hilferding, è bene che, da parte marxista, si entri nell’ottica di riprendere un’analisi strutturale in termini di stratificazione di classe, tenendo conto dei due elementi che hanno scompaginato le carte rendendo praticabile con difficoltà la teoria di Marx: il capitale finanziario -compreso per primo dallo stesso Hilferding – e la geo-politica – compresa, in un’ottica marxista, da Rosa Luxemburg. e da Otto Bauer (fondatore quest’ultimo dell’austro-marxismo da cui era derivato anche Hilferding), che, nello stesso periodo, preconizzò il “socialismo nazionale”, da unificare a livello di “Stati uniti socialisti d’Europa”. Hic Rhodus, hic salta.