Le elezioni federali tenutesi ieri in Germania aprono ad almeno quattro considerazioni. Cominciamo dalla prima, la sorpresa di cui pochi parlano e che rischia, a torto, di essere presto dimenticata.
L’affluenza alle urne
L’affluenza alle urne non registrava una percentuale così alta dal 1990, e cioè dall’anno della riunificazione tedesca. E questo sembrerebbe suggerire che le elezioni federali del 2025 siano state seriamente considerate dai cittadini tedeschi alla stregua di un appuntamento con la storia: non tanto con quella del 1949 – come pure ha dichiarato il candidato cancelliere Friedrich Merz – quanto con quella del 1989. È sufficiente dare un’occhiata ai dati elettorali: il Paese risulta sostanzialmente diviso in due, con l’Unione che vince a Ovest e AfD che vince ad Est.
Afd vince e raddoppia
La seconda considerazione: AfD è la vera vincitrice della competizione elettorale. Il risultato è esattamente il doppio rispetto a quello conseguito alle elezioni del 2021: dal 10,4% al 20,8%. E ciò potrebbe contribuire a spiegare perché l’affluenza sia stata così alta: l’astensione avrebbe premiato comunque la destra radicale e la sinistra radicale perché chi dà il proprio voto ad una forza politica radicale lo fa con convinzione e non certo per abitudine.
La “carta vincente” di Olaf Scholz
La terza considerazione è collegata alla seconda, nel senso che dalla tornata elettorale escono sconfitti la SPD e i liberali. Mai prima d’ora il partito socialdemocratico tedesco aveva ottenuto consensi così bassi (16,4%). I motivi? Ne parla oggi Mona Jaeger sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung. L’analisi è la seguente: il cancelliere Olaf Scholz ha creduto che quella della mitezza fosse la carta vincente. Lo aveva imparato quando era ministro delle finanze nell’ultimo governo Merkel: occorre sapere attendere, occorre praticare la politica dei piccoli passi. E la crisi pandemica lo aveva convinto che fosse ormai giunta l’ora della socialdemocrazia: dalla Scandinavia al Portogallo, passando per la Spagna, pressoché ovunque. Poi, però, erano sopraggiunte la crisi energetica e la guerra di Putin (che quella crisi aveva acuito). Olaf Scholz aveva provato a risolvere il problema energetico e a gestire la guerra attraverso un fondo speciale per la Bundeswehr: un fiume di denaro preso in prestito che avrebbe dovuto rafforzare la difesa militare tedesca e sul quale si è però abbattuta la mannaia del Tribunale costituzionale federale. Nel volgere di poco tempo, quella crisi sarebbe divenuta economica e, dunque, generale. È facile immaginare che i socialdemocratici imputino ora a Scholz la responsabilità politica del disastroso esito elettorale. Ma, al di là delle vicende politiche che hanno interessato l’Ampelkoalition, questo sarebbe solo un modo per porre in ombra i problemi strutturali che la socialdemocrazia tedesca affronta da anni, come sta a dimostrare il risultato elettorale delle europee del 2024: appena un magro 13,9%.
L’arduo compito di Merz
Infine c’è la quarta considerazione e questa riguarda la CDU/CSU. Un risultato elettorale più che soddisfacente (dal 24,1% al 28,5%), certo; pur tuttavia, esso consegna nelle mani del candidato cancelliere Merz l’arduo compito di formare una coalizione di governo, con una maggioranza che sia solida in Parlamento: un epilogo niente affatto scontato (conseguire il miglior risultato elettorale non equivale ad esprimere necessariamente il cancelliere: è quanto accadde a Helmut Kohl nel 1976) e che comunque non potrà prescindere dal coinvolgere proprio la forza politica maggiormente stigmatizzata dagli elettori: la SPD. Non c’è via di uscita. E Merz è consapevole del fatto che se vorrà governare a lungo, arginando con ciò la crescita di AfD, dovrà fissare nuove regole del gioco e contenere le pulsioni ideologiche della SPD (e magari anche dei Verdi). In altri termini, Merz è consapevole di dover rassicurare più fronti: quello interno, con le due questioni più spinose da risolvere: l’immigrazione e l’economia (con buona pace della transizione ecologica e degli impegni sul clima); quello esterno, con le due questioni più delicate da sciogliere: il futuro dell’Europa (ma quale Europa?) e le relazioni con gli USA di Trump, che, nonostante la Germania continui a preferire il gas russo a quello americano, si trovano a dover proteggere i tedeschi dall’imprevedibilità politica di Mosca. Insomma, la pagina della politica tedesca è ancora tutta da scrivere: le incognite sono molte, le certezze pochissime. Ma è quanto basta per poter con sicurezza affermare che quella pagina sarà nuova e che non resterà affatto bianca.