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IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

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IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

Scholz, il Cancelliere candidatosi alla sconfitta

La pagina della politica tedesca è ancora tutta da scrivere. Le incognite sono molte, le certezze pochissime. E, tuttavia, quella pagina sarà certamente nuova e non resterà bianca. Quattro considerazioni da Berlino di Enzo di Salvatore.

Le elezioni federali tenutesi ieri in Germania aprono ad almeno quattro considerazioni. Cominciamo dalla prima, la sorpresa di cui pochi parlano e che rischia, a torto, di essere presto dimenticata.

L’affluenza alle urne

L’affluenza alle urne non registrava una percentuale così alta dal 1990, e cioè dall’anno della riunificazione tedesca. E questo sembrerebbe suggerire che le elezioni federali del 2025 siano state seriamente considerate dai cittadini tedeschi alla stregua di un appuntamento con la storia: non tanto con quella del 1949 – come pure ha dichiarato il candidato cancelliere Friedrich Merz – quanto con quella del 1989. È sufficiente dare un’occhiata ai dati elettorali: il Paese risulta sostanzialmente diviso in due, con l’Unione che vince a Ovest e AfD che vince ad Est.

Afd vince e raddoppia

La seconda considerazione: AfD è la vera vincitrice della competizione elettorale. Il risultato è esattamente il doppio rispetto a quello conseguito alle elezioni del 2021: dal 10,4% al 20,8%. E ciò potrebbe contribuire a spiegare perché l’affluenza sia stata così alta: l’astensione avrebbe premiato comunque la destra radicale e la sinistra radicale perché chi dà il proprio voto ad una forza politica radicale lo fa con convinzione e non certo per abitudine.

La “carta vincente” di Olaf Scholz

La terza considerazione è collegata alla seconda, nel senso che dalla tornata elettorale escono sconfitti la SPD e i liberali. Mai prima d’ora il partito socialdemocratico tedesco aveva ottenuto consensi così bassi (16,4%). I motivi? Ne parla oggi Mona Jaeger sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung. L’analisi è la seguente: il cancelliere Olaf Scholz ha creduto che quella della mitezza fosse la carta vincente. Lo aveva imparato quando era ministro delle finanze nell’ultimo governo Merkel: occorre sapere attendere, occorre praticare la politica dei piccoli passi. E la crisi pandemica lo aveva convinto che fosse ormai giunta l’ora della socialdemocrazia: dalla Scandinavia al Portogallo, passando per la Spagna, pressoché ovunque. Poi, però, erano sopraggiunte la crisi energetica e la guerra di Putin (che quella crisi aveva acuito). Olaf Scholz aveva provato a risolvere il problema energetico e a gestire la guerra attraverso un fondo speciale per la Bundeswehr: un fiume di denaro preso in prestito che avrebbe dovuto rafforzare la difesa militare tedesca e sul quale si è però abbattuta la mannaia del Tribunale costituzionale federale. Nel volgere di poco tempo, quella crisi sarebbe divenuta economica e, dunque, generale. È facile immaginare che i socialdemocratici imputino ora a Scholz la responsabilità politica del disastroso esito elettorale. Ma, al di là delle vicende politiche che hanno interessato l’Ampelkoalition, questo sarebbe solo un modo per porre in ombra i problemi strutturali che la socialdemocrazia tedesca affronta da anni, come sta a dimostrare il risultato elettorale delle europee del 2024: appena un magro 13,9%.

L’arduo compito di Merz

Infine c’è la quarta considerazione e questa riguarda la CDU/CSU. Un risultato elettorale più che soddisfacente (dal 24,1% al 28,5%), certo; pur tuttavia, esso consegna nelle mani del candidato cancelliere Merz l’arduo compito di formare una coalizione di governo, con una maggioranza che sia solida in Parlamento: un epilogo niente affatto scontato (conseguire il miglior risultato elettorale non equivale ad esprimere necessariamente il cancelliere: è quanto accadde a Helmut Kohl nel 1976) e che comunque non potrà prescindere dal coinvolgere proprio la forza politica maggiormente stigmatizzata dagli elettori: la SPD. Non c’è via di uscita. E Merz è consapevole del fatto che se vorrà governare a lungo, arginando con ciò la crescita di AfD, dovrà fissare nuove regole del gioco e contenere le pulsioni ideologiche della SPD (e magari anche dei Verdi). In altri termini, Merz è consapevole di dover rassicurare più fronti: quello interno, con le due questioni più spinose da risolvere: l’immigrazione e l’economia (con buona pace della transizione ecologica e degli impegni sul clima); quello esterno, con le due questioni più delicate da sciogliere: il futuro dell’Europa (ma quale Europa?) e le relazioni con gli USA di Trump, che, nonostante la Germania continui a preferire il gas russo a quello americano, si trovano a dover proteggere i tedeschi dall’imprevedibilità politica di Mosca. Insomma, la pagina della politica tedesca è ancora tutta da scrivere: le incognite sono molte, le certezze pochissime. Ma è quanto basta per poter con sicurezza affermare che quella pagina sarà nuova e che non resterà affatto bianca.

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