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cultura politica e costituzionale

IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

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IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

Società della prestazione e Scuola della Costituzione

I dogmi della nuova religione civile, la prestazione e il successo. Non serve fare bene, ma fare meglio degli altri. La formazione del capitale umano che prende il posto della formazione del cittadino. Tornare alla Scuola “organo costituzionale”, realmente aperta a tutti.

Il principio normativo del capitalismo neoliberista è riassumibile nel concetto di prestazione. Con questo termine non si intende soltanto una prestazione d’opera in una certa attività, ma anche il livello di rendimento con cui tale attività è stata svolta. Così, già nel linguaggio ordinario, si può stimare il livello della prestazione su una scala ordinale, dalla prestazione eccellente a quella scadente, attraverso una serie di gradi intermedi. La prestazione esprime la competenza dell’agente (o più semplicemente la sua capacità), e ne rappresenta il correlato oggettivamente rilevabile. Pertanto, le prestazioni sono confrontabili su una metrica comune, e tale comparabilità istituisce lo spazio della competizione.

Non basta fare bene, ciò che conta è fare meglio degli altri

Il principio normativo del neoliberismo, infatti, non è semplicemente quello della prestazione competente (cioè, adeguata allo scopo da conseguire), bensì quello della prestazione eccellente. Il criterio di quest’ultima non è solo l’efficacia rispetto all’obiettivo, ma anche il vantaggio comparativo rispetto alle prestazioni di altri soggetti. Detto alla buona: non basta fare bene, ciò che conta è fare meglio degli altri. Secondo l’ideologia neoliberista, la competenza, la prestazione e la competizione formano il motore della vita socioeconomica. Sorge così il culto della prestazione e del successo, che diventano dogmi della nuova religione civile. E tutto questo investe anche la scuola e il sistema formativo.

Prima di passare alla scuola, diamo però un cenno più circostanziato all’ideologia neoliberista.

Una rivoluzione passiva in senso gramsciano

Il neoliberismo ha conquistato l’egemonia politico-culturale tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta del secolo scorso. Negli anni Ottanta, con i governi Thatcher in gran Bretagna e la presidenza Reagan negli Stati Uniti, il neoliberismo si è inizialmente presentato nella forma di un ritorno al laissez faire, contro le precedenti legislazioni sociali socialdemocratiche. Negli anni Novanta, le Sinistre europee si sono convertite a una soluzione neoliberista temperata da alcune misure di attenuazione degli esiti socialmente disgreganti della competizione economica. Tale soluzione ha trovato espressione tipica nella Terza via di Blair, che ha avuto in Giddens il suo teorico. In realtà, ciò ha prodotto una “rivoluzione passiva” (nel senso di Gramsci), in quanto di fatto il neoliberismo ha addomesticato la propria antitesi (la socialdemocrazia), assimilandone solo alcuni elementi molecolari, e conseguendo così una sostanziale egemonia politico-culturale. Parallelamente sono prevalse le impostazioni ordoliberiste, che lungi dall’aderire al vecchio principio dello stato minimo, hanno portato avanti l’idea di uno stato forte, da occupare e da usare per imporre una costruzione giuridica del mercato, che vede il principio di concorrenza allargarsi a tutta la vita sociale. Tutte le sfere di quest’ultima devono, cioè, essere regolate dalla competizione. Un secondo importante principio è quello di autoresponsabilità: l’individuo è il solo responsabile delle proprie prestazioni, e quindi ognuno ha quello che si merita. I perdenti devono incolpare soltanto sé stessi. L’ideologia meritocratica diventa perciò un aspetto rilevante di questo quadro. In questo modo, il neoliberismo rappresenta anche un progetto pedagogico.

 Un nuovo tipo umano

Come ci ha insegnato Gramsci, l’egemonia si riflette nella capacità di modellare il senso comune. Il neoliberismo ha perseguito, e in buona misura realizzato, questa trasformazione del senso comune, un cambiamento dei modi di sentire e di pensare della massa secondo linee conformi ai propri dogmi competitivi e meritocratici. Inoltre, esso tende a formare un nuovo tipo umano: l’imprenditore di sé stesso, dotato di competenza, di intraprendenza, di spirito competitivo. Un tipo umano che si lega anche a una nuova economia del desiderio: al pathos del successo e dell’autoaffermazione, all’immaginario di un’esistenza improntata alla libertà e alla creatività.

Secondo i fautori del neoliberismo, tutto questo dovrebbe massimizzare l’efficienza e la produttività del sistema socioeconomico, incrementando il benessere sociale. In realtà, le cose sono andate diversamente. Si è prodotto un grave peggioramento delle diseguaglianze socioeconomiche, evidenziato dai lavori dell’economista Piketty. Si è verificata quella che Crouch ha definito come una deriva post-democratica: la democrazia ha subito uno svuotamento, si è ridotta a guscio formale; sono diventate predominanti le tecnocrazie, con la conseguente disaffezione dei cittadini dalla partecipazione politica. È avvenuto un processo di atomizzazione della società, uno sfaldamento del suo tessuto comunitario, che ha visto dilagare l’individualismo egoistico, l’indifferenza alle sorti degli altri (si vedano i lavori di Bauman).

L’epoca delle passioni tristi

Si è registrato un mutamento del clima culturale. Benasayag e Schmit hanno parlato di avvento dell’“Epoca delle passioni tristi”: il futuro non è più una promessa, bensì una minaccia. Il futuro scatena timori, provoca ansia, angosce; la paura del fallimento è diventato una vera e propria patologia sociale. Infine, il predominio dell’ideologia meritocratica ha prodotto l’umiliazione e il risentimento delle masse dei perdenti, e questo – secondo Sandel – starebbe alla base delle odierne proteste populiste e dei loro esiti politici di destra.

In ogni caso, il neoliberismo cerca di conformare tutte le sfere sociali secondo la propria ideologia. Così, esso ha esercitato una costante pressione sui sistemi scolastici europei per un allineamento alle richieste del capitalismo globalizzato.

L’allineamento dei sistemi scolastici europei

Questa pressione è sorta nel corso degli anni Ottanta. La sua genesi è individuabile negli Stati Uniti, quando Regan incaricò una commissione di redigere un rapporto sulla qualità dell’istruzione. Tale rapporto – intitolato A Nation At Risk (1983) – manifestò preoccupazione per la qualità del sistema americano, raccomandando misure volte a stimolare l’eccellenza tramite la severità della valutazione. Il cambiamento del vento fu colto dal volume di Bottani (1986): La ricreazione è finita. Dibattito sulla qualità dell’istruzione. Secondo Bottani, le riforme degli anni Sessanta-Settanta volte a realizzare l’eguaglianza e la democraticità dell’istruzione avevano fallito. La scuola non solo non aveva garantito una maggiore uguaglianza, ma non è più riuscita nemmeno a tutelare la qualità dell’istruzione. Pertanto, risultava necessario abbandonare il riformismo egualitario per occuparsi della qualità dell’istruzione. Negli anni Novanta, rapporti internazionali come il Libro Bianco della Crésson (1995) e il Rapporto Delors (1997), pur rammentando la funzione democratica della scuola, si ponevano ormai in un altro quadro: quello di una scuola neoliberista.

In questo quadro, la funzione della scuola è quella della formazione del capitale umano, ossia, dello stock di conoscenze e di competenze necessarie per garantire la competitività delle imprese e del sistema-Paese. Infatti, nell’economia globale fondata sulla conoscenza questo tipo di capitale è diventato il principale fattore della produttività. L’educazione viene così ridotta alla formazione del produttore. Inoltre, la stessa scuola viene vista come un’azienda, e quindi si pensa che la competizione sia il volano della sua produttività formativa. Pertanto, si cerca di mettere in concorrenza tra loro gli istituti scolastici, gli insegnanti, e soprattutto gli studenti. La gara meritocratica deve innervare precocemente la vita dei giovani, per conformarli al nuovo tipo umano promosso dal neoliberismo.

Tornare alla Scuola della Costituzione, alla sua pedagogia

In questo modo, però, viene messa in secondo piano la formazione del cittadino; del cittadino dotato di autonomia di giudizio, di spirito critico e di capacità di partecipazione attiva e consapevole alla vita politica. Nella scuola prevale la formazione al conformismo e alla passività politica. Inoltre, la dottrina del capitale umano riduce l’uomo a strumento della crescita economica, violando un principio fondamentale di una pedagogia democratica, secondo il quale lo sviluppo intellettuale ed etico-sociale del giovane è un fine in sé stesso, non un mezzo per l’economia.

Di fronte ha questa caduta di senso della formazione scolastica, appare allora necessario tornare all’ispirazione di una Scuola della Costituzione. Una scuola che, come aveva visto Calamandrei, sia concepita come un “organo costituzionale”, volta a promuovere la realizzazione dei principi e dei valori della nostra Carta. A questo possiamo però dare solo un cenno.

Nello stabilire che “La scuola è aperta a tutti”, il primo comma dell’art. 34 della Costituzione fonda un diritto all’istruzione di carattere universale. Il suo senso emerge pienamente dalla connessione con il secondo comma dell’art. 3, che fissa un principio di uguaglianza sostanziale, attribuendo alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli che “impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. In rapporto a ciò, la scuola è un “organo costituzionale”, in quanto rappresenta lo strumento con cui promuovere fattivamente il pieno sviluppo della persona, e la piena capacità di partecipazione attiva e consapevole dei cittadini alla vita politica democratica. Pertanto, tale diritto non va interpretato in senso meramente formale (come semplice possibilità di frequentare la scuola), bensì sostanziale: come diritto ad essere istruiti, a ricevere un’istruzione adeguata da parte di tutti.

Il fatto che questa promessa di emancipazione e di promozione umana universale non sia ancora adempiuta, e oggi subisca anzi i colpi dell’ideologia neoliberista, significa soltanto che occorre continuare la battaglia politico-cultura per la sua piena realizzazione.

Riferimenti bibliografici

Bauman (2001), Voglia di comunità, Laterza, Roma-Bari.

Bauman 2002), La società individualizzata, Il Mulino, Bologna.

Besayag, G. Schmit (2007), L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, Milano.

Bottani (1986), La ricreazione è finita. Dibattito sulla qualità dell’istruzione, Il Mulino, Bologna.

Calamandrei (1950), Difendiamo la scuola democratica, in Id., Per la scuola, Sellerio, Palermo 2008.

Calvano, Scuola e Costituzione, tra autonomie e mercato, Ediesse, Roma.

Cingari (2020), La meritocrazia, Ediesse Futura, Roma.

Cresson (1995), Libro Bianco. Insegnare e apprendere: verso una società conoscitiva, Commissione europea, Bruxelles.

Crouch (2003), Postdemocrazia, Laterza, Roma-Bari.

Dardot, C. Laval (2013), La nuova ragione del mondo. Critica della razionalità neoliberista, DeriveApprodi, Roma.

Delors (1997), Nell’educazione un tesoro. Rapporto all’Unesco della commissione internazionale sull’educazione per il Ventunesimo Secolo, Armando, Roma.

Dewey (2012), Democrazia e educazione, Sansoni, Firenze (1916).

Foucault (2005), Nascita della biopolitica. Corso al Collège de France (1978-1979), Feltrinelli,

Giddens (1999), La terza via, Il Saggiatore, Milano.

Gramsci (1975), Quaderni del carcere, Einaudi, Torino (st. 1929-1935).

Piketty (2014), Il capitale del XXI secolo, Bompiani, Milano.

Sandel (2021), La tirannia del merito, Feltrinelli, Milano.

Scuola di Barbiana (1967), Lettera a una professoressa, Editrice libraria Fiorentina, Firenze.

[Il testo è una rielaborazione della Relazione svolta ad Urbino il 28 febbraio 2024, nell’ambito del seminario, promosso dall’Istituto Gramsci Marche , “La società della prestazione”]

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