I risultati negativi per il complesso delle forze di sinistra alle elezioni amministrative del 28 maggio sono stati letti dai media dei partiti di destra come espressione inequivocabile di un cambiamento del ciclo politico che anticipa l’imminente ritorno al potere del Partito popolare, l’arrivo al governo di VOX, la fine del sanchismo e delle politiche sperimentate dal governo della coalizione progressista. I media meno allineati con la destra e alcuni commentatori danno un significato diverso del cambio di fase: fine dell’impulso politico generato dal movimento del 15 maggio, fine del bipartitismo, declino irreversibile di Podemos, allontanamento dal potere della sinistra.
L’agenda del Partito popolare
Quali sarebbero le conseguenze del cambio di ciclo? L’agenda che il PP ha snocciolato nei giorni successivi al suo trionfo elettorale è inquietante; praticamente annuncia la fine delle riforme del governo, soprattutto quelle riferite al femminismo, ai diritti delle persone (aborto, eutanasia), alla politica economica, alla democrazia (legge sulla memoria storica). La profondità della controffensiva del PP è aggravata dalla pressione di VOX, che vorrà senz’altro imprimere il suo marchio. E, dunque, un aumento del controllo sociale, un irrigidimento autoritario che porrà la Spagna alla testa del movimento conservatore che si sta verificando un po’ in tutta Europa.
Le rimozioni della sinistra
Questo orizzonte amaro è al momento addolcito dall’unità della sinistra (sancita il 9 giugno) che alimenta la speranza che non tutto sia ancora perduto. Speranza alimentata dai risultati elettorali del 28 maggio. Contrariamente all’idea diffusasi subito dopo le elezioni, il PSOE, nonostante la sconfitta, ha subito un’usura relativa e il PP non cresce in modo spettacolare (essendosi soprattutto verificata una ricomposizione dello spazio della destra, con l’assorbimento del voto di Cuidadanos, un partito che è praticamente scomparso). Pertanto la novità di Sumar potrebbe compensare la rovinosa caduta di Podemos, così come il declino meno drammatico del resto delle formazioni che ora compongono la coalizione di Sumar. Anche se gli effetti di questi dati sono ancora tutti da misurare.Il dibattito nel Partito socialista non è stato profondo, nonostante le circostanze lo richiedessero. Nel PSOE la convocazione delle elezioni ha escluso ogni dibattito sulle cause della debacle elettorale. Alla sua sinistra l’opinione maggioritaria propende per considerare Podemos un ostacolo per le sorti della sinistra. Una demonizzazione alla quale non si accompagna alcuna considerazione o critica dell’operato di queste forze nel loro complesso.Prevale l’idea, a nostro avviso sbagliata e pericolosa, che le istanze al centro del movimento degli “indignados” non costituiscono più una priorità e che il loro accantonamento è reso necessario dall’inevitabile fine del ciclo che segna i risultati del 28 giugno. In realtà, quelle istanze incarnavano le esigenze di ampi settori della cittadinanza spagnola in materia di sanità, istruzione, pensioni. E il fatto che esse sono rimaste in parte insoddisfatte non autorizza il loro oblio che contribuirebbe, anzi, ad approfondire il declino della sinistra spagnola.Probabilmente, le politiche messe in campo in questi mesi non sono state alimentate da una adeguata mobilitazione e partecipazione delle classi popolari. Ciò ha notevolmente facilitato la radicalizzazione demagogica del dibattito politico e fatto sì che i successi economici e sociali del governo di coalizione non abbiano avuto peso sui risultati elettorali.
La narrazione mediatica del sanchismo
Un altro elemento, tutt’altro che trascurabile, è il discorso dominante nei media. La demonizzazione del governo e delle sue politiche, un anti-sanchismo ideologico che è stato l’unico ed unificante motto della campagna della destra: l’enfasi sulla sicurezza, l’irruzione dell’ETA nella campagna elettorale, la difesa della proprietà contro la “deriva comunista” del Governo (le politiche per la casa, la tassazione sulle banche e sulle società energetiche per i loro profitti eccessivi derivanti dalla guerra ucraina) hanno eclissato il lavoro fatto dal governo.Infine, ha pesato non poco l’immagine di un governo diviso e, quindi, debole. Una delle questioni che ha alimentato questa immagine è stata la guerra in Ucraina. L’allineamento atlantista del PSOE e del presidente del governo, la narrazione di Podemos come compiacente con la Russia hanno privato di la legittimità qualsiasi approccio pacifista. La pace come principio di intervento internazionale è stata disprezzata e i suoi sostenitori sono stati rappresentati come traditori della causa della giustizia internazionale e dei diritti dell’Ucraina. La coesistenza della prospettiva pacifista e dell’atlantismo militarista, oltre ad essere incompatibile ha aperto un fronte di critica al Governo sostenuto dal discorso maggioritario dei media. Un discorso che ha presentato il PSOE sanchista come una rottura con la tradizione centrista del socialismo, come un partito ebbro di radicalismo. E la destra come difensore dei valori fondamentali della società occidentale messi in pericolo dai “comunisti” installati al governo.
La deriva politico-identitaria della sinistra
L’apertura di questo fronte di critica da parte delle destre è legata, per tanti versi, ad una deriva politica e identitaria del discorso delle sinistre. Ci riferiamo anche ai limiti dell’azione governativa derivanti dalla supina accettazione del progetto europeo. La moderazione della disciplina fiscale, frutto dell’esperienza della precedente crisi finanziaria, è stata di fatto rappresentata come un male minore. I risultati elettorali mostrano che questo discorso è risultato tutt’altro che entusiasmante e mobilitante. Gli “scudi sociali” concordati dal Governo sono state soluzioni emergenziali che hanno interessato un numero esiguo di cittadini rispetto alla popolazione a cui erano destinati, come dimostra, ad esempio, quanto accaduto con il Reddito minimo vitale. È vero che la riforma del lavoro ha rotto con le precedenti dinamiche di regolamentazione del mercato del lavoro e ha aumentato il numero dei lavoratori a tempo indeterminato, ma è anche vero che il precariato continua ad essere la situazione di gran lunga prevalente nel mondo del lavoro.La situazione del mercato immobiliare, nonostante la nuova legge, continua ad essere un grosso problema per una parte considerevole della popolazione. L’eccezione iberica ha avuto effetti positivi, ma non ha risolto il problema del prezzo dell’energia. E questo si potrebbe dire per molte altre questioni (a partire dall’inflazione), anche se è vero l’argomento che se la crisi fosse stata gestita dalla destra la situazione sarebbe oggi molto peggiore.La frammentazione della sinistra fa, tuttavia, apparire i gruppi minoritari come nuove élite burocratizzate preoccupate della propria autoconservazione. Anche perché le mobilitazioni registrate nei conflitti della salute e dell’istruzione si sono prodotte nella dinamica di reazioni spontanee estranee all’impulso delle azioni di governo. Abbiamo già fatto riferimento all’accettazione da parte della coalizione dei vincoli europei che sostanzialmente rimangono immutati. Questo può portare, nel prossimo futuro, a ulteriori processi di disaffezione. Basta pensare agli effetti che potrà avere il recupero dei principi del Meccanismo europeo di stabilità (MES), all’inizio del prossimo anno. Il complicato scenario sociale che può crearsi è confermato dalle dichiarazioni reiterate delle istituzioni europee con il supporto della Banca di Spagna.
Il nodo dei vincoli europei
Vale la pena soffermarsi su questa questione perché può condizionare il prossimo futuro del progetto unitario della sinistra. L’accettazione acritica dei vincoli sovranazionali alla politica economica è sostenuta dal diffuso discorso di una futura riforma dell’Unione e delle sue regole fiscali che creeranno una nuova Europa. Il rafforzamento dell’UE appare come un sogno volontarista. Dal punto di vista economico, viene mantenuta la sostanziale continuità del progetto economico dei Trattati: le misure eccezionali di flessibilità della disciplina fiscale, l’iniezione di risorse economiche per favorire la ripresa dopo la pandemia e la guerra ucraina non costituiscono in alcun modo un cambio di paradigma. L’annuncio della fine degli aiuti per il finanziamento degli Stati e l’acquisto del loro debito che l’UE ha concretizzato, comporterà un inasprimento e un ribaltamento delle condizioni di finanziamento di questi su cui verranno applicate le regole inalterate dei Trattati. L’annuncio della Commissione che quest’anno torneranno ad essere applicate le regole fiscali del Patto di stabilità ci pone di fronte all’applicazione della normativa su deficit e debito e alle misure disciplinari per il loro controllo.Per questo sorprende che nel nostro Paese la ratifica della riforma del MES non sia stata oggetto di alcun dibattito, come se la sua riforma significasse la fine dei principi e dei contenuti della sua prima versione del 2012. Il MES, un meccanismo intergovernativo al di fuori dell’ordinamento giuridico dell’Unione Europea, entrerà in vigore dopo la ratifica dei firmatari (manca solo la ratifica dell’Italia). Anche se, secondo l’opinione della maggioranza, non è una soluzione ai problemi causati dall’applicazione della versione originaria, ma piuttosto il contrario: il MES stabilisce, infatti, più rigore nei meccanismi di monitoraggio e controllo dei piani di adeguamento strutturale e mantiene integralmente le regole e i principi del Patto di Stabilità.Come sottolineato nel manifesto firmato da una parte importante dei giuspubblicisti italiani (il 20 dicembre 2022) la ragione più ricorrente addotta a sostegno della riforma è la sua funzionalità per completare l’unione bancaria che è invece piuttosto discutibile. La sua entrata in vigore non farà, invece, che aggravare i problemi economici dei paesi membri (con un ritorno all’austerità) e sanzionare la divisione nord/sud dell’Europa, condannando la periferia a un aumento delle tensioni sociali.
Unire il paese e correggere la deriva identitaria
È questo il prossimo scenario che un ipotetico nuovo governo di coalizione dovrà affrontare se non si avvereranno le previsioni più fosche che, però, sembrano le più probabili. Anche perché la coalizione attorno a Sumar è ancora un mosaico di interessi ampiamente dispersi che, in molti casi, è motivato dalla logica della sopravvivenza in spazi territoriali in potenziale conflitto.Il primo compito dovrebbe essere quello di costruire un progetto comune per l’intero Paese che non sia l’aggregazione disordinata di istanze provenienti da vari settori. Il secondo correggere la deriva identitaria trasmessa socialmente fino ad oggi. Va inteso che non si tratta di abbandonare l’ispirazione femminista che ha permeato l’azione di governo della componente non socialista della coalizione, ma di presentare come priorità i problemi sociali ed economici e, soprattutto, rendere visibile questa opzione.La sinistra del PSOE deve legarsi all’attività vitale delle sue basi di appoggio, recuperare la mobilitazione e la strada come forma di autocostruzione, soprattutto nello spazio delle rivendicazioni sociali. In questo senso, Sumar ha un evidente vantaggio poiché la sua leader (Yolanda Díaz) proviene da quella tradizione e ha stretto stretti rapporti con il movimento sindacale che deve rafforzare e stimolare. Allo stesso modo, deve superare i limiti della politica economica e sociale imposta dall’UE, che fino ad ora apparivano indiscussi, ponendosi come rappresentanza degli interessi generali della società e del lavoro. Insomma, rifondarsi come forza di sinistra.In ogni caso, a prescindere dalle traversie del processo di ricomposizione della sinistra in Spagna, esso si svolge in un contesto complesso e sfavorevole sui cui pesano i risultati negativi delle elezioni amministrative e regionali. È un precedente che genera euforia e alimenta la speranza di una imminente vittoria per la destra ricostituita. La crisi del 2008 ha portato a mettere in discussione il modello liberale e la necessità di un’alternativa. Si sono materializzate due opzioni politiche polarizzate: l’idea socialdemocratica favorevole all’intervento dello Stato e la proposta inversa di un capitalismo che punti ad una rafforzata autonomia del mercato e al rifiuto delle politiche redistributive, proposta che trova oggi la sua espressione politica in forme autoritarie. Ed è questo il dilemma che è in gioco nei prossimi anni e che ha come riferimento imprescindibile il “laboratorio italiano”.