IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

Spagna, tiempo comprado

C'era il rischio che il ciclo aperto con il voto del 15 maggio segnasse un ritorno all’epoca precostituzionale. Un brivido ha scosso l’anima della sinistra spagnola, ma pesa l’incognita sulla tenuta della coalizione progressista. L’Europa, la grande assente della campagna elettorale. E ora?

C’era partita. Dopo il colpo inatteso dei risultati delle elezioni amministrative e regionali, l’indizione delle elezioni generali si è rilevata un’abile manovra tattica del presidente Sánchez che ha ottenuto i seguenti risultati: a) spegnere l’euforia del Partito Popolare per la sconfitta socialista e per la conquista del potere nei governi territoriali; b) prevenire l’indebolimento della legittimità del Governo dovuta al contrasto tra la composizione del Parlamento e la nuova realtà socio-politica spagnola; c) svalutare politicamente il trionfo elettorale del PP, trasformandolo in un primo turno che necessitava di ulteriori conferme; d) evitare, nei restanti mesi di legislatura, lo straziante calvario di rivendicare l’anticipo di una nuova data elettorale; e) confidare che la formazione dei governi locali e regionali mostrasse l’intensità dei legami politici, astutamente nascosti o negati, tra il Partito Popolare e Vox.

Un brivido ha scosso l’anima della sinistra spagnola

L’aspettativa di Sanchez è stata largamente soddisfatta. Il raccapricciante spettacolo di un avido accesso al potere ha palesato molte contraddizioni. La ciliegina sulla torta sono state le concessioni programmatiche in tema di parità, l’ostilità nei confronti dei gruppi LGTBI e, infine, la censura promossa dai consiglieri di Vox che prevedevano una fase di persecuzione culturale che andava oltre il mero confronto (molestie permanenti). Questi fatti hanno reso più facile per la sinistra spagnola prospettare un futuro buio nel caso in cui l’estrema destra avesse conquistato la maggioranza con l’appoggio del Partito popolare. Un brivido ha scosso l’anima della sinistra spagnola. L’attacco alle libertà e il ritorno del lato oscuro della storia non erano più solo un sogno propagandistico ma una minaccia reale e imminente che doveva essere evitata. Il verbo si fece carne ed evidenziò la sua nocività. Sebbene il ciclo aperto dal Movimento 15 maggio si fosse concluso, c’era il rischio che si chiudesse anche il periodo iniziato nel 1975 e si aprisse una nuova fase: un ritorno all’epoca pre-costituzionale.

Certo, il blocco progressista non stava affrontando la nuova contesa elettorale nelle migliori condizioni. Al sapore amaro della sconfitta, si aggiungeva lo stupore per l’insufficienza delle riforme intraprese in circostanze complesse, la sottovalutazione delle difficili condizioni della pandemia, l’irrilevanza della prosperità economica che ha permesso di presentare un bilancio relativamente soddisfacente in termini di occupazione e crescita. E, soprattutto, il non aver saputo valorizzare un’agenda riformatrice che comprendeva il rafforzamento dello scudo sociale, il consistente aumento delle pensioni e del salario minimo, l’attuazione del reddito di base universale, la riforma della legislazione del lavoro, il rafforzamento della negoziazione sindacale, la tassazione sugli utili straordinari di impresa “caduti dal cielo”, la proiezione internazionale del presidente Sánchez sulla politica europea dell’energia, la disciplina normativa in materia di libertà (aborto ed eutanasia), il fermo impegno a favore della parità di genere. Con grande sorpresa si è constatato che questi molteplici risultati erano stati oscurati dal sentimento dell’“antisanchismo” e dalla volntà di cancellare i suoi avanzamenti, “contaminati” dall’appoggio ricevuto dagli “indipendentisti e terroristi” che miravano alla distruzione della Spagna.

Gli avvertimenti sul rischio di una futura comunione politica tra destra radicalizzata ed estrema destra erano stati ignorati da un settore della sinistra che si è astenuto e ha così favorito l’ascesa della destra nei governi territoriali. Allo scoramento morale emerso dopo la sconfitta elettorale nelle elezioni regionali si è aggiunta la dimostrata insufficienza e inutilità delle argomentazioni del blocco progressista, sottovalutate dalla maggioranza del corpo elettorale. Sembrava, quindi, un’illusione cercare una rivincita di fronte a una destra convinta del suo futuro brillante.

Tiempo comprado

Abbiamo scelto il titolo di un’opera di Streeck (in spagnolo “Tiempo comprado“) per inquadrare le riflessioni sulle elezioni generali in Spagna del 23 luglio 2023. Aiuta molto a riassumere la situazione post-elettorale della sinistra. Riflettere sui risultati elettorali e sulla situazione della sinistra, in questo momento, è, infatti, reso complicato dall’eterogeneità dei risultati e dall’assenza di approfondimenti seri sui dati. Muoviamo, allora, da qualche sommaria osservazione.

Le elezioni hanno lasciato una certezza e numerose incognite che verranno chiarite solo con il passare del tempo. Per questo è un po’ avventato analizzare il nuovo scenario appena pochi giorni dopo i risultati definitivi, anche in considerazione dello spoglio del voto all’estero che attribuisce un seggio in più al Partito popolare a scapito del Partito socialista. Anche se tale modifica non altera sostanzialmente il risultato, in quanto persiste l’impossibilità per la destra di raggiungere un sufficiente consenso parlamentare.

V’è ad oggi, infatti, la certezza che il Partito Popolare non sarà in grado di governare con nessuna possibile combinazione. Il sostegno che riceve da VOX gli impedisce di raccogliere gli altri consensi necessari, mentre rimane possibile riproporre la coalizione di governo progressista, anche se questa eventualità è almeno per ora, tutt’altro che consolidata.

Gli scenari più probabili sono due: un governo PSOE-SUMAR, con l’appoggio dei precedenti sostenitori o la ripetizione di elezioni con un orizzonte cronologico che ci proietta verso la fine di dicembre di quest’anno. Il dilemma si risolverà solo quando prenderà la sua posizione definitiva JUNTS X CAT – nazionalisti radicali di destra, eredi del partito egemonico in Catalogna per decenni e oggi partito controllato a distanza dall’ex presidente Puigdemont esiliato a Waterloo – al di là delle difficoltà di ricomporre il blocco che sosteneva il precedente governo. Il contenuto sostanziale delle rivendicazioni dei partiti nazionalisti sarà decisivo.

Il dato elettorale e il peso parlamentare

La distanza di voti tra PP e PSOE è dell’1,35%, una differenza che si traduce in un numero di seggi per il PP pari a 137 rispetto ai 121 del PSOE. Questa sproporzione tra voti e seggi parlamentari è imputabile al sistema elettorale che distorce la realtà sociale e politica spagnola, in virtù del significativo premio di maggioranza e della mancata rappresentazione dei voti dei partiti non maggioritari nelle circoscrizioni piccole e medie.

La caduta di VOX è stata rilevante in termini di seggi, da 52 a 33, anche se in percentuale di voti la differenza è stata solo del 2,7%. Il calo dei seggi lo rende, comunque, il grande sconfitto ed è questa la causa prima dell’impossibilità di un governo di destra.

I risultati SUMAR sono più complessi da analizzare. Il numero dei seggi è 31 con una percentuale di voto del 12,31%. In termini di seggi e percentuale di voto, il risultato è inferiore a quello ottenuto da Podemos nel 2019. E il confronto è ancora più negativo se ricordiamo la rappresentanza parlamentare di altre forze politiche (ad esempio, Más País, Compromís, ecc.) che, al di fuori di Podemos, hanno partecipato in coalizione con SUMAR. Rispetto alle elezioni del 2019, la coalizione ha perso 7 seggi. Sebbene i suoi risultati siano stati sufficienti per bloccare le destre e consolidare le pretese di rieditare la coalizione progressista, non mancheranno di avere conseguenze sulla sua leadership e sulla sua influenza nell’ipotetico governo futuro.

Questi risultati fanno del PSOE il vero “vincitore” delle elezioni, il che rafforza la sua posizione nel blocco di sinistra e, naturalmente, nella possibile coalizione. È un morto risorto, ma con molto più vigore. Condiziona anche la posizione di SUMAR, ne indebolisce la sua posizione nella coalizione, in contrasto con la celebrazione dei risultati che ha fatto SUMAR.

La narrazione che i risultati di SUMAR siano stati, infatti, relativamente buoni, vista l’urgenza della chiamata elettorale e la breve vita di questa coalizione, non persuade. La sua gestazione era iniziata molti mesi prima, un processo durato più di un anno che è passato per il logoramento politico di Podemos e, quindi, per il suo crollo elettorale nelle elezioni comunali e regionali. Solo dopo questa catastrofe è stato possibile configurare un progetto (molto personalizzato) che consentisse l’inclusione di gruppi che avevano un rapporto conflittuale con Podemos.

È anche per questa ragione che è difficile capire se sarà possibile domani il consolidamento di uno spazio politico alla sinistra del PSOE, se i risultati delle elezioni configurano semplicemente tempo guadagnato per chissà quale futuro. Per provare a capire i possibili sviluppi è assai utile approfondire il tema della qualità della comunicazione elettorale, il peso della questione catalana, le ragioni dell’assenza della dimensione, invero cruciale, dell’Europa.

L’americanizzazione della campagna elettorale

La sensazione di un ipotetico osservatore esterno è che la competizione politica in Spagna si sia americanizzata al massimo. Le linee essenziali della campagna, in particolare quelle del PSOE e del PP, hanno obbedito prevalentemente, se non esclusivamente, a strategie di ingegneria mediatica. Da una parte l’“antisanchismo”, frutto della campagna elettorale locale; dall’altro, il timore della perdita delle conquiste sociali della coalizione progressista. È stato uno scontro tra slogan con poco contenuto programmatico. Nel caso di VOX, questo approccio è stato palese, ma nemmeno SUMAR ha potuto eludere questa logica.

La cronistoria della campagna elettorale è, in proposito, quanto mai istruttiva. La prima settimana ha ruotato attorno al dibattito tra i due candidati in cui il leader del Partito popolare ha mostrato più astuzia, incastrando l’esponente socialista con il modello di dibattito “Gish” che mette il suo avversario sulla difensiva presentando una marea di dati (indipendentemente dalla loro veridicità). Questo stratagemma che sorprendentemente non è stato smontato da Sánchez ha alimentato la convinzione mediatica di una vittoria inevitabile. Il non-dibattito, privo di un confronto ideologico e programmatico, quale fattore che rendeva scontato l’esito delle elezioni. Un mero spettacolo televisivo, imitazione di una lotta tra “gladiatori”. L’emozione dell’apparenza che oscurava l’essenza della decisione elettorale.

Gli errori, nella seconda settimana della campagna elettorale, del candidato di destra hanno consentito una parziale rimonta della sinistra. Ai “temi” precedenti si sono aggiunti quelle delle “bugie” di Feijóo, a conferma di una perdurante americanizzazione della campagna elettorale che espelleva dal confronto i contenuti programmatici. Il confronto tra i due modelli di società ha, insomma, continuato ad essere in larga misura implicito.

La paura dell’estrema destra ha avuto alla fine un peso rilevante sui risultati elettorali anche per il peso giocato da alcune decisioni dei governi autonomici e locali in coalizione tra PP e VOX che hanno alimentato la reazione e la mobilitazione della sinistra, confermando la risalente convinzione che in Spagna la destra vince solo se ottiene la smobilitazione della sinistra e la sua astensione dalle urne. Ed invero, le compagnie demoscopiche che prevedevano il trionfo del Partito Popolare con risultati numerici schiaccianti, non sono state in grado di cogliere questo graduale risveglio dell’elettorato di sinistra, allarmato dalla teatrale impostura del Partito Popolare che reclamava, con finto clamore, la sua volontà di governare da solo e senza l’appoggio dell’estrema destra, mentre in pratica firmava con Vox accordi politici comunali e regionali. Resta, comunque, il fatto che anche nella seconda fase della campagna elettorale assolutamente limitati sono stati i riferimenti alle questioni economiche e al modello di sviluppo.

 Durerà la coalizione progressista?

Continuiamo, guardando i temi della contesa elettorale. Ci concentriamo in particolare su SUMAR. SUMAR afferma di essere due cose contemporaneamente: un partito e una coalizione elettorale. Un partito nato per le elezioni e una coalizione che rappresenta una novità nello spazio della sinistra che, per la prima volta, unifica la pluralità di forze disperse alla sinistra del PSOE che in precedenza erano in competizione tra loro.

Nelle elezioni locali il PSOE ha resistito all’offensiva della destra politica, ma il sistema elettorale ha penalizzato la dispersione del voto in più partiti. La loro ridotta rappresentanza non ha consentito alla sinistra di mantenere il potere politico nei livelli di governo territoriale. La convergenza dei partiti politici a sinistra del PSOE è stata una premessa fondamentale per il nuovo confronto elettorale: da un lato, per la propria sopravvivenza; dall’altro per raggiungere una rappresentanza politica con la quale contribuire alla formazione della futura coalizione progressista.

La coalizione è una sommatoria di 15 gruppi con interessi frammentati che presenta delle incognite per il futuro. In particolare in ordine alla capacità di conciliare gli interessi territoriali di alcuni di questi gruppi in un progetto politico generale. La ripartizione dei seggi tra i gruppi che compongono SUMAR è la seguente: 10 per SUMAR; 5 per Podemos; 5 per En Comuns; 5 per Izquierda Unida; 2 per Más País; 2 per Compromis; 1 per la Chunta Aragonesista e 1 per Més Compromis. In pratica, SUMAR, chiamata a garantire la coerenza e unità della coalizione, è una minoranza, un terzo della rappresentanza pari a 10 deputati. Gli interessi territoriali, decisivi in alcuni gruppi, raggiungono 9 deputati e i partiti generali, ma con un progetto proprio e ben differenziato, dispongono di 12 seggi (Izquierda Unida, Podemos e Más País).

Quindi, la domanda è: la coalizione durerà? La risposta, pessimistica ma possibilmente realistica (il pessimismo della ragione), è che durerà finché l’argomento della sopravvivenza avrà la precedenza sui progetti differenziati e sui dissidi interni.

L’incognita SUMAR

Il primo problema sarà la collocazione di Podemos dopo le tensioni registrate nella fase delle negoziazioni, dopo la valutazione differenziata dei risultati delle elezioni generali e il desiderio di preservare la propria organizzazione come condizione imprescindibile per il futuro.

Come già ricordato, SUMAR è anche un partito, iscritto il 31 maggio 2023 all’anagrafe dei partiti. Il compito più importante che oggi è chiamato ad affrontare è la sua ‘organizzazione, la sua capacità di dotarsi di una struttura che gli consenta di inserirsi nello spazio sociale a cui è diretta la sua azione, di un progetto sociale articolato che dia senso al suo funzionamento. Al momento SUMAR è, invece, solo una tecnostruttura personalista, altamente personalista.

A prescindere dal fatto che Podemos è un progetto esaurito, la sua nascita è legata all’ondata del Movimento 15M e la sua organizzazione, basata sui cosiddetti circoli, ne ha consentito l’inserimento sociale. SUMAR che è chiamato ad occupare e riorganizzare lo spazio a sinistra del PSOE deve ancora dimostrare di essere all’altezza di questo compito. Un appello al movimento 15M come riferimento sociale e progettuale è inutile: lo slancio del 15M è del tutto affievolito (come dicevamo già nel nostro precedente intervento pubblicato nel numero 13 di fuoricollana).

Il futuro della sinistra in Spagna è legato ad un progetto politico e sociale che non sia solo una sommatoria di interessi dispersi. Il contributo di SUMAR al contenimento dell’estrema destra è stato determinante, ma il tempo guadagnato sarà utile solo se servirà a rifondare la sinistra del PSOE. Mentre il Partito Popolare ha ripreso le ricette neoliberiste del consolidamento del bilancio e del taglio delle tasse, senza integrare le proposte scaturite dalla crisi del neoliberismo e della relativa deglobalizzazione; mentre il Partito socialista ha insistito sulla volontà fondamentale di consolidare i progressi della precedente legislatura; SUMAR ha indicato, come bandiera e segno distintivo per la lotta alle disuguaglianze, la proposta di Piketty dell’”eredità universale” (la contribuzione di 20.000 euro ai giovani nel momento in cui compiono 18 anni) che esige, per rispondere alle obiezioni più scontate, di essere precisata, declinata e articolata

Il rafforzamento di Pedro Sanchez e il fallimento di Feijoó

Infine, alcuni appunti sulle conseguenze più evidenti dei risultati elettorali.

Il primo è il rafforzamento della persona di Pedro Sánchez sia in Spagna che all’interno del PSOE. Sanchez è oggi riconosciuto come persona dal carattere roccioso e resiliente e dal grande intuito politico, doti che si accresceranno agli occhi dell’opinione pubblica nella possibile eventualità di un logoramento del Partito Popolare. Un allungamento dei tempi di attesa per la costituzione del futuro Governo potrebbe alimentare il conflitto interno e l’emergere di tensioni sull’alternativa alla fallita leadership di Feijoó e ai suoi rapporti con l’estrema destra.

La destra politica si trova di fronte al dilemma se optare per lo spazio conservatore e moderato che le permetta di accordarsi con altre forze politiche, in particolare i nazionalismi periferici, oppure aspirare alla riunificazione della destra con la conseguente integrazione dei contenuti programmatici di VOX. Secondo un commentatore malizioso, occorre chiedersi quanto tempo impiegherà Ayuso, la presidente che gode della maggioranza assoluta nella Comunità di Madrid, a divorare Feijóo. Se ciò dovesse accadere, Sánchez sarebbe sicuramente salutato dai commentatori dei media come un nuovo Machiavelli.

Nazionalismo basco e nazionalismo catalano

Frivolezze a parte, l’altro risultato con importanti conseguenze postelettorali è la comparsa della sinistra nazionalista come soggetto consolidato. EH-Bildu, che ha sottolineato che la sua priorità ora è sbarrare la strada alla destra, ha estromesso il PNV dal suo primato all’interno del nazionalismo basco. A sua volta, ERC è quasi la prima forza del movimento indipendentista catalano dal cui appoggio a Sanchez dipende la possibilità del governo del progresso. JUNTS X CAT, il partito indipendentista, non di sinistra, con i suoi sette seggi è la chiave per il governo di coalizione o per un’altra tornata elettorale dicembre. La sua posizione, almeno per ora, è massimalista, il che complica notevolmente la possibilità di un accordo. Questa situazione contrasta con la crescita elettorale dei socialisti in Catalogna, diventati la prima forza e che hanno relegato il movimento indipendentista è sotto il milione di voti. È evidente la differenza del movimento indipendentista catalano con quella basco che ha da tempo imparato dal lungo e drammatico processo nei Paesi Baschi. Vedremo qual è il prezzo da pagare per l’irrigidimento della situazione spagnola, perché è evidente che il “procés” mostra segni di esaurimento e che il PSOE non può scendere a compromessi con le richieste di JUNTS X CAT.

L’Europa, la grande assente

L’ultimo tema è quello dell’Europa, la grande assente della campagna elettorale e che, tuttavia, è destinato ad essere importante nella fase post-elettorale, considerato che la Spagna occupa la presidenza di turno dell’Unione. Il motivo dell’assenza di questa tematica durante le elezioni è dovuto al fatto che le posizioni del PSOE e del SUMAR, così come quelle di Podemos, sono diverse e, per molti versi inconciliabili e contraddittorie.

Il PSOE dà sfoggio di un europeismo acritico che sostiene riforme non determinanti, nonostante l’attivismo del governo nelle proposte contro la crisi energetica e altre questioni. Ma il problema chiave rispetto all’UE è la riforma delle regole fiscali e del Meccanismo europeo di stabilità (MES).

Qual è il contesto del dibattito sulle regole fiscali dell’UE che può ostacolare l’attività di un governo di coalizione? Non dobbiamo dimenticare che Sánchez, quale che sia il risultato delle trattative per la formazione del governo, assumerà la presidenza di turno del Consiglio per la parte rimanente dell’anno. Né possiamo ignorare che Sánchez si è prefissato quest’anno l’approvazione definitiva delle norme fiscali dell’UE. Allo stesso tempo, la situazione spagnola nel rispetto dei parametri del Patto di stabilità e crescita secondo la Commissione ci colloca nel gruppo dei paesi non conformi (3,3% di deficit e 110,6% di debito). Infine, il punto di partenza dei negoziati per la riforma sono le proposte della Commissione del novembre 2022, formalizzate come proposte di Regolamento nei documenti COM(2023) 240 e 241, e di direttiva nel documento COM(2023) 242 aprile 2023.

Ora peserà il “vincolo esterno”

Nonostante tutte le voci sulla riforma e sulla necessità di renderla più flessibile, la duttilità è scarsa. La fiducia di Sánchez è illusoria. Le proposte della Commissione rafforzano i meccanismi di controllo e sanzionatori già esistenti. I criteri del Patto di stabilità rimangono gli stessi. La realtà è che i paesi virtuosi stanno già aumentando la loro pressione e che, se così fosse, un presidente ad interim avrebbe una posizione negoziale indebolita. Il risultato prevedibile sarà il sostanziale mantenimento delle proposte della Commissione e della disciplina fiscale obbligatoria nei bilanci della Spagna; e, di conseguenza, il contenimento delle riforme sociali e il contenimento della spesa.

Sebbene SUMAR nel suo programma elettorale faccia riferimento alla “promozione di una riforma più ambiziosa delle regole fiscali”, la sua proposta è molto generica ed è elusiva rispetto a temi come l’abrogazione del MES. Non sono mancati interventi in cui Yolanda Díaz si è espressa a favore di una riforma dei Trattati e ha chiesto la subordinazione dei principi economici alle esigenze sociali, nonché un nuovo disegno della BCE e delle sue priorità e politiche. Che questo possa pesare sull’azione di un governo di coalizione è assai problematico. La ferma difesa di un’altra Europa da parte del SUMAR creerà tensioni nel governo di coalizione e porterà i suoi protagonisti a rimandare e ad adeguarsi alle norme europee o a mettere a rischio la coalizione, uno scenario alquanto improbabile.

E, tuttavia, è evidente che SUMAR fallirà nel tentativo di ricomporre la sinistra del PSOE senza una posizione chiara rispetto all’UE. Inoltre, senza questa ferma presa di posizione sull’attuale progetto dell’Unione, il suo contributo alla sinistra europea non sarà rilevante. Il contributo di SUMAR alla sinistra europea dipenderà, in larga misura, dalle sue posizioni di fronte a una UE che continua con il suo progetto neoliberista.

Resta al momento un sospiro di sollievo

Resta comunque il fatto, come è stato riconosciuto dai media stranieri, che l’insufficiente vittoria del Partito Popolare e l’impossibilità di formare un governo con l’estrema destra, ha suscitato un sospiro di sollievo negli ambienti progressisti dell’Unione Europea. Di fronte alla crescita dell’estrema destra in tanti paesi europei, la resistenza della sinistra spagnola ferma l’assalto dell’estrema destra e dimostra che l’alleanza con essa è un impedimento a governare per la destra conservatrice. Almeno l’aspettativa di Giorgia Meloni di rafforzare il polo conservatore e di destra con il contributo spagnolo, è stata, al momento felicemente frustrata.

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