IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

Anticipazione/ I russi, i russi gli americani

Chi ha spento le luci della pace è il vecchio mondo di oggi, la Russia e gli Stati Uniti. L’Europa complice e vittima, allo stesso tempo. In esclusiva, per i lettori del nostro “laboratorio politico”, i passaggi essenziali dell’introduzione ad un volume di prossima pubblicazione nei primi mesi dell'anno che verrà.

La pace è finita, recita il titolo di un pamphlet pubblicato sul finire del 2022. Ma chi ha spento le luci? I russi, i russi gli americani, sussurrava Lucio Dalla nel 1980 in una celebre canzone, piena di fiducia e di speranza, Futura, pensata e scritta di getto. In meno di mezz’ora, seduto su una panchina, una sigaretta accesa e un’agenda, nei pressi del Checkpoint Charlie, da dove allora si poteva passare dalla parte Ovest alla parte Est di Berlino. In Europa, nel cuore dell’Europa per tanti giovani di tante nazionalità che oggi numerosi lì lavorano, vivono, sognano, si innamorano.

Guerra in Europa, contro l’Europa

Che la guerra in Ucraina della quale “celebriamo” il primo “anniversario”, sia una guerra che si svolge nel territorio del Vecchio continente e che i suoi popoli siano quelli chiamati a pagarne il prezzo più pesante e duraturo è constatazione largamente condivisa.
Le immagini e le narrazioni dalle quali siamo stati ancora in questi mesi quotidianamente ‘bombardati’ si sono prevalentemente occupate degli ucraini, le popolazioni primariamente e indiscutibilmente vittime della guerra. E dei suoi esecutori materiali, in primo luogo l’esercito di Putin. Ma oltre le vittime e gli esecutori materiali ci sono dei ‘mandanti’ e dei ‘complici’.

A che punto è la notte?

Ad un anno dall’inizio dell’operazione militare speciale in pochi si sono occupati dei “mandanti” e dei loro “complici”. Avendo provato a farlo sin dalle prime settimane che ci separano dal quel 25 febbraio 2022, ho pensato fosse di una qualche utilità offrire al lettore l’insieme dei pensieri e degli scritti nei quali mi sono cimentato con le origini antiche e prossime della guerra ucraina.
Ne è nato una sorta di involontario diario intellettuale di “un anno vissuto pericolosamente” nel quale ho provato a capire “a che punto è la notte”, per dirla con il titolo di un romanzo giallo di Fruttero & Lucentini del 1979 e di un recentissimo libro di Isidoro Mortellaro verso il quale sono largamente debitore.

Diario di guerra, ma non solo

Mentre compilavo il mio “diario di guerra” mi sono occupato anche di altri temi. Ed è per questa ragione che il volume contiene accanto ad una prima sezione (Tra cronaca e storia) una seconda (Lampi di memoria) nella quale si parla d’altro.
Apparentemente, e solo in parte. In realtà, ciascun rigo del libro è attraversato da quell’unico, urgente, interrogativo contenuto nel titolo e nell’incipit. Chi ha spento le luci della pace? E siccome le pagine che seguono non sono quelle di un giallo, non credo di commettere alcuna scortesia verso i lettori anticipando per punti, per flash, quale è il filo conduttore del discorso e quali sono le principali conclusioni alle quali sono pervenuto.

Una guerra senza fine

Conclusioni necessariamente provvisorie, come si addice a quella che Domenico Quirico ha perspicuamente raccontato essere una guerra senza pace.
Una guerra, come la maggior parte di quelle attualmente in corso in varie parti del globo, infinita, eternizzata, senza una ragionevole prospettiva di una fine, di un negoziato, di una luce che torni ad illuminare l’esistenza quotidiana di chi vi è direttamente coinvolto nelle città, nei campi, nei villaggi, nei bunker. Un’esistenza quotidiana della quale noi non forniremo alcuna immagine, non ce n’è veramente bisogno nella cosiddetta civiltà delle immagini. Quella che è mancata, anche nel corso di questo annus horribilis, è semmai la nuda verità e l’immaginazione politica.

Il vecchio mondo di oggi, i russi gli americani

Noi ci occuperemo innanzitutto della nuda verità, poeticamente e profeticamente messa in versi dal cantautore bolognese.
Chi ha spento, e continua a spegnere, le luci della pace è il vecchio mondo di oggi. Da una parte, gli sconfitti della guerra fredda, la Russia, uno dei due imperi declinanti del XXI secolo che cancella per mano dell’anti leninista Putin la sua appartenenza all’illuminismo moderno. E, dall’altra, chi pensava, gli Stati Uniti, che vinta la guerra fredda, il dopo guerra fredda sarebbe stato una lunga e solitaria galoppata del gigante a stelle e strisce nel nuovo millennio.
Ma non è andata così, ed è subentrato in entrambi gli antichi contendenti del secondo dopoguerra un nostalgico, perverso e tragico, desiderio di passato, di guerra infinita. Ed invero, la guerra russa contro l’Ucraina e la guerra americana contro la Russia costituiscono un rilevante fronte geopolitico, geoeconomico, geoculturale (non l’unico) di una guerra globale di nuovo tipo, una guerra freddo-calda.
Le rappresentazioni ufficiali rimuovono l’origine e l’autentica natura del conflitto. Lo scontro tra le due potenze antagoniste (Russia, America) continua ad essere occultato da una narrazione della guerra come l’esito di un irriducibile conflitto tra il Male e il Bene. Nel lessico di Putin tra nazificazione e denazificazione, tra purezza dei valori sacri della tradizione e i valori degenerati di un Occidente corrotto. Nel lessico occidentale, tra democrazie e autocrazie, tra liberalismo e regimi illiberali. Retorica, propaganda.

Riportare indietro le lancette della storia

C’è, tuttavia, del ‘genio’ o quantomeno della ‘logica’ in questo tentativo di riportare indietro le lancette della storia.
L’America non è più da tempo il nuovo mondo, e sempre meno è destinata ad esserlo in futuro. Il nuovo mondo abita oggi altrove ed è composto – ci ricorda Lucio Caracciolo – da circa i sette miliardi di non occidentali (mediamente più giovani e in aumento anche vertiginoso, specie in Africa) impegnati a colmare il secolare gap rispetto ai paesi capitalistici più avanzati che contano all’incirca un miliardo di esseri umani (europei, nordamericani).
A differenza del passato il mondo non è propriamente diviso in due. Molti Stati, lungi dall’essere marginali, sono lontani dai due contendenti della prima guerra fredda ma sono più importanti dei “non allineati” del passato. E questo vale certamente per giganti come Cina e India, ma anche per interi continenti come l’Africa e parti del Medio Oriente.

Il fiato sul collo

I russi e ancor più le classi dirigenti occidentali che hanno per secoli sottomesso e governato la Terra sentono il fiato sul collo di quello che è diventato il nuovo mondo.
Non si rassegnano, come ha osservato in tutti le sue ultime opere Domenico Losurdo, alla fine dell’epoca colombiana (la scoperta e l’«appropriazione politica» del mondo a opera dell’Occidente), alla fine della Grande Divergenza Planetaria tra Occidente e resto del mondo. Vogliono con tutti i mezzi guadagnare tempo, allontanare quanto più possibile l’epoca del pieno dispiegarsi della Grande Convergenza.
Un ‘progetto’ ingiusto quanto irrealistico. Velleitario, virtualmente tragico come tutti i propositi ingiusti e irrealistici.

La congiura dei colpevoli

Gli attori di questo progetto sono, insomma, tutt’altro che gli inconsapevoli protagonisti dell’hitchcockiana Congiura degli innocenti. Al contrario che nel noir hitchcockiano, nell’attuale guerra va in scena una Congiura dei colpevoli in cui i russi e gli americani si adoperano consapevolmente per provocare la crisi cardiaca di tutti coloro che gli stanno con il fiato sul collo.
Mentre larga parte della popolazione mondiale non occidentale si adopera per allontanarsi da una stazione chiamata sottosviluppo e avanzare in direzione di una stazione chiamata sviluppo, l’occidente e, segnatamente, gli Stati Uniti si adoperano da decenni, con embarghi commerciali e tecnologici, per rinviare la fine della Grande Divergenza (e, quindi, la fine delle disuguaglianze globali). Il tentativo di “guadagnare tempo”, di frenare il declino dell’egemonia “made in USA”, si è tuttavia rivelato, a partire dalla crisi finanziaria globale del 2007-2008, quantomai problematico se non propriamente fallimentare.

La Cina, il convitato di pietra

Il principale convitato di pietra dei conflitti economici, geopolitici e militari degli ultimi due decenni è indiscutibilmente la Cina.
Le ragioni sono note, anche se goffamente rimosse, dalla maggioranza degli osservatori. L’interdipendenza con il mercato del gigante asiatico – ha da tempo osservato sottolineato Andrea Fumagalli – è vertiginosamente aumentata, anche grazie al fatto che la politica commerciale della Cina si è ulteriormente globalizzata con il progetto della nuova via della seta. Contemporaneamente, la Cina è diventata esportatrice netta di prodotti tecnologici e, a partire dal 2016, il numero di brevetti cinesi è risultato superiore a quello Usa. Nel frattempo gli investimenti in energie rinnovabili hanno superato nell’ultima decade quelli americani fino a raddoppiarli. E anche nel capitalismo delle piattaforme, terreno solitamente egemonizzato dalle grandi corporation americane, l’avanzata cinese si è fatta sentire.
Non è un caso che le divergenze tra Usa e Cina si siano negli anni recenti anni sempre più ampliate. L’ascesa alla presidenza Usa di Trump ha ulteriormente acuito le tensioni, con guerre commerciali più pesanti del passato. E anche l’amministrazione Biden non si è discostata da un atteggiamento di continuo attacco verso la Cina. L’unica differenza, in una prima fase, sembrava essere l’abbandono parziale degli strumenti tipici della guerra commerciale (politiche protezionistiche) per rispolverare quelli più geopolitici e militari.

Ma non l’unico

Le cose negli ultimi tempi stanno peggiorando, anche “grazie” alla guerra in Ucraina. O, meglio, questa guerra sta rendendo sempre più palese la multiforme e scellerata posta in gioco dei conflitti ‘imperialistici’ dell’ultimo decennio.
Il 7 ottobre scorso il Department of Commerce statunitense ha introdotto una serie di misure restrittive all’export di semiconduttori di tecnologia più avanzati e finalizzati alla produzione di supercomputer da applicare in settori quali difesa e armamenti. L’effetto immediato è l’espansione della lista di aziende cinesi alle quali è vietato l’acquisto di prodotti americani in questi settori se non previa autorizzazione (tramite licenza) da parte delle autorità USA e nell’impedimento per persone fisiche statunitensi di fornire assistenza alle aziende cinesi operanti nel settore. La ‘mossa’ di Washington si propone due obiettivi: da un lato ritardare lo sviluppo dell’industria cinese dei semiconduttori più avanzati (quelli sotto i dieci nanometri di dimensione), dall’altro colpire la modernizzazione del settore della difesa. Il tutto privando Pechino dell’accesso sia alle tecnologie sia al know-how (attraverso il capitale umano, che è per l’appunto oggetto delle restrizioni). Non si tratta della prima restrizione commerciale da parte degli USA in questo campo. La ‘mossa’ si inserisce nel solco già intrapreso delle misure che gli Stati Uniti avevano adottato per colpire la cinese Huawei a partire dal 2020. In questo caso però le restrizioni all’export non colpiscono una sola azienda ma l’intero settore, mettendo i bastoni tra le ruote ad alleati (ad esempio Taiwan tramite il colosso dei chip TSMC) ed anche ad alcune aziende americane (es. Intel) dato che, a causa di queste misure, non potranno più operare in Cina.
Nemmeno Trump si era spinto fino a questo punto. Il presidente repubblicano aveva adottato una postura aggressiva nei confronti della Cina, ma sulla base di un approccio preminentemente negoziale. Invece, l’attuale amministrazione ha colpito duramente senza timore di danneggiare – ha giustamente osservato Davide Tentori – gli interessi di attori economici USA o di Paesi partner.

Il Vecchio continente, vittima e complice

Oltre al fronte del Pacifico che vede contrapposti Washington a Pechino, v’è un altro fronte a livello transatlantico con l’Unione Europea, sottoposta alla potenza di fuoco dei sussidi alle tecnologie green previsti nell’Inflation Reduction Act (Ira) recentemente lanciato dal governo statunitense.
Scopo primario dell’Ira non è, infatti, tanto il contrasto all’inflazione, ma il sostegno alla crescita attraverso una vera e propria montagna di sussidi (quasi 400 miliardi di dollari dei 738 complessivi) destinati alle aziende USA che producono nuove tecnologie legate alla transizione energetica e al contrasto al cambiamento climatico (rinnovabili, nucleare, acquisto di veicoli elettrici, rinnovamento alloggi, decarbonizzazione dell’industria). Le sovvenzioni alle imprese verranno accordate soltanto se le relative produzioni e i relativi componenti (ad esempio le batterie) saranno prodotti negli Stati Uniti.
Il provvedimento mira, con tutta evidenza, a colpire non solo la Cina ma anche l’Unione che al momento appare divisa sul da farsi. Nel frattempo, le grandi imprese europee sono già indotte a progettare i loro nuovi investimenti per la gran parte negli Usa o in Cina, ove peraltro trovano energia abbondante e a buon mercato (mentre i prezzi dell’energia in Europa sono molto più alti ‘grazie’ al fatto che gli Usa vendono il gas agli europei ad un prezzo pari a quattro volte quello del mercato interno Usa).
Senza tener conto di questo quadro globale non si capisce niente della guerra ucraina e dei suoi sviluppi. In questa drammatica partita il Vecchio continente gioca un doppio ruolo. Quello di vittima nella veste di Europa, quello di complice nella veste di Unione europea. L’attuale guerra è l’apice di una seconda guerra freddo/calda che vuol mettere fuorigioco il progetto di un’occidente europeo alleato ma distinto dall’occidente atlantico.

Un progetto di marca statunitense

In nome di un altro progetto, un progetto di marca statunitense.
Per questa ragione stucchevole è apparsa sin dal febbraio 2022 la complice retorica unionista di rappresentare l’attuale ri-militarizzazione del mondo come l’occasione per un inedito e storico protagonismo dell’Europa come potenza geopolitica. La nuova era glaciale, l’assoluta incomunicabilità nelle relazioni internazionali, fa oggi molto più male all’Europa di quanto accaduto nella prima guerra fredda. È la NATO dal punto di vista organizzativo e istituzionale che sta tornando in vita, con gli Usa al timone. La declamata autonomia strategica europea dei mesi precedenti la guerra in Ucraina è un pio desiderio se i Paesi dell’Ue non preservano un potere di valutazione autonoma e si acconciano a diventare i subappaltatori dell’industria della difesa americana.
Il rilancio dell’alleanza in funzione antirussa è il sigillo finale del tentativo americano, oggi irresponsabilmente condiviso dalle attuali classi dirigenti dell’Unione, di riportare indietro le lancette della storia, a prima dell’89. Una seconda ri-militarizzazione e bipolarizzazione del mondo, che intende riportare al punto di partenza le relazioni tra Occidente e Russia e improntare alla stessa logica quelle con la Cina. Questo c’è scritto nero su bianco nelle risoluzioni del Consiglio Nato di Madrid del giugno 2022.

Un destino a cui ribellarsi

Il conflitto tra Oriente e Occidente sembra riaffermarsi come un destino, con toni ancora più duri di quelli del passato. Ma le somiglianze sono, ha prontamente osservato Carlo Galli, più superficiali che sostanziali. A medio e lungo termine, ma anche a breve dal punto di vista strettamente economico, gli interessi degli Stati Uniti non coincidono più come nella prima guerra fredda con quelli europei.
L’invasione dell’Ucraina ha fornito agli anglosassoni un’occasione d’oro per indebolire la Russia con una guerra di logoramento e accerchiamento e tentare di estrometterla dal grande gioco delle potenze mondiali, in cui vorrebbe reintegrarsi. Ha inoltre consentito agli Stati Uniti di esercitare un controllo più stretto sull’Europa, a basso costo politico. Ma l’Europa a medio e lungo termine avrebbe bisogno di un rapporto costruttivo con la Russia, per non essere squilibrata sulla dimensione atlantica e proiettata sul Nord-Est sul piano militare. E razionalmente dovrebbe essere nell’interesse russo continuare ad essere, come in epoca zarista e sovietica, una potenza europea.
Bruciare i ponti non è nell’interesse né dell’Europa né della Russia. E di questo Putin porta grandemente la responsabilità storico-politica. I russi, i russi gli americani.

Riferimenti bibliografici

L. Caracciolo, La pace è finita Così ricomincia la storia in Europa, Milano, Feltrinelli, 2022.
A. Fumagalli, Postfazione, in G. Arrighi, Adam Smith a Pechino. Genealogie del ventunesimo secolo, Milano, Mimesis, 2021.
C. Galli, La seconda guerra fredda, in https://legrandcontinent.eu/it/2022/07/12/la-seconda-guerra-fredda/ 12 luglio 2022.
D. Losurdo, La lotta di classe. Una storia politica e filosofica, Bari- Roma, Laterza, 2013.
I. Mortellaro, A che punto è la notte? La vita e i tempi del Terzi Millennio, Bari, edizioni la meridiana, 2022.
D. Quirico, Se brucia la città: la città e le guerre, intervento a Parole di Giustizia tenutosi a Fano il 22 ottobre 2022, in htttps.//www.radioradicale.it
W. Streeck, Tempo guadagnato. La crisi rinviata del capitalismo democratico, Milano, Feltrinelli, 2013.
D. Tentori, Verso un decoupling globale, https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/verso-un-decoupling-globale-36961, 9 dicembre 2022.

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