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cultura politica e costituzionale

IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

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IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

Ascesa e declino dell’ordine neoliberale

Il lavoro di Gary Gerstle è un epitaffio sull’ordine che fu, sui due ordini politici vigenti in America nel ‘900: New Deal e ordine neoliberale. Ne abbiamo tratto più lezioni d’autore. Pubblichiamo, preceduta da una introduzione, la prima sui tratti fondamentali dell’ordine del New Deal. Nei prossimi numeri le altre.

La crisi delle democrazie occidentali, schiacciate da disuguaglianze di reddito e disparità sociali, leadership populiste e ondate di etnonazionalismo, è il segno più evidente di una frattura nell’ordine politico che da decenni domina il mondo: l’ordine neoliberale, che ha preso forma negli Stati Uniti degli anni Settanta e Ottanta e da lì ha conquistato e trasformato l’intero pianeta. Il suo declino ha avuto origine negli anni di Bush, con la fallita ricostruzione dell’Iraq secondo criteri ultraliberisti e lo scoppio della Grande recessione nel 2008, e si è esemplarmente manifestato con l’ascesa di Trump. Ma per comprendere dove condurrà la caduta dell’ordine neoliberale è necessario ricostruire il modo in cui si è consolidato, smantellando l’ordine del New Deal prima imperante. L’ordine del New Deal era fondato sulla convinzione che, abbandonato a sé stesso, il capitalismo avrebbe portato al disastro economico, e che perciò dovesse essere gestito da uno Stato centrale forte, capace di governare il sistema economico nel pubblico interesse. L’ordine neoliberale, al contrario, si basava sulla convinzione che le forze di mercato dovevano essere liberate dai controlli normativi dello Stato, che ostacolavano, la crescita, l’innovazione e la libertà. E oggi è quest’ordine neoliberale a essere smantellato a sua volta. Ma prima di arrivare alla crisi di questo, Gerstle passa in rassegna cent’anni di storia americana per rinvenire le tracce ideologiche, sociali, elettorali, organizzative e culturali di un sistema di idee e valori che si è costituito in ordine politico duraturo, egemonizzando la destra così come la sinistra.

Ordine politico e politiche del New Deal

«(…) Per stabilire un ordine politico occorre ben più che vincere una o due tornate elettorali. Ci vogliono donatori (e comitati di azione politica) facoltosi per investire in candidati promettenti nel lungo periodo; la creazione di think tank policy network per trasformare le idee politiche in programmi attuabili; un partito politico emergente in grado di conquistare durevolmente diversi bacini elettorali; la capacità di plasmare l’opinione pubblica sia ai massimi livelli (la Corte suprema) sia attraverso la stampa popolare e le trasmissioni radiotelevisive; e una prospettiva morale in grado di ispirare gli elettori con idee sul modo migliore di vivere. Gli ordini politici, in altre parole, sono progetti complessi che richiedono avanzamenti su un ampio fronte. Di rado ne sorgono nuovi; di solito compaiono quando un ordine più vecchio sprofonda in una crisi economica che poi aggrava una crisi di governo (…)»

«L’ordine del New Deal ottenne la propria forza non solo da affidabili sostenitori elettorali ed economici, ma anche dalla capacità di imporre i suoi principi ideologici fondamentali nel panorama politico. Che il capitalismo sfrenato fosse diventato una forza distruttiva, fattore di instabilità economica e disuguaglianze intollerabili dalla società americana, era ormai acclarato. La carenza di posti di lavoro era disastrosa: per un decennio gli Stati Uniti furono alle prese con tassi di disoccupazione che si aggiravano intorno e – spesso superavano – il venti per cento. Questo livello di crisi di mercato colpì al cuore l’ideologia del laissez faire, vecchio assioma della vita economica americana tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo. Ora la grande maggioranza degli americani concordava sulla necessità di una qualche forza che controbilanciasse il caos distruttivo dei mercati e gestisse la crescita capitalistica nel pubblico interesse. I fautori del cambiamento ritenevano che il governo federale fosse l’unica istituzione dotata delle dimensioni, delle risorse e della volontà necessarie per assumere un ruolo simile (…)».

«(…) Roosevelt e i fautori del New Deal sprigionarono il potere dello Stato centralizzato come quasi mai prima in tempo di pace. Parte di questa opera si concentrò su una assai visibile revisione delle infrastrutture economiche del Paese. I New Dealers costruirono innumerevoli strade, ponti, aeroporti, dighe, scuole e biblioteche. Un programma per l’impiego, la Works Progress Administration, assunse cinque milioni di persone per lavorare a questi progetti e ad altri correlati. Tanto era vasto l’impegno per le opere pubbliche, che il New Deal arruolò persino gli artisti affinché affrescassero gli interni di migliaia di edifici pubblici. Murales colorati, spesso sorprendenti, di americani intenti a lavorare o a svagarsi, in collaborazione o in conflitto, cominciarono a spuntare ovunque (…)».

«(…) Nel 1935 e 1936 l’amministrazione Roosevelt abbracciò anche una versione volgarizzata di keynesismo (…). Una spesa in deficit metteva nelle mani dei consumatori soldi che altrimenti non avrebbero avuto, stimolandoli così al consumo. Il denaro nelle tasche delle masse popolari poteva assumere varie forme: assicurazione contro la disoccupazione, assegni per le pensioni di anzianità, impiego pubblico, maggiore potere contrattuale dei lavoratori nelle dispute salariali e bassi tassi di interesse su mutui e finanziamenti per l’acquisto di case e automobili. Una volta ottenuta la ripresa economica, la spesa pubblica e la politica del denaro facile sarebbero stati interrotti e i bilanci rimessi in pareggio. Negli anni Quaranta, la maggior parte degli economisti che lavoravano per i democratici si erano formalmente votati alle idee keynesiane: avrebbero continuato a sostenerle nel trentennio successivo (…)».

«(…) Il keynesismo non era stato progettato per sostituire il capitalismo, ma per sorreggerlo. Chi perseverava nella convinzione che l’economia dovesse essere lasciata a sé stessa, e che bisognasse permettere al mercato di riequilibrarsi attraverso le decisioni dei singoli acquirenti e venditori, fu relegato alla periferia della politica americana, con poche possibilità di vincere le elezioni o conquistare una maggioranza in Congresso (…). L’impegno del New Deal per organizzare un compromesso di classe tra le forze in conflitto del capitale e del lavoro esprimeva allo stesso modo l’imperativo di limitare il caos distruttivo del capitalismo (…). Nacque per la prima volta un esteso stato sociale nazionale, in gran parte finanziato dall’impegno del New Deal per una tassazione progressiva. Nel 1935, l’aliquota marginale sugli americani più ricchi salì al settantacinque per cento. Durante la Seconda guerra mondiale, l’aliquota dello scaglione più alto aumentò ancora fino a raggiungere uno sbalorditivo novantuno per cento. Questa elevata tassazione, unita alle concessioni salariali dei datori di lavoro alla manodopera sindacalizzata, comportò una significativa ridistribuzione delle risorse dai ricchi alla classe lavoratrice e alle classi medie americane. Negli anni Quaranta, la disuguaglianza economica scese al livello più basso del Novecento e vi rimase fino a quando durò la supremazia dell’ordine del New Deal (…)».

[G. Gerstle, Ascesa e declino dell’ordine neoliberale. L’America e il mondo nell’era del libero mercato, Neri Pozza Editore, Vicenza, 2024].

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