IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

Costituzionalizzare l’algoritmo, digitalizzare la costituzione

È questo il duplice e ambizioso orizzonte dell’ultimo libro di Francisco Balaguer Callejón, direttore della Rivista di Diritto Costituzionale Europeo. È necessario che altri poteri costituenti, alternativi a quelli dell’economia digitale, scendano in campo

L’inquietudine della scienza giuridica critica comincia a far breccia. È di pochi mesi fa il pregevole volume collettaneo sulla guerra in Ucraina curato da Gaetano Azzariti (G. Azzariti, 2022). Mentre da poche settimane si è aperta sulle pagine del sito dell’Associazione dei Costituzionalisti Italiani una impegnativa riflessione sulla scorta di una lettera nella quale Fabrizio Politi pone il tema del quantum di disuguaglianza un ordinamento democratico può sopportare (F. Politi, 2023) e sulla quale sono già perspicuamente intervenuti Andrea Guazzarotti (A. Guazzarotti, 2023) e Quirino Camerlengo (Q. Camerlengo, 2023).Quasi contestualmente Francisco Balaguer Callejón, autorevolissimo giurista spagnolo, meritoriamente noto nel nostro Paese, dà alle stampe un corposo libro dal titolo La constitución del algoritmo nel quale prende di petto il tema della tenuta dei diritti fondamentali e della democrazia pluralista a fronte dell’irruzione del mondo digitale nelle nostre vite (F. Balaguer, 2022). Una nitida introduzione, sette densi capitoli, una agile conclusione che è anche una testimonianza personale. Una lettura istruttiva, anche per non addetti ai lavori.

La Costituzione “reliquia”

Il quadro è allarmante, ma quanto mai veritiero. Scrive il giurista europeo: «I grandi agenti globali, speculatori finanziari e aziende tecnologiche hanno scatenato forze che lo Stato non può controllare e davanti alle quali la costituzione appare impotente». La capacità di regolazione e controllo si indebolisce a fronte del potere di queste grandi società che occupano e monopolizzano uno spazio pubblico dove la libertà di espressione viene ridotta a merce, informazioni e opinioni si trasformano in dati monetizzabili, attraverso gli algoritmi delle applicazioni Internet. La crisi sanitaria e tutto ciò che ne è seguito hanno solo aggravato la situazione, consolidando tendenze che si erano già manifestate nei due primi decenni del nuovo secolo: «la costituzione regola un mondo che in parte non esiste più o è socialmente irrilevante», soprattutto agli occhi più giovani per i quali «molti dei precetti costituzionali che interessano gli ambiti in cui oggi si sviluppa la vita sociale sono una reliquia».
Ciò vale compiutamente – ne ho già parlato in Postpandemia (A. Cantaro, 2021) – per le generazioni nate tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo (i nativi digitali) che accedono alle tecnologie non semplicemente per il loro “valore d’uso” (paradigma umanistico) ma secondo modalità d’immersione (paradigma digitale). Vale di meno per le generazioni nate nei primi decenni del secondo dopoguerra (immigrati digitali) le quali, benché abbiano sempre più confidenza con la digitalizzazione delle diverse prassi operative e fruitive, continuano a ragionare in maniera analogica. Televisione, cellulare, videocamera o lettore mp3 sono ancora per queste generazioni strumenti distinti collocati in un posto preciso a cui si accede in modo disgiunto, com’era prassi nel mondo analogico, per ottenere una particolare funzione. Mentre nel frattempo la connessione digitalica caratterizza il panorama esperienziale dei bambini fin dai primissimi anni di vita, al punto tale che sovente i piccoli apprendono prima ad andare sul web che a camminare.

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