IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

Dinamiche sociali e nuova Guerra fredda di Giovanni Arrighi

Nella sua postfazione al libro di Giovanni Arrighi, Adam Smith a Pechino, Andrea Fumagalli confronta le previsioni dell’autore con gli ultimi sviluppi del confronto-scontro tra Occidente e Oriente, Usa e Cina. Ne emerge una lettura originale delle dinamiche sociali e politiche.

Le fondamenta del “secolo cinese”

 Secondo Arrighi la predizione di Smith sulla possibilità che si possa creare un riequilibrio dei rapporti di forza tra Occidente e resto del mondo sulla base di una sorta di Commonwealth delle diverse culture non era un’ipotesi peregrina, a patto, tuttavia, che alcune condizioni venissero rispettate.

Arrighi fa riferimento in particolare a due aspetti. La capacità del governo cinese, in primo luogo del Partito comunista, di puntare su un efficace mix di “buona” concorrenza inter-capitalistica, promozione della divisione sociale e non tecnica del lavoro, investimento nelle tecnologie capital-saving, valorizzazione di nuovi modelli di impresa (le cosiddette “imprese di municipalità e di villaggio”), governo centralizzato degli strumenti creditizi e monetari; (…). La necessità di sviluppare una cooperazione internazionale in grado di garantire a Occidente come Oriente uno sviluppo sostenibile (dal punto di vista ambientale e sociale), all’interno di un rispetto reciproco e multipolare. (…)

Il rischio per la Cina – avverte Arrighi – è di “portare il miracolo economico a una fine prematura a causa dell’insostenibile pressione su risorse scarse (comprese l’acqua potabile e l’aria pulita) e l’ampliamento della frattura che si sta aprendo tra coloro che per la loro condizione hanno potuto godere dei benefici della rapida crescita economica e quelli che ne hanno dovuto solo sostenere i costi. (…) Questa frattura ha già prodotto una grande ondata di proteste popolari nelle quali il malessere ecologico ha trovato ampi spazi e che hanno prodotto importanti aggiustamenti nelle politiche cinesi nelle direzione di uno sviluppo più equilibrato fra aree urbane e rurali e fra economia e società.”Conclude Arrighi: “il risultato finale di questi aggiustamenti sarà di importanza cruciale per il futuro, non solo della società cinese, ma del mondo intero.”

In questo quadro Arrighi sottolinea, come per il versante cinese, abbiano svolto un ruolo rilevante le lotte operaie nella prima decade del nuovo millennio. (…) Ciò che si è sviluppato nei quindici anni seguenti ha aperto nuove contraddizioni, soprattutto sul versante occidentale. La crisi dei mutui subprime ha accelerato il declino dell’egemonia “made in USA”. (…)

Il risultato è stato un aumento del debito pubblico USA a fronte di una crescita economica inferiore alle attese e un peggioramento delle disuguaglianze economiche e razziali che hanno incrementato le tensioni sociali. L’interdipendenza con il mercato cinese è aumentata, anche grazie al fatto che la politica commerciale cinese si è ulteriormente globalizzata con il progetto della nuova via della seta. (…)

Contemporaneamente la Cina è diventata, a partire dal 2006, esportatrice netta di prodotti tecnologici e a partire dal 2016 il numero di brevetti cinesi risulta superiore a quello Usa. Inoltre, gli investimenti in energie rinnovabili hanno superato nell’ultima decade quelli americani fino a raddoppiarli.

Anche nel capitalismo delle piattaforme, terreno solitamente egemonizzato dalle grandi corporation americane (le cosiddette GAFAM: Google, Alphabet, Facebook, Amazon, Micorsoft, a cui oggi si può aggiungere anche Netflix), l’avanzata cinese si è fatta sentire sino a creare un equivalente acronimo BATH, che sta per Baidu, AliBaba, Tencent e Huawei).

Il nuovo disordine mondiale

La previsione di Arrighi che il nuovo secolo sarebbe stato il “secolo cinese” si è dunque pienamente realizzata. Ciò che invece appare ancora lontano dall’orizzonte storico è la possibilità di un ordine mondiale improntato alla cooperazione e al reciproco rispetto tra diverse aree geografiche più potenti, al fine di garantire stabilità e riequilibrio dei rapporti di forza tra Occidente e il resto del mondo.

A partire dalla crisi finanziaria globale del 2007-2008, le divergenze politico-economiche tra Usa e Cina si sono ampliate. L’ascesa alla presidenza Usa di Donald Trump ha ulteriormente acuito le tensioni tra i due stati, sino a scatenare forme di guerra commerciale, nel tentativo (destinato a fallire) da parte degli Usa di recuperare l’egemonia perduta. Anche la nuova amministrazione Biden non sembra discostarsi da un atteggiamento di continuo attacco verso la Cina. L’unica differenza, rispetto a Trump, sembra essere l’abbandono parziale degli strumenti tipici della guerra commerciale (politiche protezionistiche) per rispolverare quelli più tradizionali geopolitici e militari. (…)

Le soggettività conflittuali e le diverse risposte

Nel capitolo 12, intitolato Origini e dinamica dell’ascesa cinese, Arrighi argomenta come lo sviluppo economico cinese sia un mix di provvedimenti economici, giuridici e sociali che traggono origine dalla cultura della storia della stessa Cina (…) Negli anni Ottanta, che segnarono l’inizio della crescita economica, un ruolo fondamentale è stato svolto dalla dinamicità delle “imprese di municipalità e di villaggio”. (…) In un secondo stadio [il governo] ha proceduto al rinnovamento delle imprese di stato, programmando un forte sviluppo industriale ad alta intensità di lavoro (che Arrighi definisce appunto smithiano)” (…) Infine, il governo cinese, diversamente dalle prescrizioni neoliberiste del cosiddetto Washington Consensus, ha evitato di liberalizzare oltre misura le attività finanziarie, ha mantenuto il cambio ancorato al dollaro e il controllo sui movimenti di capitale, garantendo in tal modo condizioni di stabilità e riducendo la turbolenta influenza di mercati finanziari sempre più onnivori.

Tali scelte politiche e sociali sono anche il frutto del deciso incremento dei conflitti sociali (sul lavoro come sull’ambiente) che ha accompagnato la rapida crescita economica.

Anche negli Stati Uniti, soprattutto negli ultimi anni, abbiamo assistito a una ripresa dei movimenti e di una soggettività antagonista. Inizialmente, dopo la grave crisi finanziaria del 2007-2008, il movimento Occupy ha sviluppato una capacità critica contro le oligarchie finanziarie, come mai si era visto in precedenza. Se tale movimento non ha ottenuto immediati risultati politici, ha comunque scosso la certezza del pensiero unico neoliberista e ha evidenziato la crescente disuguaglianza dei redditi. (…)

Più recentemente il movimento Black lives matter ha rimesso in discussione la retorica di Trump del “(White) American first” sino alla sua sconfitta, ma ciò non sembra che al momento abbia portato una svolta più radicale nella gestione della politica economica interna e nella politica estera. Le soggettività conflittuali hanno così ottenuto risultati differenti. Se in Cina, il perenne, spesso sotterraneo, conflitto sul lavoro e per il rispetto dell’ambiente riesce comunque a incidere, anche se in modo parziale, sulle scelte politiche nazionali, ovvero viene riconosciuto come segnale d’allarme quando cresce troppo, negli Usa la tensione sociale, seppur in aumento (sino a far credere che potesse sfociare in una sorta di guerra civile) non è in grado di incidere sui rapporti di forza sociali ed economici e rischia (al momento) di rimanere pura testimonianza. (…)

Checché se ne possa dire, la lotta di classe è sempre in azione. Subisce processi di metamorfosi, cambia i soggetti interessati (oggi precari o altri), modifica l’agire del conflitto (oggi il welfare, per fare un esempio), ma non può arrestarsi.

Il termometro delle lotte varia a seconda delle longitudine. E anche da questa prospettiva, ci sembra di affermare che il conflitto sociale in Oriente abbia più capacità di farsi ascoltare che in Occidente. Sta a noi rompere questa rassegnazione occidentale.

[G. Arrighi, Adam Smith a Pechino. Genealogie del ventunesimo secolo, Mimesis, 2021]

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