Chissà per quale bizzarria del caso (“una felice coincidenza”, come scrive con involontaria ironia un autorevole quotidiano del nostro paese) è a suo tempo toccato a due ex-primi ministri ambedue italiani l’incarico ufficiale di analizzare lo stato dell’Ue, in particolare nel campo economico e di proporre soluzioni per rilanciare un progetto ormai abbastanza palesemente in perdita di colpi. Per altro verso, le analisi e le proposte di Letta non sembrano avere interessato realmente nessuno ed esse sembrano cadute precocemente nel dimenticatoio, come del resto era giusto; chi scrive pensa che anche quelle di Draghi, nonostante la felice accoglienza che esse hanno ricevuto sulla gran parte delle stampa italiana (un po’ meno su quella internazionale; da rilevare ad esempio lo scetticismo che pervade un articolo dell’Economist: Charlemagne, 2024), appaiono poco credibili e comunque fra poco non se ne parlerà più in giro, tranne forse che per la sua proposta di spendere di più per le armi, idea che interessa molto a diverse entità et pour cause. Forse il rapporto servirà poi allo stesso Draghi come referenza per ottenere qualche incarico di prestigio tra UE e Stati Uniti.
Ma è peraltro disponibile in giro qualcosa che possa rilanciare l’economia europea, ci si chiedeva dubbiosi in un recente numero dell’Economist? Chi scrive non intravede nulla di ragionevolmente realistico in proposito. Ma chissà. Intanto sorprende che in qualche modo vedano molti punti positivi nel Rapporto Draghi personalità come Maurizio Landini e Thomas Piketty. Miracoli dell’estate!
In generale molto è stato comunque già scritto sul rapporto di Draghi. Le note che seguono riprendono diverse di tali analisi, mentre cercano anche di aggiungere qualche osservazione su temi dei quali si è poco parlato.
L‘analisi e le proposte
Il rapporto Draghi sottolinea, innanzitutto, come l’Ue si trovi di fronte ad un lento e tormentato declino economico; la crescita rallenta sin dall’inizio del secolo, mentre la crisi energetica ha mostrato che la UE deve eliminare la sua dipendenza da paesi di altri continenti per l’energia e per materie prime vitali.
Il gap tra i 27 paesi che fanno parte dell’Unione e gli Stati Uniti a prezzi 2015, ci ricorda Draghi, è passato del 15% del 2002 al 30% del 2023. Più in generale i tassi di crescita del pil e degli investimenti, nonché i progressi tecnologici, sono rimasti indietro rispetto agli Usa e alla Cina. Tra l’altro, solo 4 delle prime 50 società nel settore tecnologico a livello mondiale sono europee, dimenticando di aggiungere che esse comunque non sono certo ai primi posti della classifica. Mai, afferma Draghi, la scala dei nostri paesi è apparsa così piccola ed inadeguata rispetto alla dimensione delle sfide in atto. Si tratta di una sfida esistenziale.
Ma nel periodo del declino dell’Europa e rispetto a questa analisi della situazione sono stati in diversi a chiedersi dove si trovasse negli ultimi venti anni e più lo stesso Draghi; si potrebbe in qualche modo sostenere che egli è stato uno dei protagonisti di questo declino. Come afferma Pasquale Tridico (Tridico, 2024) «La mancanza di competitività denunciata nel rapporto è figlia di politiche neoliberiste e dell’assenza dello Stato negli investimenti industriali e nei comparti tecnologici dell’economia. Draghi non è il più titolato a muovere questa critica e soprattutto non l’ha mai affrontata nei tanti ruoli di potere che ha avuto».
A questo punto egli afferma come sia necessaria una nuova strategia industriale per l’Europa attraverso un riorientamento della politica economica, nel quadro di una più forte integrazione economica dei vari paesi, con nuovi finanziamenti comuni e investimenti comuni.
Tra le raccomandazioni specifiche dell’ex-governatore ci sono un allentamento delle regole sulla concorrenza, per permettere un consolidamento in settori come le telecomunicazioni, l’integrazione dei mercati dei capitali dei vari paesi europei, oggi piccoli e frammentati, nonché l’allineamento e la semplificazione delle regole della concorrenza, industriali, del commercio, poi maggiori acquisti in comune nel settore della difesa, infine una nuova agenda commerciale, il tutto per aumentare l’indipendenza economica della UE.
Tra l’altro, si propone di spingere gli investimenti nella digitalizzazione e nelle altre tecnologie avanzate, poi in quelle pulite e nella transizione verde, campo dove siamo ostaggio dei cinesi e nelle materie prime critiche; da buon atlantista suggerisce, last but not least, che la spesa pubblica per la difesa degli stati membri della UE è insufficiente nell’attuale contesto geopolitico e che bisogna quindi aumentarla.
Senza un forte aumento degli investimenti e una crescita della produttività l’Europa, afferma Draghi, tenderà a restare ancora più indietro rispetto agli Stati Uniti e alla Cina. Per raggiungere gli obiettivi del rapporto l’UE avrebbe bisogno di effettuare investimenti addizionali sino a 800 miliardi di euro all’anno, un importo enorme, quasi pari al 5% del pil dell’UE nel 2023. Ora, afferma Draghi, il settore privato non è in grado di finanziare da solo la fetta più importante di tale spesa; ci vuole anche il sostegno pubblico.
Egli propone a questo punto l’emissione di strumenti di debito comune che verrebbero appunto utilizzati per finanziare progetti di investimento congiunti volti ad aumentare la competitività e la sicurezza europei, come del resto si è già fatto, ricorda l’ex-governatore, con il Next Generation fund.
Le risorse e altre obiezioni
Sin qui il rapporto.
Si può dire in generale che a fronte di un’analisi sostanzialmente corretta della situazione in cui si trova l’economia della UE in grave ritardo rispetto a Cina e Usa e con crescita molto lenta che si trascina almeno dall’inizio del secolo, corrispondono invece delle proposte o non condivisibili, lacunose o francamente irrealistiche.
Si tratta intanto di un rapporto strettamente economicista. Da questo punto di vista, nessuna sostanziale proposta fa Draghi per rilanciare lo Stato sociale, migliorare la sanità, la scuola, le pensioni, ridurre le diseguaglianze, temi cui egli fa soltanto un breve cenno nel rapporto. Né gli riesce di trovare un ruolo, in questo vorticoso giro di miliardi, per delle società pubbliche; il settore pubblico è visto solo come portatore d’acqua a quello privato.
L’impronta strettamente economicista si ritrova anche nella grande carenza sulle proposte della governance necessaria per gestire il piano; senza una struttura di governo adeguata quelle politiche non potranno essere promosse (Fabbrini, 2024). Si sentono a questo proposito echi di Luigi XIV che varando grandi piani civili e militari esclamava, come è noto, l’intendance suivra. Ma finì in un disastro. Le proposte avanzate in tal senso nel rapporto sono molto parziali e molto deboli.
Sul fronte politico, come sottolinea anche il New York Times (Gross, Cohen, 2024), bisogna poi ricordare che i partiti di estrema destra, che hanno ormai una quota significativa dei consensi in Europa, sono certamente ostili a dare ancora più poteri a Bruxelles e dato che essi governano in diversi paesi e che le proposte di Draghi devono essere approvate all’unanimità dagli Stati, è molto difficile che esse passino. Quasi nessun paese appare poi disponibile ad approvare l’ampliamento delle materie decise a maggioranza. Il caos politico ora vigente in Francia e Germania, i due paesi guida dell’Unione, appare un altro ostacolo insormontabile all’adozione delle proposte.
Peraltro, lo stesso governo tedesco, come è noto, si rifiuta categoricamente di accettare che la Bce emetta nuovi strumenti di debito comune e l’Olanda è ufficialmente anch’essa su questa linea. A Bruxelles, dove in questo periodo hanno poco da fare, si arrovellano nel cercare una formula che accontenti i tedeschi, ma sembra un esercizio molto difficile; si parla, tra l’altro, di allungare il periodo di restituzione dei fondi del NGEU (Tamma, Foy, 2024). D’altro canto, gli stessi paesi del Nord, con in testa sempre la Germania, sono molto cauti anche nell’aumentare le spese ed anche un cambiamento di governo, con l’ingresso della CDU, peggiorerebbe semmai il quadro. I piani per un’integrazione dei mercati dei capitali sono poi sempre stati frustrati dagli interessi nazionali e continueranno presumibilmente ad esserlo.
Del resto la proposta di un debito comune frenerà quello dei singoli Stati, in particolare di nuovo per quanto riguarda la difesa dello Stato sociale.
Come sottolinea alla fine Martin Wolf del Financial Times (Wolf, 2024), sul piano della realizzabilità del piano «le ragioni di molti problemi che Draghi descrive, in particolare quelli della frammentazione dei singoli Stati e del loro conservatorismo, sono anche quelle per cui le sue soluzioni radicali sarà improbabile che vengano adottate».
La proposta di allentare le regole della concorrenza (Foy, Espinoza, Tamma, 2024) suscita la preoccupazione che essa possa favorire solo i grandi gruppi del settore, minando la concorrenza e l’innovazione, mentre parallelamente essa danneggerebbe le piccole e medie imprese, come ha subito messo in evidenza per il settore delle telecomunicazioni l’associazione Ecta, e farebbe salire i prezzi per imprese e consumatori. Siamo peraltro sempre nel solco della deregolamentazione neoliberista (Barbara Spinelli). Anche Margrethe Vestager, la commissaria Ue per la concorrenza, ora in uscita, ha sottolineato i pericoli del mutamento delle regole sulla concorrenza, che potrebbero secondo lei aprire un vaso di Pandora.
Vanno anche sottolineati da una parte l’enormità delle risorse richieste per portare avanti il piano – sembra assolutamente impossibile riuscire a reperire tali somme-, mentre d’altra parte appare del tutto irrealistico anche pensare che l’Europa riesca a rendersi autonoma nel settore delle materie prime (anche raggiungere un’autosufficienza del 30% sarebbe un’impresa titanica).
Per altro verso, come sottolinea Roberto Romano (Romano, 2024), il rapporto è un elenco di buoni propositi, un catalogo di buone intenzioni, di cui non viene però analizzato il possibile impatto economico e sociale; quanto può crescere il valore aggiunto? quanta occupazione verrebbe creata o distrutta? E così via.
I settori maturi
A proposito di settori di intervento, il rapporto è tutto proiettato sulla necessità di investire nelle nuove tecnologie. Ma al di là di tale area, bisogna ricordare che l’economia europea si reggeva soprattutto su alcuni settori maturi che qualificavano anche la sua presenza nel mondo. Facciamo riferimento in particolare al settore dell’auto, alla chimica, alla meccanica. Tutte queste attività si trovano ora in grandi difficoltà, mentre Draghi non affronta il problema generale, limitandosi ad analizzare il caso dell’auto, che sappiamo essere in una pessima condizione.
Prendiamo, ad esempio, il caso della chimica. Sullo sfondo del fatto che il mercato cinese tende a posizionarsi come il 50% di quello globale e quello europeo intorno al 10%, mentre i costi dell’energia in Europa sono ormai molto più elevati che in Cina o negli Stati Uniti, i grandi produttori tedeschi tendono a fuggire dalla Germania, dove si chiudono degli impianti, mentre si aprono grandi complessi tedeschi in Cina; intanto Abu Dhabi mira a comprare una grande società tedesca del settore, con una rotta quasi completa. Certo restano il settore alimentare, quello del lusso, quello del turismo. Ma quest’ultimo è un settore povero la cui crescita comunque è frenata dai limiti che sono emersi quest’estate; quello del lusso si trova di nuovo alla mercè del mercato cinese e di quello Usa, sino a quando non verrà preso d’assalto dagli stessi cinesi (ci sono le prime avvisaglie). Ma il rapporto non dice molto in proposito.
Draghi e la Cina
Apparentemente il rapporto non è piaciuto molto ai cinesi, che si domandano anch’essi se le sue ricette sono quelle di cui l’UE ha bisogno. Così il Global Times dell’11 settembre (GT, 2024) sottolinea intanto che nelle 69 pagine di base del rapporto la Cina è citata in ben 25 pagine. Il giornale sottolinea come già in passato Draghi abbia condannato la Cina perché essa minaccerebbe di danneggiare fortemente la base industriale europea, tentando tra l’altro di catturare e di internalizzare tutti i segmenti della catena di fornitura nelle tecnologie avanzate ed in quelle verdi.
Ma in realtà i problemi dell’economia europea rivelano dei difetti strutturali interni del continente che non ce la fanno a cambiare e ad adattarsi ai nuovi sviluppi economici e tecnologici, afferma il quotidiano. Prendersela con la Cina non soltanto nasconde i veri problemi, ma mischia le questioni di competitività con i giochi geopolitici. Il ricorso al protezionismo – in particolare con la fissazione di alti dazi sulle vetture cinesi e con molte altre azioni minacciate, su cui nel rapporto Draghi non c’è sostanzialmente alcun commento (è a favore?) – non può risolvere in alcun modo i problemi reali dell’Europa.
Sottolineiamo come invece il primo ministro spagnolo, Sanchez, dopo quello tedesco, si sia schierato chiaramente contro i dazi alle vetture elettriche cinesi dichiarando che bisogna trovare un compromesso sulla questione, mentre auspica relazioni più strette, più ricche e più bilanciate con il paese asiatico. Non bisogna prendersela con la Cina, ma piuttosto cercare di risolvere i propri problemi strutturali. L’UE dovrebbe affrontare le frizioni commerciali con la Cina attraverso il dialogo e le consultazioni. Cosa che sostiene anche China Daily, l’altro importante quotidiano in lingua inglese, nella sua edizione del 13 settembre 2024, sottolineando come nel rapporto non ci sia alcuna proposta di collaborazione con la Cina, che sarebbe invece una decisione vincente per ambedue i soggetti.
Non possiamo non essere d’accordo con tali analisi.
Gli Usa, il convitato di pietra
E poi ci sono i rapporti con gli Stati Uniti.
Le relazioni economiche tra le due sponde dell’Atlantico sono piuttosto complicate, per usare un eufemismo. Come indica un testo recente (Volpi, 2024) gli Stati Uniti succhiano il sangue dell’Europa da decenni, come del resto fanno con gli altri paesi alleati, in particolare con il Giappone; il loro dominio sulle tecnologie viene ottenuto grazie alla creazione di immensi monopoli capaci di cancellare le imprese tecnologiche europee e persino di bloccare la ricerca pubblica europea. Bisogna poi ricordare la gestione globale dei prezzi dell’energia completata con la chiusura del gas russo, i processi di finanziarizzazione, per cui la grandissima parte del risparmio europeo va a finire nei fondi controllati dagli Usa, mentre si utilizza il dollaro per emarginare l’euro e si spingono alcune filiere europee a collocarsi negli Stati Uniti e mentre analoga operazione si fa con i produttori di chip di Taiwan e Corea del Sud.
Draghi da buon vecchio atlantista non parla certo di questi temi; comunque con la sua sottolineatura del fatto che dobbiamo cercare di raggiungere Usa e Cina, con il cenno alla necessità di renderci almeno in parte autonomi in generale e in specifico sulla spesa per la difesa rafforzando le imprese europee del settore, egli sembra cercare di mettere le basi per un certo moderato livello di autonomia. Anche la di lui auspicata creazione di un mercato dei capitali europei contrasterebbe in qualche modo l’egemonia Usa.
Conclusioni
Appare al di fuori di ogni realistica possibilità l’ipotesi che l’UE sia d’accordo nell’avviare una così forte discontinuità nelle sue politiche, che essa abbia la forza e la capacità per arrivare a investire delle somme colossali ed abbia anche la capacità di farlo. Appare chiaro che la nuova compagine di Bruxelles tenderà a vivacchiare e certo non si porrà ambizioni di tal sorta. Quindi non c’è che da aspettarsi la continuazione di una tendenza in atto al declino economico, finanziario, politico dell’Europa. Così il rapporto, come suggerisce qualcuno (Bonanni, 2024), potrebbe semplicemente rivelarsi come l’epitaffio della vecchia Europa.
Alla fine un rapporto inutile e persino pericoloso, che per fortuna quasi nessuno, a parte la nostra stampa che va per la maggiore e i nostri illuminati partiti di destra e di sinistra, sembra prendere sul serio. Allora, dopo Letta e Draghi, avanti un altro. Perché non affidare un nuovo rapporto ad un altro ex, il nostro volenteroso Gentiloni? Sembra che al momento egli sia virtualmente disoccupato.
Testi citati nell’articolo
-Bonanni A., Si fa l’Europa o si muore, La Repubblica, 10 settembre 2024.
-Fabbrini S., Il rapporto Draghi e la trappola della governance, Il Sole 24 Ore, 15 settembre 2024.
-Charlemagne, Whatever it costs, The Economist, 14 settembre 2024.
-Foy H., Espinoza J., Tamma P., Mario Draghi confronts the EU merger’s police, www.ft.com, 9 settembre 2024.
-Global Times, Does “Draghi’s report” offer the prescription Europe truly needs ?, www.globaltimes.cn, 11 settembre 2024.
-Gross J., Cohen P., Europe’s «reason for being» is at risk as competitiveness wanes, report warns, www.nytimes.com, 9 settembre 2024.
-Romano R., Perché il rapporto Draghi non è il piano Delors, www.sbilanciamoci.it, 13 settembre 2024.
-Tamma P., Foy H., Brussels explores Draghi option of extending up to euro 350bn in EU debt, www.ft.com, 12 settembre 2024.
-Tridico P., Quel peccato originale del documento Draghi, Il fatto quotidiano, 13 settembre 2024.
-Volpi A., I padroni del mondo, Laterza, Bari, 2024.
-Wolf M., Draghi hopes to save Europe from itself, Financial Times, 18 settembre 2024.