Dopo 30 anni di vertici sul clima, i gas serra nell’atmosfera hanno raggiunto nel 2022 livelli record e, sulla base degli attuali piani climatici, non solo non verranno centrati gli obiettivi degli Accordi di Parigi di mantenere il riscaldamento globale entro 1,5 gradi dai livelli pre-industriali, ma assisteremo ad un aumento delle temperature di quasi 3 gradi Celsius entro la fine del secolo. Una vera e propria guerra all’ambiente. «Un ciclo mortale. Il ghiaccio riflette i raggi del sole. Quando svanisce, più calore viene assorbito nell’atmosfera terrestre. E questo significa più riscaldamento, che significa più tempeste, inondazioni, incendi e siccità in tutto il mondo» aveva ripetutamente ammonito il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, aggiungendo: «Alla COP28 i leader devono interrompere questo ciclo. Le soluzioni sono ben note a tutti». Non è andata così. E non è andata così perché, ancora più che in altre occasioni, la COP ha confermato di essere un disco rotto, come sottolineano con accenti diversi i tre contributi di Alessandro Montebugnoli, Vincenzo Comito e Stefano Bellucci che aprono questo numero.
Le soluzioni per una lotta al climate change ci sarebbero. Sono note, ma tutt’altro che condivise, anche nel mondo più sensibile alla causa ambientalista. A monte permangono rappresentazioni diverse sulle cause remote e attuali della “guerra all’ambiente” sulla quale proviamo – non è la prima volta – a gettare un pur piccolo squarcio di luce. Indicando i nomi e i cognomi dei belligeranti e dell’esercito dei numerosi complici di questa tutt’altro che incruenta guerra, a partire da tutti coloro per i quali il clima è diventato un affare, oggi per tanti più redditizio di altri. Eppure, sostiene una larga letteratura, l’Antropocene, rappresenta un punto di non ritorno, una trasformazione irreversibile, che ci costringe a ripensare radicalmente l’articolazione delle temporalità umane e naturali. Ma ad invertire la rotta è sufficiente, come postula pure un diffuso senso comune, una rivalutazione dell’ambiente in quanto tale, l’affermazione meramente etica del valore intrinseco della natura e della centralità della biosfera?
Noi pensiamo di no. Noi pensiamo sia necessario chiamare le cose con il loro vero nome. Capitalocene. La sua rimozione nel discorso pubblico si traduce in una deontologia del “guadagnar tempo” da parte delle punte avanzate del modo di produzione neoliberale come emerge dagli articolati contributi di Antonio Cantaro, Donato Caporalini e Claudio de Fiores. In una duplice e connessa forma. Da una parte, con una esternalizzazione dello sviluppo insostenibile a quelle parti del pianeta abitate da popoli che hanno intrapreso da ultimi un sentiero di crescita e di secolare emancipazione dalla povertà (oggi le attività estrattive sono localizzate, perlopiù, lontane dai paesi occidentali). Dall’altra, con una internalizzazione della distruzione creativa, con una messa a profitto senza precedenti, grazie anche all’accelerazione della rivoluzione digitale, dell’intero tempo di vita dell’umano, della sua “vita biologica” così come della sua vita contemplativa, della sua natura e della sua cultura.
In palese contrasto con la realtà concreta, l’odierna (neoliberale) narrazione capitalista promette, in alleanza con la tecno-scienza, di inverdire le attività produttive e i consumi, di eliminare i “danni emergenti” del precedente modello “estrattivista” di crescita. Ma il progresso rispetto alla situazione di partenza è, al momento, quantomai risibile, come si evince dalle Lezioni d’autore proposte in questo numero. Con buona pace degli apostoli – consapevoli o inconsapevoli, poco importa – del cosiddetto sviluppo sostenibile. Una ideologia sempre più consolatoria.
Buona lettura e buone feste. Ci rivediamo nell’anno che verrà. Con nuove e ardite imprese delle quali renderemo presto partecipi i nostri lettori.
Post scriptum. Da diverse settimane la produzione americana di greggio è a livelli mai raggiunti da nessun altro Paese nella storia. Secondo i dati settimanali dell‘Energy Information Administration, all’inizio di dicembre la produzione ha raggiunto i 13,3 milioni di barili di petrolio greggio al giorno. Un tasso di produzione superiore al record raggiunto nel marzo 2020 sotto il mandato di Donald Trump. Nonostante la (retorica) priorità dell’amministrazione Biden nella lotta al cambiamento climatico, la Casa Bianca punta sull’abbassamento del prezzo della benzina per migliorare (sic!) l’immagine del presidente tra gli elettori. Auguri Presidente!