web magazine di
cultura politica e costituzionale

IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

web magazine di cultura politica e costituzionale

IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

Il conservatorismo è l’altra faccia della globalizzazione

Per Marco D'Eramo, tanto più il mercato e la concorrenza sono amorali e asociali tanto più è necessario un collante extra economico. Il cosmopolitismo globalista ha bisogno del localismo territoriale; i movimenti identitari sono solo l’altra faccia della globalizzazione, l’uno non può andare senza l’altro.

In America Latina e in America germanica, ma non in Europa, la counter – intelligence dell’ideologia neolib si è alleata, intrecciata e fusa con il cristianesimo più conservatore. Lo si vede negli Stati Uniti di Donald Trump e nel Brasile di Jair Bolsonaro. Eppure l’ideologia neoliberista si fa un punto di prescindere dalla morale come metodo e come prospettiva, deifica l’egoismo personale, sottopone persino il concetto di giustizia alla misura di quanto costa farla rispettare, non arretra di fronte alla prospettiva della schiavitù né della compravendita dei bambini. Ciò nonostante, gli stessi miliardari e le stesse fondazioni che sponsorizzano il capitalismo più nudo, che spingono per la globalizzazione del mondo, nello stesso tempo finanziano e sostengono una religione identitaria, rivolta al mantenimento delle tradizioni. È un mistero anche il reciproco: come fanno dei cristiani che dovrebbero praticare la povertà e privilegiare l’”ama il prossimo tuo come te stesso” a sostenere l’ideologia dell’interesse personale, dell’egoismo?

L’alleanza tra ideologia neolib e cristianesimo conservatore

La domanda se la poneva Wendy Brown dopo che il voto massiccio dei cristiani conservatori aveva assicurato la rielezione di George Bush Jr. per il suo secondo mandato: “come fa una razionalità che è esplicitamente amorale a livello sia dei fini che dei mezzi (neoliberalismo)  a incrociarsi con una che è esplicitamente morale e regolatoria (neoconservatorismo)? Come fa un progetto che vuota il mondo di senso, che deprezza [cheapens] e sradica la vita e apertamente sfrutta il desiderio, a intersecarne uno basato sul fissare e imporre i significati, sul conservare certi stili di vita, sul reprimere e contenere il desiderio?

(…)

L’ipotesi libertina della religione come “finzione”

Una prima risposta è che semplicemente i neoliberisti la religione la usano. Riprendendo Polibio, per primo nell’Europa cristiana, Niccolò Machiavelli ha sostenuto che la religione è stata introdotta nelle società umane come strumento di governo: “ E vedesi, chi considera bene le storie romane, quanto serviva la religione a comandare gli eserciti, a riunire la Plebe, a mantenere gli uomini buoni, a fare vergognare i rei”. Ma andando oltre Polibio, Machiavelli dice che per introdurre la religione a Roma Numa Pompilio “simulò di aver dimestichezza con una Ninfa”, cioè finse di ricevere la parola divina: “la religione introdotta da Numa fu tra le prime cagioni della felicità di quella città, perché quella causò buoni ordini, i buoni ordini fanno la buona fortuna, e dalla buona fortuna nacquero i felici successi delle imprese. E come la osservanza del culto divino è cagione della grandezza delle repubbliche, così il dispregio di quello è cagione della rovina di esse”. Machiavelli inaugurava così la tradizione libertina secondo cui la religione è una finzione, un’impostura necessaria a disciplinare le plebi.

(…)

L’esperienza ci dice però che l’ipotesi del cinismo, e cioè che i potenti sfruttino cinicamente le superstizioni del volgo, può essere anche vera, ma è troppo elogiativa, perché alla fine gli stessi potenti (politici o miliardari) finiscono per credere a quelle superstizioni che pensano di sfruttare. Non solo: la tesi di Machiavelli e dei libertini si applica a tutti i governanti, di qualunque sponda, proprio come sono bipartisan le coalizioni di preghiera a Washington. Ma come si vede benissimo dal fenomeno pentecostale in America Latina, c’è una specificità, tutt’altro che bipartisan, nel rapporto tra cristianesimo conservatore da un lato e oltranzismo neolib dall’altro.

(…)

La svolta degli anni Trenta

Fin dall’Ottocento i grandi capitalisti e l’ala conservatrice del cristianesimo sono stati uniti da un avversario comune, e cioè il movimento operaio, il socialismo ateo e anticapitalista. Ancora una volta,“il nemico del mio nemico è mio amico”. Ecco perché il rapporto tra grande capitale e cristianesimo conservatore si fa più stretto, più intimo, quando negli anni 30 del secolo scorso sia i capitalisti che i cristiani si trovano contro il New Deal rooseveltiano, cioè quando il movimento dei lavoratori ottiene vittorie significative in risposta alla grande depressione. Non dimentichiamo che dopo il 1929 il grande capitale godeva di pessima stampa, le sofferenze di milioni di senza tetto e disoccupati erano addebitate all’avidità esosa dei magnati dell’industria e della finanza. Il capitalismo era screditato dai fallimenti. E Franklin Delano Roosevelt abbondava di citazioni religiose e parafrasava  giudizi enunciati dalla corrente clericale dei Social Gospel all’inizio del secolo. Fu allora che le associazioni padronali si rivolsero ai predicatori per difendere il capitalismo “dall’indifferenza dello Stato”: “i titani dell’industria arruolarono pastori e conservatori nello sforzo di promuovere nuovi argomenti politici espressi dalla frase “libertà sotto Dio”.

(…)

Quando perciò, dopo la seconda guerra mondiale, scoppiò la guerra fredda, con l’ovvio nemico comunista (il Satana sovietico), la macchina cristiano- patronale era già rodata e in grado di sfruttare appieno la nuova tecnologia della televisione.

(…)

Predicatori e mass-media

Si tenga conto che nelle lunghe ore di guida che scandiscono la giornata statunitense, è quasi impossibile non ascoltare prediche radio. E davanti alla televisione non si può fare zapping tra i vari canali senza inciampare in un telepredicatore dopo l’altro. La tv è stata il canale privilegiato per diffondere il messaggio dei conservatori cristiani, tanto che la figura del telepredicatore è diventata proverbiale. Nel 1960 Pat Robertson (1930) fondò il Christian Broadcasting Network (Cbn) che è stato da subito in prima linea nella guerra culturale, è visto in più di 200 paesi e in 70 lingue. La sua trasmissione, il 700 Club, è vista da un milione di persone. Robertson ha fondato anche l’International Family Entertainment Inc., un canale via satellite con 63 milioni di abbonati, venduto nel 1997 a Fox Kids Worldwide per 1,9 milioni di dollari. Robertson ha lanciato anche la Regent University, l’Operation Blessing International Relief and Development Corporation e l’American Center for Law and Justice.

La fine della guerra fredda e l’undici settembre hanno fatto cambiare rotta e conservatori cristiani. Sempre antisemiti sono, ma se prima il loro antisemitismo era diretto contro gli ebrei, da allora si manifesta contro gli arabi. Per Robertson l’islam era una religione che vuole distruggere le altre; per l’ex presidente della Southern Baptist convention, Jerry Vines, Maometto era un “pedofilo posseduto dal demonio”, e per Franklin Graham (figlio ed erede di Billy) “l’Islam è una religione malvagia e perversa”. Nel gennaio 2001 Franklin Graham aveva tenuto l’orazione introduttiva all’insediamento di Bush alla Casa Bianca. E Donald Trump aveva appoggiato la fake news che Barack Obama fosse in realtà un musulmano che aveva frequentato le madrasse (secondo un sondaggio l’ottanta percento degli statunitensi crede che Obama sia nato in America, ma solo i 39% sa che è cristiano e il 29% crede che sia musulmano).

Resta però sempre misterioso perché i grandi capitalisti abbiano una passione sviscerata per i fondamentalisti (gli USA si sentono a loro agio più con Begin che con Rabin, più con l’integralista Zia-ul-Haq che con i laici Gandhi). La ragione più profonda è proprio quella che stupiva Wendy Brown: nessuna società può basarsi su una  “razionalità che è espressamente amorale al livello sia dei fini che dei mezzi (neoliberalismo)”, su un “progetto che svuota il mondo di significato, che svaluta e sradica la vita e apertamente sfrutta il desiderio”. Insomma una società non può reggere sulla pura concorrenza. Lo sapevano anche gli ordoliberali tedeschi della Scuola di Friburgo:“non chiediamo alla concorrenza più di quello che può dare: è un principio d’ordine e di direzione nel settore particolare dell’economia di mercato e della divisione del lavoro, ma non un principio su cui sarebbe possibile erigere una società. Moralmente e sociologicamente è un principio pericoloso, più dissolvente che unificante. Se la concorrenza non deve agire come un esplosivo sociale né degenerare, nello stesso tempo presuppone un inquadramento tanto più forte al di fuori dell’economia, un quadro politico e morale tanto più solido”.

Tanto più il mercato e la concorrenza sono amorali e asociali tanto più è necessario un collante sociale extra economico. Un sospetto era già avvenuto da un’incongruenza palese dei neolib quando dicono (come facevano Friedman e Thatcher) che l’unità base dell’economia è indifferentemente l’individuo e la famiglia. Ma la famiglia può essere considerata un’unità solo se i legami che la uniscono non sono quelli di mercato  (checché ne dica Gary Becker), altrimenti la famiglia va scissa negli individui che la compongono e non è un’unità economica. L’unica base non può essere l’individuo e la famiglia, ma deve essere l’individuo o la famiglia.

Perciò, tanto più il capitale si fa globale, disancorato dai territori e dalle tradizioni, dalla storia, puramente comportamentale, tanto più ha bisogno di qualcosa che ricostituisca territorio, tradizioni, storia. Le più o meno velate simpatie razziste di tutti i neoliberal riagganciano alla carne, al sangue, ai corpi una teoria e una pratica sempre più esangui e immateriali, ben simbolizzate dal trading ultra veloce di azioni ormai svincolate da qualunque attore umano e gestito da un computer. Una delle ragioni più importanti per cui Occupy Wall Street si è esaurito è che Wall Street non è più a Wall Street, anzi, tecnicamente non c’è più: la borsa di New York è – da un punto di vista fisico – un’immensa serie di server e computer ammucchiati in giganteschi  hangar refrigerati a Mahwah, New Jersey.

Se questa ipotesi è vera, se cioè il cosmopolitismo globalista ha bisogno del localismo territoriale, allora sovranismi e movimenti identitari sono solo l’altra faccia della globalizzazione, l’uno non può andare senza l’altro. Esattamente come il fondamentalismo è un portato e una creatura del laicismo moderno.

Ma il libero mercato è esso stesso una religione

A proposito di fondamentalismo, un’altra, e forse decisiva  ragione del fascino reciproco che esercitano tra loro cristianesimo conservatore e neoliberismo è che il libero mercato è una vera e propria fede, con i suoi missionari, i suoi apostoli, i suoi templi (le banche ) e le sue Mega-Churches(le mega banche “too big to fail”). Nel libero mercato e nella mano invisibile ci si crede come si crede nella Trinità o nella doppia natura umana e divina di Gesù. E abbiamo già visto che il capitale umano è l’equivalente l moderno dell’anima.

(…)

Anche il teologo Cox si interroga sui rapporti tra le vecchie religioni e la nuova fede nel mercato, e pensa che la soluzione più probabile sia che gli antichi dèi si sottomettano alla nuova divinità e vivano nella sua ombra, come le identità possono fiorire all’ombra  globalizzante del capitale: “sembra altamente improbabile che le religioni tradizionali si sollevino e sfidino le dottrine del nuovo verbo. La maggior parte sembra accontentarsi di diventarne seguace o di essere assorbita nel suo Pantheon, come fecero le vecchie divinità nordiche, che dopo aver combattuto la nuova fede, alla fine si arresero, accettando uno statuto inferiore ma assicurato di santi cristiani”.

Ma forse la sua osservazione più gravida di conseguenze è quando Cox dice che il mercato è un Dio esigente: “il Dio mercato ha bisogno di trasformare le persone da quel che erano un tempo in persone preparate a ricevere e a mettere in pratica il suo messaggio. Devono essere rinati (born again). Devono essere riconfigurati”.

Born again”è un’espressione forse poco significativa in Europa, ma molto rilevante negli Stati Uniti (per esempio il presidente George W. Bush si diceva fiero di essere un Born again: (vuol dire essere rinato a nuova vita dopo aver avuto l’esperienza di Dio). Ed effettivamente il decisore razionale e massimizzante la scelta e l’uso dei mezzi per raggiungere scopi teorizzato da Gary Becker è la persona born again alla vita capitalistica.

E su questo terreno della fede che i grandi centri studi “laici”, I thinks tanks conservatori di Washington si connettono con i mistici invasati pentecostali. Come disse nel 1980 un membro del conservatore Istituto Ludwig von Mises: “Noi commerciamo in assoluti” (our people deal in absolute).

[M. D’Eramo, Dominio. La guerra invisibile dei potenti contro i sudditi, Feltrinelli, 2020]

image_pdfimage_print

Newsletter

Privacy

Ultimi articoli pubblicati