In Metropoli e fotografia. Da Simmel a Benjamin e oltre Costellazioni filosofiche (Mimesis, 2022) Antonio De Simone ci offre un documentato e articolato dossier storico-filosofico, sociologico ed estetico volto, nella scena del presente, per farci conoscere le costellazioni d’analisi con cui Georg Simmel, Siegfried Kracauer, Walter Benjamin e Roland Barthes hanno letto nel Novecento la morfologia dell’esperienza umana dello spazio urbano della metropoli moderna e la nascita e gli sviluppi della fotografia contemporanea.
In particolare, è all’«avventuriero dello spirito» per antonomasia, a Simmel, che occorre ancora rivolgersi per comprendere non solo la sensibilità della vita moderna e le forme del suo individualismo, ma anche il complesso intreccio tipologico delle figure sociali e forme di vita relative al divenire spaziale e urbano dell’essere. Ovvero, della forma urbis e dell’homo urbanus e al fenomeno della metropoli e della metropolizzazione della società che produce una nuova soggettività in cui il tempo e lo spazio sono trasformati dagli chocs quotidiani percepiti e vissuti dall’abitare umano nell’esposizione psicofisica al mutamento pervaso dal principio e dal mondo dell’utile.
Parimenti, è al genio filosofico e critico di Benjamin che dobbiamo una delle più sorprendenti letture “filosofiche” del rapporto tra spazio, esperienza, città, arte, aura, riproducibilità tecnica e fotografia e tra capitalismo, religione e metropoli, indispensabile per intenderne la loro rilevanza umana, sociale, culturale, politica e storica nel Moderno. Inoltre, si deve ancora a Barthes il gesto intellettuale che ha disvelato criticamente il senso e il significato della semiologia delle immagini, dell’irriducibile singolarità e della scrittura del visibile che si traducono nell’esperienza soggettiva della fotografia nella nostra contemporaneità.
Il bel libro di Antonio De Simone merita ben più di una semplice segnalazione e andrebbe letto e meditato anche dai tanti e sempre più numerosi appassionati e cultori della fotografia. Pochi anni prima di morire Jean-Leon Gérome, un pittore di fine ottocento, dirà che la fotografia aveva finalmente fatto uscire la verità dal pozzo, aveva costretto gli artisti ad abbandonare le vecchie routine e a dimenticare le vecchie formule. Condividiamo intimamente, intuitivamente, l’invito ad abbandonare le vecchie routine e a concentrare i nostri sforzi intellettuali anche, se non soprattutto, sulla lingua che utilizziamo. A impiegare i diversi linguaggi non solo come osservatori privilegiati per indagare la realtà, ma anche come strumento attraverso cui plasmarla, modificarla e darle senso. Le colte e sofisticate pagine di Antonio De Simone rafforzano questa nostra convinzione. Buona lettura.