IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

La Germania tra Europa, Stati Uniti, Cina

La Germania, guidata dal Cancelliere Olaf Scholz, non condivide la politica statunitense, seguita anche da Bruxelles contro l'interesse del Vecchio continente, del decoupling dalla Cina e persegue, al contrario, una sempre crescente autonomia strategica. Mentre l'Italia e la Francia appaiono inerti.

“Siamo nella giungla e ci sono due grossi elefanti sempre più nervosi se si fanno la guerra sarà un grosso problema per il resto della giungla” (Emmanuel Macron) “il mondo sta affrontando una svolta epocale…nuove potenze sono emerse, inclusa una Cina economicamente forte e politicamente determinata” (Olaf Scholz).
Da parecchio tempo appare chiaro che l’Europa, che continua ad essere disunita, ha grandi difficoltà a restare dietro agli Stati Uniti e alla Cina sul piano tecnologico e che i tentativi di rimediare a tale gap appaiono deboli, in particolare sul piano finanziario, nonché tardivi. Il problema è tale da mettere in difficoltà le prospettive di crescita economica del continente. Con la guerra in Ucraina, si è aggiunta una questione altrettanto grave, quella del forte aumento dei prezzi dell’energia (oltre che della sua difficile reperibilità) che, in particolare in alcuni settori industriali, appare insostenibile, mentre Cina e Stati Uniti per il momento non ne risentono. Si aggiunge la forte crescita dell’inflazione, questione che questa volta l’Europa ha in comune con gli Stati Uniti, mentre in Cina le ultime rilevazioni registrano un aumento dei prezzi al consumo del 2,1%. Molti mal di testa pone anche al nostro continente la crescente rivalità tra Stati Uniti e Cina, con Biden in particolare che vuole impedire che il paese asiatico li raggiunga e li superi sul piano tecnologico, economico, militare, compito peraltro immane per gli Usa, rispetto al quale egli cerca in ogni caso di coinvolgere gli alleati con pressioni di ogni genere. Così i paesi europei sono divisi tra fedeltà politica e interessi economici.

L’inflation Reduction Plan: un colpo di grazia per l’Europa?

Più recentemente si è aggiunto ai problemi menzionati quello che potrebbe essere il colpo di grazia per l’industria del nostro continente. Qualche mese fa Joe Biden ha varato l’Inflation Reduction Plan, un progetto che stanzia 738 miliardi di dollari, di cui 391 miliardi di spese pubbliche nel campo dell’energia e del cambiamento climatico. Vengono previste in particolare delle sovvenzioni massicce per le energie rinnovabili, per il nucleare, per l’acquisto di veicoli elettrici, nonché per la decarbonizzazione dell’industria e delle abitazioni. Le industrie, però, riceveranno i sussidi, soltanto se si svolgeranno sul suolo americano (Escande, 2022). Questo protezionismo USA ironicamente sembra ripagare l’UE per il sostegno incondizionato mostrato sul tema dell’Ucraina, dimostrando, come scritto da S. Lauer, 2022, che sulla libertà dei commerci Biden è alla fine come Trump, meno gli insulti. Ma la reazione politica europea a tutto questo è apparsa molto lenta e sino ad oggi abbastanza sottotono. “Una guerra commerciale costosa non è nel nostro interesse” ha dichiarato la von der Leyen, rifiutando di denunciare gli Stati Uniti davanti all’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), anche se le nuove norme di Biden stracciano molte delle regole dell’Organizzazione (Malingre, 2022). Ma la stessa von der Leyen ha invece attaccato davanti all’OMC la Cina (ogni pretesto in questo caso è buono) per una questioncina che tocca la sola Lituania.
Sembra a questo punto che la grande industria europea non abbia altra alternativa che spostare i nuovi investimenti negli Stati Uniti e/o anche in Cina, considerando che in quest’ultimo paese trova abbondanza di energia a basso costo, inflazione ridotta, un mercato enorme, una rete di fornitori imbattibile (già si leggono le prime indiscrezioni relative alla fuga verso tali lidi).

Le relazioni pericolose tra Germania e Cina

E veniamo in particolare al caso tedesco. Nell’ultimo periodo la quasi totalità della stampa occidentale si è scagliata con veemenza contro la Germania ed in particolare contro il cancelliere Olaf Scholz ritenuto colpevole di molti “delitti”; in primo luogo, quello di aver concesso l’acquisto di una quota di minoranza di una società del porto di Amburgo ad una impresa cinese; in secondo luogo, quello di aver effettuato un viaggio in Cina; infine, quello di aver pronunciato anche a Pechino, oltre che in patria, parole contrarie al decoupling e all’isolamento della Cina.
Brillano come al solito per oltranzismo nei commenti e per debolezza di argomentazioni i giornali italiani. La notizia dei movimenti e delle dichiarazioni di Scholz non è stata comunque vista molto bene neanche nell’ambiente politico interno tedesco, dove il “partito americano”, rappresentato dai verdi e dai liberali, ha manifestato la sua contrarietà al viaggio in Cina.
Naturalmente, ci si è mostrati scandalizzati anche a Bruxelles dove si va da tempo preparando, sotto la dettatura degli USA, un documento politico molto ostile al paese asiatico.
Certo il tradizionale modello economico tedesco è in difficoltà ed ha bisogno di una rilevante revisione. Tale modello si basava tra l’altro sull’energia tradizionale a basso prezzo e aveva scommesso sulla globalizzazione e sull’interdipendenza; la Germania aveva così appaltato la sua sicurezza agli Stati Uniti, il suo modello di crescita basata sull’export alla Cina e le sue grandi necessità energetiche alla Russia (Chazan, Nilsson, 2022).
Ma, in ogni caso, la risposta tedesca sembra andare in direzione opposta a quella degli Usa e della UE, legandosi ancor di più sul piano economico alla Cina. Parallelamente, il governo tedesco prepara sul piano militare investimenti colossali per arrivare ad ottenere una certa autonomia strategica in tale campo.

La situazione della grande industria in Germania

Guardiamo ai fatti. Da sei anni la Cina è il più importante partner commerciale della Germania, con gli interscambi che nel 2021 hanno raggiunto il livello di 245 miliardi di dollari, mentre nei primi sei mesi del 2022 le importazioni tedesche dalla Cina sono aumentate del 45% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Sempre nei primi sei mesi del 2022 gli investimenti diretti tedeschi in Cina sono arrivati a 10 miliardi di dollari, contro i 5,7 dello stesso periodo dell’anno precedente (de Calignon, 2022). Si comprende, dunque, perché i grandi produttori tedeschi vogliono continuare a fare affari in Cina.
Ricordiamo preliminarmente che la struttura industriale tedesca si basa su tre pilastri, l’auto, la chimica, la meccanica. Nel settore dell’auto, le imprese tedesche vendono nel paese asiatico in media un terzo della loro produzione e vi ottengono una quota maggiore dei loro profitti. Esse hanno nel paese asiatico sedici centri di ricerca e sviluppo, considerando che si tratta di un mercato in cui si vendono ogni anno più auto che in Europa e negli Stati Uniti messi insieme, con prospettive di crescita molto forti; si tratta anche del paese più avanti nelle tecnologie dell’elettrico, l’immediato futuro del settore. Tra l’altro, le imprese tedesche dell’auto hanno integrato molte aziende cinesi nelle loro catene di fornitura globali (Hollinger, 2022). Ricordiamo infine che il settore impiega in Germania direttamente o indirettamente circa 15 milioni di persone.
Nella chimica il ruolo della Cina è ancora più netto. In Europa ormai il settore pesa soltanto per il 14,40% del totale mondiale, mentre nel paese asiatico si va in prospettiva, nel 2030, verso il 50% del mercato globale (Boutelet, 2022). Chi vuol rimanere in campo è obbligato ad andarci, come fa notare il capo della Basf che, mentre ha delle difficoltà in patria e anzi annuncia una riduzione importante delle capacità di produzione in Europa, anche a causa dei forti costi dell’energia, sta avviando nel paese asiatico una nuova fabbrica da 10 miliardi di dollari in cui le attività si svolgeranno interamente con energie rinnovabili (Chazan, Yuan Yang, 2022). Il nuovo insediamento, per le sue caratteristiche, appare un segno che la Cina, una volta contenta di essere la fabbrica del mondo, sta rapidamente diventando l’innovatore del mondo (Hollinger, 2022). Se volete essere un gigante mondiale della chimica, non potete dire che la metà del mercato mondiale non vi interessa, come afferma sempre il capo della Basf, Martin Brudermuller.
Molto spinta è anche la presenza tedesca nel paese asiatico nella meccanica (macchine utensili, componenti per auto ed altri prodotti, attrezzature pesanti). Intanto il principale produttore tedesco di semiconduttori, la Infineon, ottiene circa il 38% dei suoi ricavi (dati 2021) sul mercato cinese. La conglomerata Siemens, forse la più grande impresa manifatturiera europea, ha annunciato un grande investimento nel campo digitale in Cina. Più in generale, sono presenti nel paese circa 5000 aziende tedesche che occupano direttamente 1,1 milioni di persone, mentre nella stessa Germania gli insediamenti cinesi portano ulteriori occupati per circa un altro milione di addetti.
D’altro canto, la Cina fornisce alla Germania molte materie prime critiche come le terre rare, poi degli input intermedi e semilavorati, componentistica per la e-mobility e per l’energia rinnovabile; una recente inchiesta della Ifo ha trovato che il 46% delle imprese industriali tedesche si basa su degli input produttivi intermedi di origine cinese. Sta ora arrivando in Germania (e nel resto d’Europa) un’alluvione di pannelli solari per la riduzione delle emissioni inquinanti.

La concorrenza cinese alla Germania

Ma non mancano le difficoltà. Nel tempo le imprese cinesi sono cresciute quantitativamente e qualitativamente in molti settori, così da essere dei concorrenti sempre più temibili per le imprese tedesche e rubare loro quote di mercato. D’altro canto bisogna considerare le pressioni politiche Usa, paese che può contare su forti sostegni sul fronte politico tedesco.
Comunque non tutta l’industria tedesca è favorevole agli stretti legami con il Paese di Mezzo; la pensano diversamente le imprese che sentono sul collo la sua sempre più forte concorrenza, quelle che pensano che la politica del loro governo favorisce le imprese esportatrici e non quelle che lavorano per il mercato interno – e tra queste una parte consistente delle PMI che non hanno possibilità di affrontare il mercato del paese asiatico o vi hanno fallito-, quelle infine rivolte maggiormente alle attività negli Stati Uniti.
Va anche rilevato che una strategia seguita da diverse imprese con insediamenti nel paese asiatico appare quella non tanto di abbandonare la Cina, ma di aprire dei punti di attività ulteriore in altri paesi, diversificando i rischi, con la politica del cosiddetto 1+1.

Decoupling e autonomia strategica

La grande industria tedesca non è sicuramente d’accordo con la linea del decoupling portata avanti da Biden ed in questo essa appare spalleggiata dal Cancelliere Scholz, mentre anche da Bruxelles arrivano segnali di crescente ostilità verso il paese asiatico.
In un articolo recente (Scholz, 2022) Scholz ha dichiarato, tra l’altro, che l’ascesa della Cina non è né una ragione per isolarla né una scusa per limitare la cooperazione con essa, mentre ha anche affermato di non essere d’accordo con l’idea che il mondo debba entrare in una nuova guerra fredda tra la Cina e l’Occidente.
E se avessero ragione a Berlino? L’Europa si trova di fronte alla chiusura di molti impianti industriali ad alto consumo di energia, al progetto non compiuto di un mercato unico, di fronte alla concorrenza di paesi con costi dell’energia molto più bassi, regolamentazioni meno stringenti e un sostegno più generoso da parte dei governi (Hollinger, 2022). La realtà dei fatti, soprattutto per la grande impresa europea (e non solo per quella tedesca; tra l’altro, una parte consistente delle imprese industriali del Nord Italia lavora come subfornitrice delle aziende tedesche, così come molte imprese polacche, ceche, slovacche, ungheresi, ecc.) è quella che non ci sono grandi prospettive se non si è presenti in forze nel paese asiatico. Come si legge nel titolo di un articolo apparso di recente sul Financial Times (Hollinger, 2022) “prendersela con la Cina non porterà l’Europa da nessuna parte”. O secondo altre dichiarazioni dello stesso Scholz “bisogna ballare con quelli che ci sono nella stanza, questo si applica alle discoteche come alla politica mondiale” (Chazan, Yuan Yang, 2022). Infine qualcuno ribadisce, rivolto agli stessi compatrioti tedeschi, “non capite da dove è venuta sino ad oggi tutta la nostra ricchezza?” (Chazan, Yuan Yang, 2022).
Alla fine la politica tedesca, o almeno quella di Scholz, sembra oggi fortemente incline a ricercare una sua linea di maggiore autonomia strategica, pur nell’ambito di un ancoraggio al quadro occidentale, linea che sembra corrispondere peraltro alle necessità vitali della sua economia. Così il paese indica per lo meno una possibilità, se non una scelta obbligata, agli altri membri dell’UE che, dalla Francia all’Italia, appaiono invece inerti.

Testi citati nell’articolo
-Boutelet C., La Chine, ligne de fracture inédite au sein du patronat allemand, Le Monde, 4 novembre 2022
-Chazan G., Nilsson P., Germany confronts a broken business model, www.ft.com, 6 dicembre 2022
-Chazan G., Yuan Yang, Germany struggle with its dependency on China, www.ft.com, 1 novembre 2022
-de Calignon G., L’économie outre-Rhin est de plus en plus liée à la Chine, Les Echos, 3 novembre 2022
-Escande P., Transition ou industrie, le dilemme, Le Monde, 3 dicembre 2022
-Hollinger P., China bashing will get Europe nowhere, www.ft.com, 3 novembre 2022
-Lauer S., La loi de la jungle, Le Monde, 29 novembre 2022
Malingre V., L’Europe en quete d’une riposte au protectionisme américain, Le Monde, 7 dicembre 2022
-Scholz O., The global Zeitenwende, Foreign Affairs, novembre-dicembre 2022

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