IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

La mutazione nichilista dell’Occidente

L’individuo, sostiene Emmanuel Todd nel suo La sconfitta dell’Occidente (2024), può essere grande solamente all’interno di e attraverso una comunità. Il nichilismo, l’idolatria del nulla, è onnipresente in Occidente, nei suoi sistemi antropologici di tipo nucleare individualista. L’America ne è, al tempo stesso, il motore e la più grande vittima.

La fuga in avanti nichilista

Una delle grandi illusioni degli anni Sessanta – tra la rivoluzione sessuale angloamericana e il maggio del ’68 francese – è stata la convinzione che l’individuo sarebbe stato più grande una volta liberato dal collettivo (mea culpa, mea maxima culpa!). E invece, è esattamente il contrario. L’individuo può essere grande solamente all’interno di e attraverso una comunità. Da solo, è destinato per natura a ridursi. Oggi che ci siamo liberati in massa delle credenze metafisiche, fondanti e derivate, comuniste, socialiste o nazionali, stiamo sperimentando il vuoto e ci stiamo rimpicciolendo. Stiamo diventando una moltitudine di nani mimetici che non osano più pensare con la propria testa, ma che si dimostrano capaci di intolleranza tanto quanto i credenti di un tempo.

Le credenze collettive non sono semplicemente delle idee condivise dagli individui che consentono loro di agire insieme. Esse li strutturano. Nell’inculcare loro delle regole morali condivise dagli altri, li trasformano. Questa società interiorizzata nell’individuo è ciò che la psicoanalisi definisce “Super-Io”. Oggi questo concetto gode di una cattiva reputazione: evoca infatti un’autorità di controllo sgradita, che reprime e impedisce lo “sviluppo personale”. Tuttavia, nelle intenzioni di Freud e di molti altri, il Super-Io rappresenta anche un ideale dell’Io che consente all’individuo di elevarsi al di sopra dei propri desideri immediati, per essere migliore e più di se stesso. Prima dell’ideale dell’Io freudiano, era diffusa la nozione di “coscienza”, la quale implicava l’esistenza degli altri. Ascoltare la propria coscienza, farsi un esame di coscienza erano imperativi di origine cristiana. Nello stato zombi della religione, la società è ancora capace di instillare negli individui un ideale dell’Io e il concetto di coscienza rimane pienamente valido. Nel presentare questi andamenti di massima come se fossero pienamente realizzati sto, ovviamente, schematizzando e finanche un po’ esagerando. Lo stato zero della religione esprime un vuoto e, tendenzialmente, una mancanza del Super-Io. Definisce il nulla, il niente, ma per un essere umano che, malgrado tutto, non cessa di esistere e continua a sperimentare l’angoscia della finitezza umana. Questo nulla, questo niente, produrrà comunque qualcosa, una reazione, in ogni direzione: alcune ammirevoli, altre stupide, altre ancora abiette. Il nichilismo, che idolatra il nulla, mi sembra la più prevedibile. Esso è onnipresente in Occidente, in Europa così come oltreoceano. È nei sistemi antropologici di tipo nucleare individualista, in quello francese ma soprattutto in quello angloamericano – in cui non sussiste alcun inquadramento familiare residuo –, che il nichilismo si diffonde nella sua forma compiuta. Quantomeno, le tracce della famiglia ceppo zombi (in Germania e Giappone) o comunitaria zombi (in Russia) rappresentano ancora “qualcosa” in più rispetto al vuoto nucleare individualistico. Non sorprende quindi che, come avremo modo di scoprire tra poco, il mondo angloamericano, caratterizzato da un protestantesimo allo stato zero in un contesto ormai interamente nucleare, sia attualmente teatro delle manifestazioni di nichilismo più eclatanti. (…)

Oligarchie e nichilismo: il caso americano

Nell’Introduzione ho elogiato i meriti e il coraggio di John Mearsheimer. Nel capitolo 10, dedicato alle classi dirigenti americane, canterò le lodi del suo collega e complice, Stephen Walt, che da tempo invoca il ritorno degli Stati Uniti a una concezione più ragionevole del mondo, un mondo in cui non aspirino più a una “egemonia liberale” ma si accontentino di conservare il proprio potere esercitando un ruolo negli equilibri internazionali, facendo valere il loro peso politico (balancing) con questa e quella potenza in base ai propri interessi. Gli Stati Uniti sono la prima potenza militare, ma non sono in grado di dominare tutto direttamente. Nutro un grandissimo rispetto nei confronti di Walt e di Mearsheimer, perché entrambi riescono a mantenere il sangue freddo in un contesto fatto di ideologi neoconservatori e del tutto privi di competenze militari. Eppure, la loro visione della storia mi sembra meccanica, in quanto vedono gli Stati-nazione come elementi compatti e stabili. Ora, per capire la politica estera di un paese, dobbiamo analizzarne in profondità gli sviluppi interni. E questi due geopolitici cosiddetti realisti sembra non riescano a cogliere quegli sviluppi che talvolta si rivelano drammatici. Essi, per esempio, come ho affermato nell’Introduzione postulano che gli Stati Uniti siano ancora uno Stato-nazione. Niente di meno vero. L’America, inoltre, sarebbe stabile e, per di più, al riparo dal resto del mondo. La visione geopolitica tradizionale presuppone che gli Stati Uniti costituiscano, tra l’Atlantico e il Pacifico, tra quelle due non-potenze che sono il Canada e il Messico, un’isola sicura, una nazione che non rischia niente e che può permettersi dunque ogni sorta di errore possibile sul piano internazionale. Non hanno mai dovuto lottare per la loro sopravvivenza, come hanno fatto la Francia, la Germania, la Russia, il Giappone, la Cina e anche la Gran Bretagna. In questo capitolo, e nei due successivi, proverò a mostrare che gli Stati Uniti, al contrario, rischiano molto nella congiuntura attuale. La loro dipendenza economica dal resto del mondo è diventata immensa; e la loro società si sta disgregando. I due fenomeni interagiscono. Perdere il controllo delle proprie risorse esterne provocherebbe un calo del tenore di vita, già poco brillante, della popolazione. Ma è tipico di un impero il fatto di non poter più separare ciò che, nella sua evoluzione, è interno da ciò che è esterno. Per comprendere la politica estera americana bisogna di conseguenza partire dalle dinamiche interne della società, o piuttosto dalla sua regressione.

Mi scuso dunque in anticipo con il lettore per il carattere schematico dei tre capitoli che dedicherò agli Stati Uniti. Non tutto verrà dimostrato. La crisi di una società così complessa dovrebbe essere oggetto di un libro e il tempo stringe: la guerra ci porta sempre più lontano. Non aspiro a un alto livello di perfezione accademica, voglio solo contribuire alla comprensione di un disastro in corso.

Avendo analizzato la stabilità della società russa, la disgregazione della società ucraina, la cattiva coscienza delle vecchie democrazie popolari, la fine del sogno d’indipendenza europeo, l’indebolimento del Regno Unito in quanto nazione (nazione madre anziché nazione sorella degli Stati Uniti), la deriva scandinava, ci siamo progressivamente avvicinati al cuore pulsante della crisi mondiale: il buco nero americano. Giacché il vero problema con cui il mondo oggi deve confrontarsi non è tanto la volontà di potenza russa, molto limitata, quanto piuttosto la decadenza del suo centro americano, questa sì senza limiti.

Analizzerò di questa decadenza solo ciò che può rivelarsi utile per decifrare l’attività esterna degli Stati Uniti. Lo farò in termini chiari e negativi. In molti scrivono che l’America è sempre l’America, che la sua democrazia funziona ancora (anche se vacillano dinanzi al fenomeno Trump e alle sue conseguenze su questo punto), e soprattutto che, nel conflitto con la Russia, ciò che sta difendendo è la libertà, la democrazia, la protezione delle minoranze, la giustizia insomma. E che questo è un bene. Io penso e dico il contrario. Insieme all’America stiamo contribuendo a perpetuare l’esistenza di un Occidente sostanzialmente pluralista, per quanto non egalitario.

Il nichilismo, un concetto necessario

Ho riflettuto a lungo prima di attribuire il concetto di nichilismo agli Stati Uniti invece che all’Ucraina o all’Europa, che hanno conosciuto una storia molto buia. (…)

Mi è sembrato necessario poter disporre di un concetto centrale che simboleggiasse la conversione dell’America dal bene al male. In fondo, il nostro problema intellettuale è che noi amiamo l’America. Gli Stati Uniti sono stati uno di quei paesi che hanno sconfitto il nazismo, ci hanno mostrato la strada da seguire per la prosperità e la distensione. Se vogliamo accettare pienamente l’idea che oggi stiano tracciando la strada che porta alla povertà e all’atomizzazione sociale, è indispensabile ricorrere al concetto di nichilismo. (…)

Nell’America di oggi vedo un pericoloso vuoto di pensiero e di idee, condito dall’ossessione per il denaro e il potere, i quali non possono essere in sé dei fini, dei valori. Questo vuoto conduce all’autodistruzione, al militarismo, a una negatività endemica: in sostanza, al nichilismo. Esiste un ultimo elemento, essenziale, che mi ha fatto adottare questo concetto: il rifiuto della realtà. Il nichilismo non esprime solo un bisogno di distruzione di sé e degli altri; a un livello più profondo, quando si trasforma in una sorta di religione, esso tende a negare la realtà. Mostrerò in che modo ciò avvenga nel caso americano.

Spendere di più per morire di più

Ecco un esempio di nichilismo applicato: l’andamento della mortalità negli Stati Uniti. In Deaths of Despair pubblicato nel 2020, Anne Case e Angus Deaton hanno analizzato il suo aumento dal 20004, in particolare tra i bianchi di 45-54 anni – per alcolismo, suicidio e dipendenza da oppioidi –, in minima misura compensato da un calo costante tra i neri. Unico tra i paesi avanzati, l’America ha fatto registrare un calo complessivo dell’aspettativa di vita: da 78,8 anni nel 2014 a 77,3 anni nel 2020. Un anno dopo, nel 2021, gli americani vivevano in media 76,3 anni, gli inglesi 80,7 anni, i tedeschi 80,9 anni, i francesi 82,3 anni, gli svedesi 83,2 anni e i giapponesi 84,5 anni. Nel 2020, la Russia, con soli 71,3 anni, portava ancora i segni, per così dire biologici, della sua tormentata storia. Ma l’aspettativa di vita dei russi nel 2002 era di soli 65,1 anni, il che significa che sotto Putin è aumentata di sei anni. Il grafico 6.1 (capitolo 6, sulla Gran Bretagna) aveva già mostrato che il recente calo delle aspettative di vita negli Stati Uniti era stato preceduto da un rallentamento della sua crescita a partire dal 1980, gli anni del neoliberismo. Sappiamo inoltre che dopo il Covid l’aspettativa di vita non si è rapidamente ripresa, a differenza di quanto è avvenuto in altre parti del mondo sviluppato. Oltretutto, il Covid sembra aver avviato una degradazione in tutti i gruppi etnici. Il tasso di mortalità infantile, che è un sintomo precursore, indica un ritardo dell’America ancor più marcato di quello dei paesi avanzati che “protegge” o di quelli che combatte. Intorno al 2020, secondo l’UNICEF, il tasso di mortalità infantile negli Stati Uniti era di 5,4 su 1000 nascite, rispetto al 4,4 della Russia, al 3,6 del Regno Unito, al 3,5 della Francia, al 3,1 della Germania, al 2,5 dell’Italia, al 2,1 della Svezia e all’1,8 del Giappone. Il confronto tra questa mortalità americana con il grande disegno storico enunciato nella Dichiarazione di indipendenza del 1776 produce un effetto sorprendente. «Consideriamo verità evidenti per se stesse che tutti gli uomini sono creati uguali; che sono stati dotati dal loro Creatore di taluni diritti inalienabili; che, tra questi diritti, vi sono la vita, la libertà e la ricerca della felicità». Ma la cosa più stupefacente è che l’aumento della mortalità è andato di pari passo con la spesa sanitaria più alta del mondo. Nel 2020, questa rappresentava il 18,8 per cento del PIL americano, rispetto al 12,2 per cento della Francia, al 12,8 per cento della Germania, all’11,3 per cento della Svezia e all’11,9 per cento del Regno Unito. Sia chiaro, queste percentuali sono stime al ribasso, poiché alla stessa data il PIL pro capite degli Stati Uniti era di 76.000 dollari, contro i 48.000 della Germania, i 46.000 del Regno Unito e i 41.000 della Francia. Il lettore può divertirsi a moltiplicare la percentuale del PIL destinato alla salute con il PIL pro capite e farsi così un’idea dell’enorme sforzo finanziario teoricamente sostenuto dagli Stati Uniti per curare i propri cittadini. Dico teoricamente perché, come vedremo, tutto questo rivela che la nozione di PIL ha un carattere perlopiù fittizio. Ma c’è di peggio, ed è ora che la pertinenza del concetto di nichilismo appaia in tutto il suo splendore: Anne Case e Angus Deaton mostrano che una crescita della mortalità si è verificata nel momento in cui parte della spesa sanitaria era destinata alla distruzione della popolazione. Mi sto riferendo allo scandalo degli oppioidi. Alcune grandi industrie farmaceutiche, affiancate da medici ben remunerati e con pochi scrupoli, hanno messo a disposizione dei pazienti con problemi psichici, per ragioni economiche e sociali, degli antidolorifici pericolosi che creano dipendenza e che molto spesso portano alla morte, all’alcolismo o al suicidio. È questo fenomeno che spiega l’aumento della mortalità tra i bianchi di 45-54 anni. Ci troviamo dunque di fronte ai loschi intrighi di alcune categorie superiori che hanno come effetto la distruzione di una parte della popolazione. Tutto ciò rasenta l’ignominia, ma noi dobbiamo attenerci a quanto abbiamo formulato: siamo in piena moralità zero. Nel 2016, il Congresso, che è controllato da queste lobby (che fanno legalmente e ufficialmente parte del sistema americano), ha votato l’EnsuringPatient Access and EffectiveDrugEnforcementAct (‘Legge per garantire l’accesso dei pazienti e l’effettiva applicazione dei farmaci’), che vieta alle autorità sanitarie la sospensione dell’uso di oppioidi. I “rappresentanti” dei cittadini hanno quindi partorito una legge che autorizza l’industria farmaceutica a non smettere di assassinarli. È nichilismo questo? Ovviamente sì.

[Emmanuel Todd, La sconfitta dell’Occidente, Roma Fazi Editore, 2024]

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