IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

L’America imperiale e l’Europa irrilevante di Sergio Romano

Il mondo ha bisogno dell'Europa. Gli europei non sono necessariamente più saggi degli americani. Ma sanno, dopo le esperienze del Novecento, che le guerre sono provviste di una loro insondabile e imprevedibile logica

«La constatazione conclusiva è che la somma delle politiche estere dei singoli Paesi dell’Unione non fa “massa critica” e non può proporre scelte o prospettive diverse da quelle che Washington sta imponendo al mondo. Prima o poi, anche il più dissenziente degli stati europei comprende che non può, da solo, litigare con l’America e finisce per rientrare nei ranghi.

Non basta. Oltre ad essere irrilevante l’Europa babelica e disunita e in ultima analisi responsabile dello strapotere americano. Ogni grande potenza si spinge fino all’estremo confine delle sue possibilità e si arresta soltanto là dove trova una resistenza capace di tenerle testa. In questi ultimi anni gli Stati Uniti, anche all’epoca della Presidenza Clinton, hanno continuato a estendere lo spazio giuridico e militare del loro potere. Il Congresso ha votato leggi extraterritoriali che l’America pretende d’imporre al di fuori del proprio territorio, e ha distribuito sanzioni agli Stati che non si adeguano alle sue prescrizioni, talora irragionevoli o demagogiche. (…)

Gli Stati Uniti non possono ignorare la volontà degli altri quando viene manifestata con grinta e fermezza. (…) Non accade in Europa e in Medio Oriente, dove l’Unione non sa e non può dire di no. Il vuoto che essa non riesce a riempire viene così irresistibilmente riempito da Washington. Incapaci di contraddire l’America e di correggerne gli errori, gli europei finiscono per accettarne e assecondarne la politica. (…)

Ma gli Stati Uniti – osservano i partigiani dell’egemonia americana – sono una grande democrazia. È vero. La stampa sorveglia la classe politica e ne rivela le malefatte. La costituzione impedisce che il potere si concentri nelle mani di una sola istituzione. La società esprime migliaia di associazioni circoli di opinione gruppi professionali, lobby: una moltitudine di voci che nessun governo americano può permettersi di ignorare. Ma le democrazie non sono necessariamente sagge e la maggioranza in molte circostanze può avere clamorosamente torto. Fu la maggioranza che linciava i neri nel Sud e voleva la segregazione razziale. Fu la maggioranza che sostenne il senatore McCarthy alla fine degli anni Quaranta e gli permise di instaurare in Senato una specie di tribunale dell’Inquisizione. È la maggioranza che sollecita il Congresso di approvare le leggi extraterritoriali con cui l’America pretende di estendere la sua giurisdizione a qualsiasi Paese straniero. Ed è la maggioranza, infine, che autorizza il presidente e il Congresso a respingere i maggiori accordi internazionali stipulati negli anni: dal trattato contro le mine antiuomo ai protocolli di Kyoto , dalla convenzione per creare un Tribunale penale internazionale a quella contro la tortura.

Gli errori delle democrazie non mi sorprendono e non mi scandalizzano. Sarei sorpreso, al contrario, se il numero fosse garanzia di verità e se gli uomini, per il fatto di essere d’accordo in maggioranza su un qualsiasi problema, avessero necessariamente ragione. L’errore e il pericolo, se mai, sono nella convinzione che la democrazia sia sempre virtuosa è giusta. Quando fa politica estera, del resto, l’America è la prima a non farsi illusioni. Anche se affermano il contrario, i suoi uomini di Stato sanno che la democrazia non è una Gerusalemme terrestre. È soltanto un discreto regime politico, mediamente migliore delle dittature, capace di funzionare al meglio in circostanze favorevoli e particolarmente adatto a Paesi in cui la società, nel corso della storia, è riuscita, provando e riprovando, a perfezionarne i meccanismi. Pericoloso e poco edificante è invece, anche in questo caso, il sovrappiù di miele retorico con cui viene continuamente condita e spacciata la ricetta democratica. Allorché dichiara di voler esportare la democrazia nel mondo, l’America contraddice sé stessa. Quando ha bisogno di amici alleati non li sceglie esclusivamente tra i Paesi democratici. Li sceglie fra i Paesi con cui ha interessi comuni e che possono darle qualcosa di cui ha bisogno. Se sono democratici e hanno con gli Stati Uniti una maggiore affinità culturale, tanto meglio. In caso contrario, pazienza. (…)

Ecco perché il mondo ha bisogno dell’Europa. Gli europei non sono necessariamente più saggi degli americani. Ma sanno, dopo le esperienze del Novecento, che le guerre sono creazioni autonome, provviste di una loro insondabile e imprevedibile logica. Generate dagli Stati, sfuggono immediatamente al controllo dei genitori e aprono scenari nuovi. Chi inizia una guerra lo fa per eliminare un avversario o un problema e si accorge ben presto di avere di fronte a sé nuovi avversari e nuovi problemi più minacciosi e intricati di quelli di cui voleva sbarazzarsi. Le guerre, quindi, non sono mai né utili né opportune. Possono essere, tuttavia, necessarie. Occorre resistere alle intimidazioni senza offrire l’altra guancia, ma iniziare una guerra soltanto in stato di necessità, quando ogni altra prospettiva realistica è impraticabile».

[Estratto da S. Romano, Il rischio americano. L’america imperiale, l’Europa irrilevante, Longanesi, Milano, 2003]

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