Con il passare delle settimane il conflitto in Ucraina si inasprisce. Il numero sempre crescente dei morti e l’ampiezza delle devastazioni materiali e morali si accompagnano all’intensificazione del coinvolgimento dei paesi occidentali guidati dagli Stati Uniti, e con esso al pericolo di un allargamento del conflitto, con tutte le conseguenze tragiche che si possono immaginare e temere. Il vertice di Ramstein è stato la rappresentazione più plastica di questa dinamica, a cui fanno da contraltare sul piano retorico le dichiarazioni dei vertici politici e militari statunitensi e inglesi (vedi in particolare i discorsi di Boris Johnson), che sempre più chiaramente spostano l’obiettivo della guerra dal sostegno alla resistenza ucraina alla sconfitta punitiva della Russia. I russi, peraltro, non sembrano in alcun modo voler concedere alcun tipo di apertura all’interruzione dell’offensiva, e si sono dimostrati ostili alle iniziative del segretario dell’ONU e più recentemente, a quelle di Macron.
Su un pericoloso piano inclinato
Gli europei non si sono finora discostati dalla linea di contrapposizione intransigente, e solo di recente, Mario Draghi e Macron hanno parlato della necessità di arrivare a un cessate il fuoco, ma non è chiaro se queste, peraltro autorevoli e positive dichiarazioni, siano il segno di un progetto con un qualche respiro, o semplici escamotage tattici, magari a fini interni. Mentre si moltiplicano le prese di posizione che infiammano la retorica bellicista, stenta a avviarsi un pacato dibattito attorno a quello che dovrebbe essere l’interesse dell’Europa in questa tragedia. L’unica novità davvero significativa è rappresentata dall’iniziativa annunciata da Papa Francesco, che ha dichiarato di volersi recare a Mosca, dimostrando di non esitare a mettere in gioco tutta la sua autorità e il suo prestigio per interrompere la spirale di violenza che sta spingendo il mondo intero su un piano inclinato estremamente pericoloso.
Delegittimazioni e distorsioni nel dibattito pubblico